Referendum sulle trivelle. Così i giornali commentano il quorum mancato
TRENTO. I primi commenti sull’esito del Referendum delle trivelle sono arrivati a spoglio ancora in corso. In fondo il dato, sin dalle prime battute, è sembrato chiaro: quorum lontano, hanno votato circa il 30% degli aventi diritto (alla fine saranno il 31,18%, compreso il voto all’estero). Ma come è stato letto questo risultato dai principali quotidiani italiani, in edicola oggi? In sostanza, si è sottolineato più il dato politico, quasi che il referendum – più che un quesito tecnico sul tema delle trivelle – sia stato un anticipo della battaglia politica dei prossimi mesi, fra amministrative e referendum costituzionale.
Il Corriere della Sera affida l’editoriale in prima ad Antonio Polito:
«Le trivelle in alto mare non sono come l’acqua che esce dai rubinetti. Non provocano le stesse angosce sul nostro futuro e sulla nostra salute. Per quanto i politici tentino sempre di sfruttarne le paure, il corpo elettorale ha una sua pachidermica saggezza, e si muove solo per cause che ne valgano la pena. Così, a sorpresa, cinque anni fa rivitalizzò lo strumento referendario raggiungendo il quorum in difesa dell’acqua pubblica. Stavolta invece la materia delle trivellazioni in mare è apparsa ai più troppo complessa tecnicamente e forse troppo pericolosa economicamente per un Paese che ha fame di energia».
Nel suo editoriale, Polito sottolinea poi come la politicizzazione del referendum – trasformandolo «nel debutto di una Alleanza contro Renzi di tutte le opposizioni, esterne e interne» – non abbia funzionato, anche se «è probabile che una parte dell’affluenza al voto, un po’ superiore che in altri casi di quorum mancati, venga proprio da lì, da una motivazione politica più che di merito». La vera partita politica si gioca però nei prossimi mesi, fra amministrative e referendum costituzionale.
Per Repubblica il punto è affidato alla penna di Stefano Folli.
(…) Chi ha voluto usare il quesito ambientalista, astruso e ambiguo come pochi altri, per trasformarlo in una clava con cui colpire il presidente del Consiglio, ha sbagliato i conti. Alla fine della giornata deve registrare la propria sconfitta, anziché quella di Renzi: quorum irraggiungibile, solo la Basilicata oltre la soglia. Naturalmente c’è chi vorrà sostenere che il 32 per cento dato finale alle 23, non è poi così male: equivale a 13 milioni di elettori che non hanno raccolto gli inviti all’astensione e si sono comunque recati alle urne. Ma questa cifra può rincuorare, sia pure in modo parziale, solo chi ha considerato il referendum alla stregua di un grande sondaggio sul premier, una specie di prova generale dell’altro referendum, quello di ottobre sulla riforma costituzionale, che costituirà l’autentica, grande battaglia pro o contro Renzi. In altri termini, se chi ha votato lo ha fatto per lanciare un segnale di ostilità a Palazzo Chigi, può considerare l’esito di ieri sera negativo ma non pessimo.
Marcello Sorgi, sulla Stampa di Torino, sottolinea come sia arrivato «un segnale chiaro per Renzi: la consultazione è fallita, per mancato raggiungimento del quorum, e il premier può a ragion veduta cantar vittoria, avendola definita «una bufala» ed essendosi schierato apertamente per l’astensione». Interessante però vedere anche quali sono le prospettive politiche:
Forse è presto per dire che tra Movimento 5 stelle, minoranza Pd, sinistra ambientalista e radicale, Lega e Fratelli d’Italia, tutti schierati contro l’astensione e per la riuscita del referendum, sebbene con posizioni di merito differenti, sia nato una sorta di fronte popolare, che partendo dalla sconfitta di ieri sera, punta a prendersi la rivincita nelle prossime amministrative, in vista delle quali la condizione dei candidati sindaci renziani nelle grandi città si fa giorno dopo giorno più difficile, o nel referendum costituzionale sulla riforma Boschi a ottobre. Ma che gli avversari del presidente del Consiglio, dentro e fuori il Pd, ci proveranno ancora, è sicuro, anche se non è detto che riusciranno nel loro intento.
Più netta la posizione nell’editoriale del direttore Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano. Il giornale non ha mai nascosto il proprio netto schieramento, anche con senso politico, a favore del sì:
Purtroppo è andata come si temeva. Davide non ce l’ha fatta a sconfiggere Golia. Il referendum e chi l’ha sostenuto a mani nude hanno perso la battaglia: e non perché i No abbiano sconfitto i Sì, anzi tutto il contrario. Ma perché il quorum non è stato raggiunto. (…) La partita non era soltanto sul merito del quesito. Il referendum è stato trasformato nella prova su strada della democrazia antidemocratica che ha in mente chi ci governa, anzi ci comanda: una democrazia deve decidere uno solo (agli ordini delle lobby), l’informazione gli fa da grancassa, il popolo non partecipa e possibilmente non vota, e nessuno disturba il manovratore.