Con i rifugiati di Idomeni (parte 1)

Chi sono i rifugiati di Idomeni? Oltre dodicimila persone ammassate in un campo che l’Europa sta lasciando in attesa, non si sa per quanto tempo ancora. La sala d’attesa però non è poi così comoda, come ci racconta Matteo, studente di filosofia, partito da Trento con la campagna Over the Fortress per portare aiuti ai rifugiati.

È partito con altri dodici ragazzi  per poi unirsi con un cospicuo gruppo di volontari, provenienti da diverse parti d’Italia, ad Ancona e imbarcarsi alla volta di Igoumenitsa. Giunti in Grecia hanno proseguito verso Idomeni, la destinazione finale del viaggio.

Si capisce di essere prossimi al campo quando si inizia a sentire un’inquietante puzza di plastica bruciata. «Bruciano qualsiasi cosa per farsi caldo. Probabilmente a volte cucinano anche cosi», racconta Matteo. Poco dopo s’iniziano a scorgere i colori stinti delle tende. Si è arrivati nel campo di Idomeni.

Varcate le porte del campo si assiste a scene di vita quotidiana. Alcuni bambini si rincorrono, i più grandi provano ad accendere un fuoco o a rendere meno ostile il luogo in cui sono costretti a vivere. Matteo e il suo gruppo si sono organizzati per scaricare le scorte dai furgoni: vestiti, generatori per la corrente elettrica, scarpe, medicine, materiale per l’igiene personale. Dopo aver diviso tutto in base alla taglia e tra uomo, donna e bambino  portano tutto dentro il campo. La situazione che si trovano di fronte è bestiale. Una moltitudine di tende claudicanti sulla nuda terra. Basta un po’ di pioggia e tutto si riempie di fango. La zona è  delimitata da un filo spinato che impedisce ai rifugiati di fuggire verso il confine e sostanzialmente determina quale spazio le autorità hanno concesso loro per accamparsi.

Sulla ferrovia è disposta la polizia. Sono lì per bloccare ogni atto che sia volto alla distruzione del confine o al suo superamento clandestino. Nell’accampamento ci sono anche alcune associazioni che prestano il loro servizio. Medici senza frontiere dà un grande aiuto pratico. Matteo ci racconta che hanno fatto partorire una donna mentre era lì.

UNHCR, l’agenzia costituita nel 1950 dalle Nazioni Unite per la protezione e il sostegno ai rifugiati, invece tende esclusivamente a monitorare la situazione, incastrata da mille adempimenti burocratici che le impediscono di essere un aiuto concreto all’interno del campo. Un sostegno decisivo e forse inaspettato è dato dalla popolazione locale. I greci, infatti, si stanno prodigando in tutti i modi per rendere più accettabile la vita nel campo.

La maggior parte delle persone provengono dall’Afghanistan, dalla Siria, dal Kurdistan, dall’Iraq. Sono costretti a scappare dal loro Paese a causa della guerra. Alcuni curdi rimangono e fanno resistenza contro l’ISIS, molti altri fuggono verso l’Europa. Tutti vogliono andare in Germania, Svezia, Olanda o in qualche altro paese del Nord Europa perché magari là hanno qualcuno, un amico o un familiare. Farlo al momento, però, sembra impossibile soprattutto all’indomani dell’accordo tra Unione Europea e Turchia, che ha iniziato a produrre i suoi effetti i primi di aprile.

Appena arrivati in Grecia ai rifugiati viene consegnato un documento su cui è apposto un timbro con scritto per esempio: “Final destination Germany”. Peccato, però, che tale documento non abbia alcun valore a livello europeo e abbia l’unico scopo di alimentare le speranze, ormai esasperate, dei rifugiati e farli stare buoni.

Ma la gente inizia ad essere stanca, vuole passare questo confine. Questa frustrazione si percepisce ed è alimentata ulteriormente dalle condizioni di vita deprecabili e dalla reticenza delle autorità europee che non stanno prendendo decisioni in merito, preferendo lasciar morire dodicimila persone in quel campo.

(continua…)


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Giulia Castelli

Giulia Castelli

Studio Giurisprudenza, ogni tanto scrivo. Fondatrice ed ex presidente dell'associazione editrice de l'Universitario.

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