Imparare ad ascoltare: i rifugiati si raccontano
Ogni anno il 20 giugno ricorre la Giornata Mondiale del Rifugiato, voluta dall’UNHCR per sensibilizzare l’opinione pubblica attorno a chi sono i rifugiati, cosa li distingue da altre categorie di migranti, come ad esempio i migranti economici. Un rifugiato può fuggire dalla propria terra per motivi politici, o perché è in atto una guerra in cui la sua vita è messa in costante pericolo, o perché- questo aspetto è ancora poco noto- il proprio Paese è vittima di danni ambientali irreparabili. Nel 2015 si è registrato il più alto numero di migranti dai tempi della Seconda Guerra Mondiale: 65.3 milioni di persone. Tra questi, 21.3 milioni sono rifugiati.
Anche a Trento si è voluto celebrare questa giornata attraverso un incontro a Piazza Duomo dal titolo: Aperto o Chiuso? Dialoghi e Incontri. L’evento è stato organizzato dalla rete di associazioni che si occupano quotidianamente dei rifugiati presenti nell’area di Trento: Centro Astalli Trento, ATAS Onlus, Associazione F.I.L.I., Il Gioco degli Specchi, Studio D’Arte Andromeda e Infusioni. Ognuna di loro ha proposto attività informative attraverso la distribuzione di opuscoli su quanto è stato fatto fino ad ora in Trentino per l’accoglienza di rifugiati e richiedenti asilo o sui numeri effettivi degli arrivi, dei tempi burocratici per l’ottenimento dei permessi di soggiorno, o dei giorni impiegati da ognuno di loro per raggiungere una destinazione sicura come l’Italia. Ma non c’è stata solo informazione da parte dei volontari: anche i migranti si sono messi in gioco, aprendosi al dialogo e al confronto con studenti e cittadini interessati. C’è chi ha viaggiato un anno e attraversato nove Paesi per arrivare in Italia, valicando fili spinati e affrontando la polizia di frontiera, sopportando viaggi su barconi malfermi e le vessazioni dei trafficanti. Alcuni di loro hanno lasciato nella loro terra natale genitori, figli e mogli e non per un atto di codardia, ma per cercare di ottenere un pezzo di carta che permetta loro di lavorare e iniziare a costruire un futuro per i propri cari in una nuova città e in un nuovo Stato, lontano da guerre e persecuzioni. Una conversazione molto interessante sulla condizione dei rifugiati da lungo tempo in Italia l’ho avuta con i coniugi Mohebi, Razi e Soheila, da quasi nove anni rifugiati politici a Trento, registi e intellettuali provenienti dall’Afghanistan. Ho avuto modo di ascoltare la campagna che loro e molti altri artisti inseriti nel panorama cinematografico stanno conducendo per chiedere al Ministro Franceschini di modificare il Ddl 2287 riguardante la disciplina del cinema e delle arti sceniche. I firmatari di questa campagna online criticano in particolare l’articolo 5 di questo disegno di legge, in cui si attesta che i fondi per finanziare i film in Italia potranno essere richiesti solo se regista, sceneggiatore e i principali attori siano di nazionalità italiana, andando a discriminare di conseguenza tutti quegli artisti, come i Mohebi, che non hanno ancora ottenuto la cittadinanza italiana. “Purtroppo, -commenta Razi- la nostra petizione sta ottenendo ancora poche adesioni, poiché solo una ristretta parte dell’opinione pubblica (ovvero quella inserita nel sistema cinematografico) ne è a conoscenza”.
La sensibilizzazione dell’opinione pubblica è centrale tanto per i rifugiati quanto per i volontari delle associazioni che si occupano di loro. La paura e addirittura l’odio nei confronti di chi fugge da Paesi come Siria, Iraq, Sud Sudan, Afghanistan, Eritrea, nasce dall’incapacità di ascoltare le loro testimonianze, di vedere la loro autentica gratitudine verso il Paese che li ha accolti, di capire il loro coraggio nell’affrontare un viaggio estenuante e pericoloso. Incontri come quello appena tenutosi a Trento danno la possibilità di sfatare certi miti attorno a rifugiati e profughi. La politica del dialogo aperto dell’accoglienza non è, come qualcuno crede, la politica del buonismo e la morte della nazione italiana: è la politica del buonsenso e di nuove opportunità.
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