L’opinione – Tutta colpa del bambù cinese
Visto che si è parlato (di nuovo? Ancora?) del problema delle aule studio in università, e visto che è stato fatto notare che esistono “sedi appropriate” a cui far pervenire osservazioni e lamentele (tutti a scrivere qui) mi sono cimentato in questa cosa strana (e per certi versi insensata) della “protesta istituzionalizzata”: ora, senza dilungarmi sul fatto che protestare con mezzi predisposti dal “sistema”, secondo me, è all’opposto dell’idea di protesta in senso stretto, spero sinceramente di essere uno tra i tanti studenti che segnalano l’illogicità di alcune scelte compiute dall’Università.
In ogni caso, la prima “pazza idea” venuta al nostro amato Ateneo è stata quella di lasciare a disposizione degli studenti circa 200 posti (la sala A del CLA) per il “ponte dell’Immacolata”. Ecco, un po’ per amore di polemica, un po’ perché non mi capacito di così poca lungimiranza da parte di chi gestisce le cose da queste parti, mi sono messo a fare due conti: considerando che siamo circa 16.500 iscritti (veramente il dato è aggiornato all’anno accademico 2015/16, ma questo è quanto di più aggiornato offra il MIUR), forse prevedere l’apertura di un’aula con una capienza così limitata è stato un errore di gestione un po’ grossolano. Insomma, anche a voler considerare che in quei giorni a Trento ci fossero 1000 o 2000 studenti (e secondo me è una stima al ribasso), il rapporto tra domanda ed offerta era di 5 o 10 a 1. Io stesso sono stato testimone del fatto che i posti fossero esauriti a mezz’ora dall’apertura: non alle 11, cosa naturale, ma alle 8.30.
Ecco, quanto avvenuto nei giorni scorsi potrebbe essere solo un episodio un po’ sfortunato, complice la “congiunzione astrale” sfavorevole del trasloco verso la BUC (altro tasto dolente, ma ci arrivo tra poco), del ponte ravvicinato al referendum (che quindi ha costretto parte di noi a non poterne godere completamente) e della sessione d’esame insolitamente anticipata. Come ho detto, potrebbe essere solo un colpo di sfortuna: però, visto che il problema delle aule studio si trascina da tempo sia sotto il profilo quantitativo che sotto quello qualitativo, forse la sfortuna c’entra in modo relativo. Se pensiamo al fronte della “qualità” degli spazi-studio, infatti, ad oggi tra le facoltà del centro (non bazzico la collina, quindi non so), le aule che garantiscano il “microclima” adeguato a conciliare lo studio sono relativamente poche: il CLA, l’acquario di Lettere (l’aula al primo piano), le 3 aulette studio di Giurisprudenza, l’archeologica di Sociologia e l’aula al piano terra di Economia. Sempre che non mi dimentichi qualche sgabuzzino sparso in giro per il centro e facendo un calcolo un po’ approssimativo, queste soluzioni constano di circa 800-900 posti (a voler essere generosi). Il che è già un ottimo risultato, superiore probabilmente alla media di altri atenei italiani ed a cui si aggiungono altre postazioni sparse per i corridoi di Lettere e Giurisprudenza: certo, definire quelle soluzioni “posti studio” è un po’ un azzardo, visto che molto più spesso assomigliano a pollai oppure sono completamente sguarniti di elementi di prima necessità come le prese elettriche.
In ogni caso: 800 posti studio silenziosi sono già un numero considerevole. E sarebbe bello se il discorso finisse qui: purtroppo, però, il numero “utile” si riduce drasticamente verso sera (giustamente, tutto sommato) e si annienta definitivamente la domenica. Infatti, se il sabato, le uniche opzioni utili (il CLA e Sociologia) sono sufficientemente in grado di assorbire la richiesta sia come numeri che come durata del servizio, è abbastanza noto che la domenica, con l’apertura alle 14 che facilita l’effetto “Coldplay” davanti alle porte del CLA e di Economia, riuscire ad entrare nelle aule diventa una specie di gara mista tra il wrestling e i 100m. Senza contare che l’orario ridotto ignora completamente il fatto che, per gli studenti (soprattutto sotto esame), i giorni festivi perdono di significato e che, lasciando correre l’apertura mattutina, quella serale non perde di rilevanza, nemmeno nel giorno del Signore.
Non contento, tiro in mezzo anche la BUC: i profili critici si sprecano. Primo: la location. Non credo sia di principio sbagliata ma che non vada bene se non viene ammortizzata da un qualche accordo con la Provincia per avere una migliore rete di connessione con Trento Nord (dove parecchi di noi hanno trovato casa), Trento Sud e Povo-Mesiano (devo davvero spiegare il perché?). In assenza, è irrealistico pensare che chi ha trovato casa “fuori” dal Centro o chi ha lezione in collina possa sfruttare adeguatamente quello spazio.
Secondo: gli orari. Questo è un dubbio molto legato al primo: che senso ha togliere l’apertura serale alle strutture del centro, spostarla “fuori” e rendere così necessario agli studenti scegliere tra una diaspora giornaliera all’ora di cena, con un (possibile) effetto “Coldplay” durante il periodo a cavallo tra lezioni ed esami (quando fisiologicamente ci fermiamo a studiare vicino alle facoltà in modo da riuscire a frequentare le lezioni) oppure dovremo desistere e tornarcene a casa, sempre per i problemi legati ai collegamenti di cui parlavo prima. Io non sono contrario ad avere le sedi universitarie sparse per il territorio cittadino: sono contrario ad un loro utilizzo irrazionale.
Terzo: chi è il genio che ha pensato di aprire la BUC in concomitanza con una sessione d’esame? Insomma i problemi del ponte e, in generale, i problemi dei posti-studio sarebbero stati risolti posticipando (visto che anticipare era impossibile: pare che sia colpa del bambù cinese, ma è un passaggio che non mi è del tutto chiaro) il tutto a dopo la sessione invernale.
Ecco: detto tutto questo, però, credo sia un utile esercizio soffermarsi anche su un paio di cose emerse dalla discussione su Spotted UniTn e che sono comunque “strane”. Da una parte, i nostri rappresentanti hanno un po’ traccheggiato, probabilmente colti alla sprovvista dalla risonanza che ha avuto quel post. Dall’altra, credo che sia curioso notare due cose: la prima è il fatto che, sotto-traccia, si percepisca l’idea che l’Università non sia “al servizio” degli studenti ma che anzi è normale che sia tutto il contrario. Ad un certo punto, in un commento spunta questa frase:
“Per quanto riguarda l’inaugurazione hai ragione, per il resto no. Si faceva il trasloco con la struttura incompleta, senza scaffali perché gli studenti hanno esami?“
Ora, io sono malizioso (e probabilmente sbaglio), ma in quella chiusura ci leggo un “solo” reso implicitamente. Una cosa del tipo: “Si faceva il trasloco […] solo perché gli studenti hanno esami?”. Beh, la risposta dovrebbe essere un sorprendente “Sì, dannazione”: siamo noi ad essere il fulcro dell’Università. Non la biblioteca. Nemmeno se progettata da Renzo Piano.
La seconda cosa che ho notato, sono stati alcuni commenti del tipo “ma non avete una scrivania a casa?”. Ecco: chi commenta così probabilmente ha ancora meno chiaro del nostro Ateneo quale sia il ruolo che un’Università pubblica dovrebbe ricoprire. Non si tratta semplicemente di gestire un’azienda: uno degli obiettivi dell’Università è quello di istruire così come ha stabilito lo Statuto UniTn all’articolo 2, in cui afferma
[l]’Università opera per lo sviluppo e la diffusione delle conoscenze e del sapere critico e pone la ricerca a fondamento della propria offerta formativa, culturale e professionale.
Ciò significa, secondo me, che si impegna anche a fornire ogni strumento necessario (e tra i primi vi rientreranno ben delle aule studio adeguate, o no?) prescindendo anche dal debole argomento per cui “nel resto di Italia è così o peggio”: scusate, ma se siamo in grado di fornire un servizio ad un ipotetico “livello 100” (e siamo in grado di farlo, per quanto posso capire) non vedo perché ridurci ad essere parte della media nazionale. Poco importa se questa è a 70, 50, 30 o 10: fornire un servizio minore rispetto alle nostre potenzialità sarebbe come se le prime tre o quattro squadre del campionato si mettessero d’accordo per giocare male in modo da adeguare il livello generale alle ultime 5 o a quelle mediane. Io non ne vedo il senso, ma sono fatto così.
Comunque sia, sono anche piuttosto sicuro che le “proteste istituzionalizzate” lasceranno il tempo che trovano: la BUC sarà un successo perché non ci è data alcuna alternativa, le proteste finiranno nel dimenticatoio e “chi si è visto, si è visto”. Nel frattempo però, credo che sia corretto, di tanto in tanto, rompere le scatole su questi vecchi problemi: magari alla lunga qualcuno ascolterà anche noi.