Il più grande polemizzatore
Venerdì 2 dicembre si è concluso con un ospite di tutto rilievo, l’islamologo svizzero Tariq Ramadan, il ciclo di incontri Utopia 500 organizzato dalla casa editrice Il Margine, in collaborazione con la Provincia autonomia di Trento, il Centro Servizi Culturali Santa Chiara e le Casse Rurali Trentine.
Note arabeggianti provenienti dalla campana di un saxofono soprano (padroneggiato dall’abilissimo Carlo La Manna) creano un’atmosfera a un tempo onirica ed esotica; a catturare l’occhio curioso della platea è però Corrado Bungaro alla nyckelharpa: uno strumento ormai quasi dimenticato, un violino a chiavi con un fascino irresistibile. Le inquietanti note del basso fretless di Carlo La Manna conferiscono tetraggine alla musica eseguita dal Trio Kosmos che introduce così l’incontro, inebriando il teatro con i fantasmi di una fiaba mediorientale.
Concluso il preludio musicale, fa il suo ingresso il fascinoso Tariq Ramadan, anticipato da Massimo Campanini, professore di storia e pensiero dei Paesi islamici e seguito da Riccardo Mazzeo, nel ruolo di traduttore dal francese all’italiano.
Conciso ed efficace come sempre, il discorso introduttivo del professor Campanini contiene pochi cenni alla biografia dell’amico Ramadan e si concentra soprattutto sul percorso intellettuale dello stesso. Nelle parole del professore, l’islamologo di Oxford Tariq Ramadan spicca tra l’intelligentia europea (ed europeista, verrebbe da aggiungere) come un vero e proprio riformista, ambasciatore di una riforma culturale che rimetta in discussione il Turath (ossia – mi sia perdonata l’estrema semplificazione – il lascito e il testamento culturale della tradizione islamica, da cui la storia del pensiero islamico non ha mai potuto prescindere) e “rinegozi” la Shari’a, allo scopo di collocare il musulmano europeo nel contesto storico-culturale che più gli si addice.
Perché il dialogo, segnatamente quello tra Occidente e Islam, non è utopia? Questo è il quesito a cui ha provato a rispondere Tariq Ramadan nel corso della serata.
L’islamologo svizzero ha sin da subito posto l’accento sul concetto di autocoscienza: come poter immaginare uno scontro tra civiltà (come continua a fare qualcuno) se nel suo stesso costituirsi storico l’Islam, dai suoi albori, ha partecipato da protagonista alle vicende dell’Occidente e, viceversa, l’Occidente di quelle dell’Islam?
Nelle parole di Ramadan Islam e Occidente, lungi dall’essere due civiltà opposte, non possono essere trattati come materie parallele e distinte, tanto meno in Europa, e fare ciò significherebbe dare prova di una profonda ignoranza storica.
Il portato culturale europeo, nell’immaginario collettivo, è permeato da radici giudaico cristiane. Ramadan fa però notare che sarebbe buona abitudine annoverare tra le radici costitutive della cultura europea anche quelle islamiche ( per inciso si noti che, in uno degli incontri proposti in Utopia 500 tenutosi al Teatro Sociale di Trento, un applauditissimo Umberto Galimberti andava sostenendo che la nostra cultura di europei occidentali sia ormai esclusivamente cristianizzata).
Ramadan spiega, a ragione, che buona parte della filosofia greca, come noto, è giunta agli studiosi medievali in Europa per tramite dei commentatori arabo – islamici (Al – Farabi, Avicenna e Averroè per citare i più noti). Importante qui è fugare l’idea, piuttosto diffusa, che gli arabi si limitassero a trascrivere le opere greche in lingua araba, dal momento che costoro si ponevano in maniera critica nei confronti del testo, proponendo interpretazioni e importanti rielaborazioni del materiale su cui lavoravano.
Del resto “La matematica non avrebbe fatto grandi passi senza lo Zero” chiosa Ramadan, alludendo alla pesante influenza che la cultura arabo-islamica ha esercitato nei confronti dell’Europa anche per quanto riguarda il pensiero scientifico, ad oggi considerato appannaggio quasi esclusivo dell’Occidente.
Pure in ambito letterario, spiega Ramadan, l’Europa si è spesso confrontata con le realtà artistiche e letterarie arabo-islamiche traendone grandi vantaggi. Per me chiarificatore a questo proposito è stato pensare a Pasolini, quando nella sua Trilogia della vita unisce il contenuto di due pietre miliari della letteratura occidentale, Il Decameron e I racconti di Canterbury, a Il fiore delle Mille e una notte.
Alla luce di queste considerazioni, continuare, come fa qualcuno, a credere che esista uno scontro tra civiltà, segnatamente tra quella arabo musulmana e quella occidentale, non può che risultare un’idea bizzarra e quanto mai imprecisa.
Il dialogo tra Islam e Occidente, nelle parole dell’islamologo svizzero, esiste ed esiste da tempo!
Tariq Ramadan individua al contempo tre grandi problemi che bisogna risolvere in via preliminare per poter condurre un confronto che si dica sano: anzitutto bisogna eliminare la confusione e le imprecisioni terminologiche, al fine di evitare l’ottenimento di un “dialogo tra sordi”.
In secondo luogo va tenuta in seria considerazione la modalità dialogica: nel dialogo quella che va impiegata è la “ragione ragionante” e non già l’emotività. “Dove c’è un eccesso di emozione nel dialogo, vi è al contempo un’incapacità di intendere l’altro”, afferma con decisione Ramadan.
Quando però, anziché “ragione ragionante” e precisione terminologica, trionfano pressapochismo ed eccessiva passionalità, allora l’altro non meglio definito diviene nemico, paure e dubbi si ingigantiscono e veniamo colti da una sorta di “pigrizia intellettuale” che ci impedisce di conoscere il mondo che ci circonda con occhio obbiettivo, permettendoci al contempo di sentirci al riparo dietro le scarse informazioni che possediamo.
Di questi tempi in effetti il dibattito pubblico relativo all’Islam è andato aumentando, soprattutto a causa delle cd.“stragi a matrice islamica” cui abbiamo assistito e continuiamo ad assistere in Medio Oriente, in Africa e nei paesi occidentali; purtroppo però non si può dire che la qualità dell’informazione sia cresciuta con esso: in campo giornalistico si nota spesso della confusione nell’utilizzo di certi concetti (Jihad, Shari’a, Mujaheddin e molti altri), per non parlare dei dibattiti televisivi, spesso deludenti sotto ogni fronte.
Si pensi poi agli attuali movimenti “populisti” che stanno guadagnando terreno in tutta Europa: questi vincono nel dibattito politico anche perché non badano ai fatti, ma speculano sulle tensioni sociali aizzando emarginati contro emarginati, disperati contro altri disperati. Tutto questo avviene perché il dialogo a cui detti movimenti si rifanno non è tanto di tipo razionale, quanto di tipo quasi esclusivamente empatico, un tipo di dialogo in cui, va concesso loro, sono molto efficaci.
Tariq Ramadan si presenta dunque come un pensatore moderato nei modi, ma radicale nei contenuti: l’ostacolo da abbattere, in nome della dignità della vita umana, è anzitutto proprio quella “pigrizia intellettuale” che acceca, in una battaglia che può essere vinta solo tramite responsabilità, coscienza e coraggio.
La responsabilità di ciascuno nel tessuto sociale, la capacità di ognuno di cambiare il mondo a partire da se stesso, la responsabilità di chi legge questo articolo nei confronti di chi lo ha scritto e di chi non lo ha letto, la responsabilità di chi ha ascoltato Tariq Ramadan nei suoi confronti e nei confronti di chi non lo ha potuto sentire.
La coscienza, che è anche (e forse soprattutto) conoscenza, della storia e dei contesti propri e altrui.
E, in ultima analisi, il coraggio: il coraggio di dire che l’Europa è anche musulmana, il coraggio di affermare che alla base del cd. pensiero occidentale rientra a pieno titolo anche il pensiero arabo musulmano, il coraggio di urlare che da europei non tolleriamo la cultura arabo – musulmana (ché non ha nulla per cui farsi tollerare), ma, rispettandola, la riconosciamo anche nostra.
Insomma abbiamo il coraggio di dire che noi europei, per cultura e tradizione, siamo anche musulmani, facendo valere per una volta il pluralismo culturale di cui ci vantiamo. In seguito a queste riflessioni, verrebbe da raccomandare amichevolmente a chi va attribuendo alla cultura musulmana una maternità incerta, di guardarsi bene dal dispensare (con ignoranza e quindi con incoscienza) titoli sprezzanti, perché c’è il rischio che certe volgarità, a ben guardare, gli si rivolgano contro.
Infine, molte parole sono già state spese riguardo al clima di tensione che si respira in Europa in questi tempi, aggravato dagli ultimi avvenimenti di Berlino; non ne spenderò altre, se non per esprimere cordoglio nei confronti delle famiglie delle vittime.
Mi sia concesso però concludere con due citazioni, che secondo me fungono da eccellente motivo di riflessione riguardo a quanto detto da Tariq Ramadan e, più in generale, riguardo ai fatti cui abbiamo assistito e continuiamo ad assistere in Europa e nel mondo.
“La fede ha bisogno di cultura”1 scrive Tariq Ramadan nel suo Maometto, mi si permetta dunque di citare un passo del Corano che trovo illuminante, tratto dalla Sura (capitolo) della Caverna o della Grotta: “Certo Noi abbiamo mostrato per le genti, in questo Corano, ogni sorta di esempi. Tuttavia l’essere umano è, fra tutti, il più grande polemizzatore” (Q. 18:54)2.
Fabio Bulgarini.
1-Ramadan T., Maometto. Dall’Islam di ieri all’Islam di oggi, Einaudi, 2007.
2-Khaled Fouad Allam (introduzione di), Mandel G. (traduzione e apparati critici di), Il Corano, Utet, Lavis 2011.