Da Pescantina a Lisbona, il racconto del viaggio di Nico e Turbo in Opel corsa
Trento, “Tetley’s Pub”.
“ Perché non ci giriamo il Portogallo in macchina st’estate? ” .
“ Se po fa’; e ti dico, andiamoci con la mia opel corsa”.
17 giorni, quasi 7000 km percorsi, 60 cd musicali ascoltati.
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20 agosto 2016, Alentejo.
“Gasolina! Abbiamo bisogno di benzina, gasolina, por favor!” . L’anziano signore portoghese sembra non comprendere i gesti articolati e le parole di Teo, ma soprattutto sembra non conoscere affatto cosa sia una pompa di benzina. Solerte e concitato accompagna Teo dal meccanico del paese, facendogli comprendere che solo lui possiede delle taniche nel raggio di parecchi chilometri.
L’Alentejo: lunghi filari d’alberi , agglomerati sparsi di povere case contadine, un asfalto sconnesso, crepato e distrutto dal calore opprimente, ed i colori, verde e giallo, intensi, caldi, disposti da un ignoto Mondrian lusitano secoli or sono.
Ho sempre odiato, in qualche modo, i racconti di viaggio; quel tocco narcisistico volto ad una mera aria nostalgica ed artificiale mi ha in un certo qual senso, sempre infastidito. Beninteso, sbaglio a generalizzare, solo che siamo ogni giorno bombardati, sui social e sui media, da foto filtrate di tramonti in spiagge semi-tropicali, caffè americani sfumati da piazze europee e viaggi low-cost “ usa e getta”: una sorta di Ikea per un viaggio eccezionale Fai da Te, il tutto condito da aforismi pronti per l’uso, tanto decontestualizzati ed ignorati come un ananas in un mercato rionale norvegese.
Nelle righe che seguono troverete semplicemente la cronaca di un’avventura nata per caso insieme ad un amico, dietro ad un paio di birre, su una vecchia opel corsa tuttora integra e funzionante .
Raggiungiamo Hondarribia, prima città spagnola oltre il confine, dopo quasi 1300 km e 25 ore di viaggio, stremati, tesi, affamati. La piana francese si è rivelata monotona, scialba e piena di ecomostri (costante che ci ha accompagnato per tutte le due settimane successive), salvo la visita di Cassìs, graziosa cittadina della Provenza affacciata sul Mediterraneo, meta per gaudenti francesi, con casette pittoresche, un bel promontorio, fornai che sfornano croissant magnifici e bar che servono caffè ad 1 euro e settanta.
I paesi baschi prima, la Galizia dopo. Nei giorni successivi è un susseguirsi di paesaggi impervi, pale eoliche, baie mozzafiato e macchine con targa spagnola. Il Nord della Spagna, per qualche oscuro e benevolo motivo, è infatti una meta celata al turismo di massa, fatto salvo il Cammino di Santiago. Finisterre è una tappa obbligatoria, anche se affollata di pellegrini; lì l’oceano si spiega per la prima volta in tutta la sua maestosità ai nostri occhi, e gli incendi sui versanti fanno capolino, come monito e presagio a quello che ci aspetta.
En pulpo for favor
Queste le parole magiche per vedersi schiudere il tesoro più prezioso di Pontedeume, borgo galiziano incasellato in una baia da cartolina, dove Luca, il mio vecchio coinquilino toscano (nella più italiana delle rimpatriate) accompagna me e Teo tra il cibo, il vino e la folla variegata e chiassosa, che non conosce quiete sino alle prime luci dell’alba: lì i ragazzini si mescolano ai nonni e le giovani coppie ai poveri scapoli in cerca di compagnia.
Il giorno seguente, virando drasticamente a sud verso l’entroterra portoghese, il paesaggio inizia a mutare: colline aspre popolate da boschi di eucalipti, un’afa opprimente ed un’aria lattiginosa, data dai numerosi incendi.
“There is a world you’re living in, take it in and blow hard”
“There’s a world”, Harvest, Neil Young
“Nick, questa è la strada più bella sulla quale abbia guidato”. Il Douro. La strada tortuosa e stretta si arrampica e cerca un appiglio sulle colline tappezzate di vigneti ed aziende agricole di questa valle arsa dal sole, dove si produce uno dei vini più noti al mondo: il Porto.
O Porto. Quest’ultima è la seconda città del Portogallo per numero di abitanti, città decadente, romantica, caotica, costruita su un’altura lungo un’ansa del fiume Douro, lungo le cui rive aziende vinicole dispensano e commerciano il loro dolce prodotto. Ma non sono i colori ed i profumi inebrianti della città a colpire i nostri sensi, bensì la povertà dilagante della sua periferia, con le baracche, i vicoli tortuosi dove le macchine e gli autobus (avete presente gli autobus Mercedes presenti nella maggior parte delle riprese di una regione cubana qualsiasi? Ecco quelli) si spostano con difficoltà, dove i tossicodipendenti passeggiano come fantasmi nei parchi, e dove i parcheggiatori abusivi regnano incontrastati. O Porto ci lascia scossi e parecchio frastornati, sbattendoci per la prima volta in faccia la realtà di uno dei paesi più poveri del continente europeo.
Durante la settimana successiva alla triste visita di O Porto abbiamo modo di attraversare il paese in lungo e il largo: la piccola cittadina fortificata di Obidos, con le sue casette colorate; il grazioso villaggio di Azenhas Do Mar, abbarbicato su un promontorio mozzafiato ad una quarantina di chilometri da Lisbona; Coimbra, terza città per numero di abitanti del paese, sede di una delle più antiche università del paese, elettrizzante, viva, caratterizzata dall’influsso moresco secoli or sono; Evora, con il suo acquedotto romano, fortemente turistica, seppur affascinante, ricca di storia e tradizioni.
Tutto questo tuttavia è solo ciò che fa da cornice alla campagna portoghese, dove il tempo sembra essersi fermato tra le case dei contadini, refrattarie e repellenti al flusso del progresso, alle orde affamate e voraci, simili a locuste dei turisti, ai filtri di Instagram.
“ Carapados e Sardinha “
I continui saliscendi, i tram gialli, il quartiere sporco e affascinante dell’Alfama, i sublimi dolcetti alla crema e cannella (Pasteis de Nata), le piazzette, così simili a Montmartre a Parigi, del Bairro Alto, insomma Lisbona è una città favolosa. Così diversa da O Porto; luminosa, aperta, limpida. E’ un piacere perdersi nel suo dedalo di strade, imbattendosi in vecchi negozi di cianfrusaglie, negozietti vintage e dell’usato, bettole mete di pellegrinaggio per i ricercatori di vinili, e trovarsi sul calar della sera a mangiare pesce fresco in un piccolo ristorante, lontani dal traffico e dalla mondanità del centro, sorseggiando ginginha (liquore locale a base di amarena) insieme agli anziani gestori.
“Anche Charlie fa il Surf a Carrapateira”
Carrapateira, una sorta di Gerusalemme del surf. In una baia da sogno, spazzata dal furibondo e veemente vento dell’Atlantico, decine e decine di surfisti si danno appuntamento in una delle spiagge più suggestive del continente europeo. L’area è gremita di comunità freak e autostoppisti.
Pochi chilometri a sud di Carrapateira il Cabo de Sao Vicente “delimita” i confini occidentali del continente europeo; il fascino romantico del luogo è notevole: l’Oceano si spiega piatto ed uniforme, il promontorio aspro, selvaggio ed inospitale, è il posto di una vita per vedere il tramonto perfetto, in solitaria con un amico. Ma anche no. Il luogo è affollato di turisti, scaricati come mucche al pascolo dai numerosi autobus giusto in tempo per la “prima” del tardo pomeriggio, che si sentono in dovere di far partire l’italiota applauso, come se fossimo tutti insieme sull’aereo.
SKETCHES OF SPAIN
“Turbo, questa è di sicuro la strada più bella sulla quale abbia guidato”.
Ronda, Granada, gli incredibili paesaggi e montagne della Sierra Nevada, il deserto del Tabernas ( per i cultori del genere, il west di Sergio Leone ).
L’Andalusia è un paradiso del road trip: canyon scavati da fiumi ad oltre 1000m di altitudine, altopiani sconfinati, ulivi che dimorano a fianco dei cactus, montagne a “ panettone” che sbucano direttamente dal deserto; in poche parole sembra di essere catapultati indietro di parecchie decine anni, tra Peter Fonda, Dennis Hopper e Jack Nicholson in “Easy Rider”.
Ronda è un gioiellino incastonato a metà strada tra Siviglia, Granada e Cordoba; amata da personaggi come Hemingway ed Orson Welles, ma anche, a quanto pare da coreani e russi (bar e luoghi d’attrazione presentano insegne ed istruzioni di vario tipo principalmente in queste due lingue, vai te a saperne il motivo), Ronda è famosa, oltre che per la “Plaza de Toros” più antica di Spagna, soprattutto per il “Ponte Nuevo” , che collega le due parti separate di città.
Granada, arabeggiante e caotica, dominata dalla magnifica Alhambra è una città dai due volti, dove il quartiere arabo (il quale di caratteristico ed originale, oggi, ha solo il nome) separa la città nuova da quella vecchia (calda, polverosa, incredibilmente ripida), dove i negozi di lusso vivono fianco a fianco alla magnifica Cattedrale dell’Incarnazione, e dove puoi ritrovare un vecchio frequentatore del bar del tuo paese natale, ora artista di strada (sì, veramente).
Going Home
John Martyn urla a squarciagola quanto sia felice di tornare a casa (“Over the Hill”, [N.d.R]).
Ciò che rimane alla fine di tutti questi chilometri, saturi di stazioni di servizio e uscite autostradali sbagliate, è un senso di appagamento, di attaccamento alla terra, fatto di tradizioni popolari e storiche, intrinsecamente radicate nella gente incontrata, dove il silenzio del deserto viene squarciato dalle urla in televisione della corrida, mentre si mangia zuppa contadina, in un’anonima stazione a 2000 km da casa.
7000 KM SENZA UNO STRALCIO DI MUSICA?
16 CD PRONTI PER L’USO
- “ Sketches of Spain”, Miles Davis
- “Figure 8”, Elliott Smith
- “Volunteers”, Jefferson Airplane
- “Cosmo’s Factory”, Creedence Clearwater Revival
- “Solid Air”, John Martyn
- “On Fire”, Galaxie 500
- “Into the Wild OST”, Eddie Vedder
- “Legend”, Bob Marley & The Wailers
- “Will to Live”, Ben Harper
- “Harvest”, Neil Young
- “Emozioni”, Lucio Battisti
- “Pink Moon”, Nick Drake
- “Abbey Road”, The Beatles
- “Pressure Drop”, Toots and the Maytals
- “Astral Weeks”, Van Morrison
- “The Singles”, The Clash
NOTE CONCLUSIVE:
Per assenza di tempo materiale e scomodità pratiche, il paese di Monsanto e le città di Oviedo, San Sebastiàn e Cordova son state saltate.
Per qualunque informazione pratica ( campeggi, ristoranti, strade consigliate ecc. ) scriveteci e chiedete pure ai protagonisti.
Niccolò Ragno
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