Il caso Montemagno: come avere successo online e sbancare offline
Come fai a diventare il caso editoriale di questo inizio 2017, occupando la prima posizione dei best-seller di Amazon ancora prima di essere pubblicato? Non serve essere uno scrittore di successo, basta avere una community fortissima e comunicare contenuti di alto livello. Tutto ciò corrisponde al profilo di Marco Montemagno, imprenditore, comunicatore e uno dei volti più noti della divulgazione digitale in Italia, il cui libro “Codice Montemagno” è andato praticamente esaurito il primo giorno di vendita. Montemagno ha una pagina Facebook dove è seguito da 300.000 persone, ed i suoi video hanno una media di 2 milioni di visualizzazioni al mese. Sì, perché la forza di Montemagno nell’ultimo anno e mezzo sono stati proprio i video su Facebook, dove ne carica uno al giorno, analizzando fatti e concetti sempre diversi, e rivolgendosi a chi vuole fare impresa o anche solo capire le immense potenzialità del digitale. Ma Montemagno prima di diventare una sorta di guru del web e del digitale ha fatto molto altro: ha lavorato per anni a SkyTg24 con un programma sulla tecnologia e sul web, ha co-fondato Blogosfere (poi comprata dal Sole24Ore), ha portato in Italia la Social Media Week, ha moderato tantissimi eventi e forum, ha intervistato persone del calibro di Jeff Bezos (fondatore Amazon), Al Gore, e Steve Ballmer (AD Microsoft), ha fatto aziende, ha fallito, ne ha fatte altre e poi le ha vendute. Insomma, Marco Montemagno ha fatto molte cose, tanto che alla fine si definisce imprenditore di sé stesso, e in concomitanza con l’uscita del suo libro, abbiamo voluto intervistarlo per conoscerlo meglio e rubargli qualche consiglio per capire in che direzione vanno comunicazione e digitale al giorno d’oggi.
La prima domanda molto scontata è: sinceramente ti aspettavi tutto questo successo, ma soprattutto questo affetto ed entusiasmo dalle gente?
No, no assolutamente. Devo dire che è davvero sorprendente, perché sai, quando sei abituato a lavorare nel mondo della tecnologia, del business, del digitale e delle aziende, lavori in un mondo freddo. Non c’è entusiasmo, sì certo è entusiasmante se un progetto funziona, però non c’è quell’affetto come se vai ad un evento e la gente dice “caspita dai facciamoci una foto!”, è davvero cambiato completamente il rapporto con le persone rispetto ad anni fa. Ho fatto tanti eventi nella mia vita e non mi è mai capitato di non riuscire a scendere da un palco, invece l’ultima volta sono sceso dal palco, stavo per andare verso la porta ed ho visto 600 persone arrivarmi addosso e mi sono un po’ preso paura. Alla fine stato due ore a parlare con la gente che veniva lì, adulti ma anche tanti ragazzi che avevano voglia di fare delle cose o dei progetti. Io alla fine non sono mica Justin Bieber, non canto, non mi spoglio e parlo anche di cose noiose, però ora sto ricevendo un affetto incredibile, è davvero una bella sensazione.
Da quando hai iniziato a curare maggiormente la pagina Facebook e poi scritto questo libro, il guadagno economico non è stato il motivo principale per cui l’hai fatto. Ma allora qual è il tuo guadagno più grande?
Ci sono due aspetti. Uno è il fatto che quando hai 45 anni non sei più di primo pelo e quindi non sei più motivato da quello che ti motivava quando avevi vent’anni e iniziavi lavorare. Bisogna allora considerare quello che mi motiva oggi, premesso che non mi hanno mai motivato i soldi in generale, non sono affatto un miliardario e infatti non faccio video per dire come fare il grano online. I soldi non sono mai stati il mio focus neanche da sbarbato, quello che provo davvero a fare è cercare di lasciare un minimo impatto tra qui ed i prossimi dieci o vent’anni; dare un minimo di ispirazione a qualcuno perché possa lanciare i propri progetti e possa essere soddisfatto della sua vita lavorativa. Questo secondo me ti dà un senso. Dall’altro lato poi è chiaro che quando una cosa, come nel mio caso, esplode a questo livello, puoi poi monetizzare la visibilità in mille modi. La cosa importante è farlo bene: io non vendo corsi di motivazione o altra roba del genere, come anche un libro senz’altro non è il tuo modo per guadagnare a meno che tu non scriva Harry Potter e venda 500 milioni di copie. È un modo di comunicare e raggiungere persone che non incontravo online.
A chi magari non ti conosce può venire spontaneo chiedersi: quando si ferma la finta del voler vendere e vendersi e quando inizia la sincerità? Si può essere sinceramente sé stessi e comunque essere desiderabili?
Guarda è molto semplice: se tu ogni giorno comuni online, dopo un po’ ti sgamano se non sei te stesso e se reciti. Dopo un po’ non ce la fai più perché ormai non c’è solo il video che fai te e che puoi montare come vuoi, c’è la diretta, c’è la gente che commenta su miliardi di piattaforme, ci sono gli eventi fisici dove le persone ti chiedono effettivamente come fai a fare le cose. In questo mondo qua la recita non sta in piedi tanto. Secondo me quindi la cosa più importante è essere sinceri, che è anche la cosa più facile e che ti puoi ricordare meglio. Dall’altro lato sono un imprenditore, non faccio beneficenza, vivo in Inghilterra da tanti anni, ho lanciato tanti progetti, lavoro nel mondo delle aziende e quindi è ovvio che la mia crescita come brand personale sulla mia pagina ha una ricaduta sul mondo del business. Quale ricaduta? Ognuno poi decide quello che preferisce, per cui ci sono persone che dicono monetizzo mettendomi a vendere video corsi, altri lanciando un azienda che fa consulenza sui temi social e via dicendo. Ad oggi, nel mio caso, la mia visibilità non è ancora molto monetizzata. Ho qualche collaborazione con qualche azienda che mi paga per associare il proprio brand alla mia immagine, ma l’importante è che sia tutto molto trasparente: se io faccio una cosa per cui vengo pagato te lo dico chiaramente. Esco con il libro ed è ovvio che voglio vederti il mio libro, ma per me va bene lo stesso anche se continui a guardare i video gratuiti. L’importante è che se fai video gratis non ci deve essere niente attaccato dietro, dai il meglio di quello che puoi dare. Se poi a qualcuno non va giù il fatto che devi mangiare anche tu, non ti seguirà più.
Pensi che i contenuti che pubblichi siano così interessanti perché sono competenze che in Italia non sono ancora così sviluppate? Lavorando fuori, vedi davvero l’Italia così indietro sui temi del digitale e dell’imprenditoria?
L’Italia è effettivamente indietro, fermo restando che io parlo sempre di due temi, digitale e comunicazione. Con questa lente d’ingrandimento parlo poi di una grande varietà di argomenti, che sia Donald Trump o il marketing della bellezza. L’Italia è indietro specialmente sul digitale: uno dei miei ultimi video per esempio parla di automazione e lavoro, un tema su cui c’è poca cultura ma che sta cambiando il mondo. Pochi però se ne rendono conto, per cui è facile parlarne, mentre all’estero invece c’è un sacco di gente che parla di questi argomenti. Dall’altro lato quello che fa la differenza sui contenuti online non è soltanto il livello di approfondimento del contenuto, perché più o meno se tu leggi tanto è difficile trovare uno che tiri fuori un’idea geniale ed originalissima, quello che fa la differenza è però come tu cali quell’informazione che abbiamo tutti, come l’automazione, secondo la tua esperienza, lì è diverso. Diverse persone possono avere un livello di profondità, su uno stesso argomento, totalmente diverso e quello secondo me fa la differenza. A volte le gente parla di qualcosa, fa informazione, ma in realtà non c’è dietro niente, non c’è un vissuto e quindi è poco credibile.
C’è una frase famosa di Simon Sinek che dice “Le persone non acquistano ciò che fai, acquistano il perché lo fai”. È oggi necessario mostrare il nostro commitment in tutto quello che facciamo, e costruire il nostro storytelling individuale?
Certo, tantissimi da sempre dicono che nessuno compra solo il tuo prodotto, ma la tua storia ed i tuoi valori, e la tua citazione rispecchia l’importanza di creare una narrativa attorno a quello che fai, questo è senz’altro importantissimo. La differenza secondo me la fa la differenza fra informare e comunicare. Tu puoi essere bravissimo a informare su quanto le piantine sono fondamentali per l’esistenza del pianeta, ma comunicare è diverso: devi cercare di trovare una modalità narrativa e dei valori in cui entrambi ci riconosciamo, per cui la persona che ti ascolta non si limita solamente a prendere nota dell’informazione ma dice “Ca**o d’ora in poi vado anch’io a piantare le piantine bonsai a Gallarate!”. Questa è la differenza per arrivare a questo livello di innescamento delle persone, per far sì che facciano qualcosa hai bisogno di ispirarle e le ispiri con delle storie nel senso positivo, che servano a trovare un’identità comune.
Il tuo caso dimostra come una community (relativamente) piccola, unita e altamente specializzata funzioni alla grande. Questa piccola dimensione, a dispetto della grandezza del web, può risultare una soluzione vincente?
Sì, si va sempre più verso community verticali. Basta pensare a BuzzFeed, che ha 90 pagine Facebook che gestisce al posto di avere un macro tema. In questo modo va a prendere tante piccole community, molto specifiche, e parla con quelle community di quell’argomento che gli interessa, con il vantaggio che sono molto più coinvolte e attive. Tanti anni fa con un mio vecchio socio avevo lanciato Blogosfere, dove avevamo un network di blog verticali con 250 blog che parlavano ognuno di un argomento specifico. Il consiglio è che se vuoi avere il tuo messaggio ben recepito è meglio parlare con una community molto precisa piuttosto che generalista.
Tu ti sei occupato anche di formazione con SuperSummit. Cosa pensi sia importante oggi nella formazione? Ci sono dei modelli ormai da abbandonare?
Innanzitutto unire tutto il mondo online e offline e poi evitare che la formazione sia soltanto un apprendimento mnemonico, in cui si ripetono e rigurgitano semplicemente concetti. Mi piace la piramide di Bloom, quindi il fatto che ci siano vari step nell’educazione delle persone e che uno debba riuscire a prendere e realizzare, a creare qualche cosa di suo grazie a quello che ha appreso. Chiaramente l’informazione è sempre più una commodity, per cui tutti abbiamo formazione, quello che fa la differenza è avere grandi professori che ti possano ispirare e ti possano fare innamorare della matematica, dei modelli finanziari o di qualunque tema.
Per concludere, sempre in tema formazione, quanto è importante sapersi rialzare dopo un fallimento e qual è la tua esperienza con il fallimento?
Di fallimenti ne ho talmente tanti che dovrei scrivere anche Scodice Montemagno, un libro con tutti i miei fallimenti. Perché sono tutti bravi a fare i fenomeni ma la verità è che inevitabilmente nella vita passi da mille casini, che possono essere personali o professionali. Uno di questi, una decina di anni fa, è stato provare a fare “Codice internet”, dove andavo a fare un tour nei teatri per divulgare internet. Andavo in giro come un pirla con un cartello ILoveInternet pensando che Montemagno arrivasse nei teatri per parlare di Internet e arrivassero anche migliaia di persone entusiaste ad ascoltarlo. Una volta sono andato a Roma. Tu entravi dal retro e non sapevi come fosse fatta la sala. Lo speaker mi presenta, io entro, pronto con il mio monologo che durava un’ora e mezza, e non c’era nessuno, letteralmente nessuno, la sala era completamente vuota. L’organizzatore però, che sicuramente pigliava i soldi per dimostrare che l’evento l’aveva fatto, diceva che la ripresa c’era e quindi mi fa “Parla! Parla!”. Per tre minuti sono partito a parlare, poi gli ho detto: basta, taglia! E quella è stata una della tante, delle mille. Vai avanti, impari e cerchi di fare meglio la prossima volta.