Gender, Equality, Trentino: ecco com’è andata a finire
TRENTO – Il 10 maggio 2017 è giunta al termine la discussione in Consiglio Provinciale sull’introduzione della doppia preferenza di genere, di cui avevo scritto sul n. 4 de l’Universitario (edizione cartacea). La proposta di legge per introdurre anche in Trentino le cosiddette quote rosa è stata ritirata: impossibile superare i quasi cinquemila emendamenti presentati dalle opposizioni al solo fine di ostacolare la votazione sulla legge.
Un breve riassunto della vicenda. Nel novembre 2013 il centrosinistra vince le elezioni provinciali: l’ex assessore Ugo Rossi (PATT), che aveva vinto le primarie di coalizione nell’estate precedente, diventa il nuovo presidente della provincia autonoma di Trento. Fra i punti del suo programma vi è l’introduzione in Trentino della doppia preferenza di genere, ossia una modifica alla legge elettorale per cui chi esprime due preferenze deve scegliere candidati di sesso opposto, pena la nullità del voto espresso per secondo. Ciò avviene già nel resto d’Italia per quanto stabilito dalla legge 215/2012 che però non si applica in Trentino, per via del suo Statuto Speciale. Alcuni consiglieri si sono messi al lavoro, elaborando delle proposte poi confluite in un unico disegno di legge co-firmato da Lucia Maestri (PD) e Giacomo Bezzi (FI).
Le quote rosa sono uno strumento sicuramente non esente da critiche sostanziali, ma la discussione in Consiglio Provinciale non è mai entrata nel merito. Alcuni consiglieri di minoranza, infatti, hanno assunto un atteggiamento antagonistico e ostruzionistico nei confronti della proposta di legge, producendo migliaia di emendamenti per evitare che si giungesse ad una votazione sulla proposta.
Certamente ciò è avvenuto per ragioni di convenienza politica: attualmente l’organo regionale conta appena sei consigliere di sesso femminile, dunque l’introduzione di una simile legge può sicuramente far tremare la terra sotto qualche… poltrona. Al di là del centrosinistra, litigioso ma quasi sempre unito, lo scenario politico trentino è infatti piuttosto frammentato: alle scorse elezioni si presentarono ben undici candidati diversi, e i partiti di minoranza ottennero solo dodici consiglieri. Con così pochi scranni a disposizione, non risulta dunque difficile capire l’ostilità manifestata da alcuni partiti di minoranza.
L’atteggiamento dei consiglieri durante la discussione è stato spesso sopra le righe. I giornali locali hanno riportato alcuni degli scambi di battute più incresciosi. Giusto per fare qualche esempio, il consigliere Kaswalder (gruppo misto, ex PATT) avrebbe usato il dialetto per dire che “A ciacere no se sgionfa done” (“Con le chiacchiere non si gonfiano le donne”). Civettini (Civica Trentina), fra i più strenui oppositori della legge, ha polemizzato “Ma se prevediamo le quote riservate per le donne, perché non la quota per i trans? Perché no per i gay e per le lesbiche?”. Il suo ex collega di partito Cia, ora confluito nel gruppo misto, ha chiesto con aria di sfida ad una collega donna, l’assessora Ferrari (PD), se l’atmosfera dell’aula consiliare l’avesse mai traumatizzata. Il più provocatorio di tutti è stato probabilmente il consigliere Borga (Civica Trentina) che fra le altre cose ha presentato un ordine del giorno per “contare i generi”.
La maggioranza ha provato a cercare una soluzione all’impasse creatasi, ma senza particolare successo. È stato proposto un “supercanguro”, ossia un maxi-emendamento per bypassare la mole di modifiche proposte; è stato proposto di sottoporre la legge a referendum: ma ogni proposta di dialogo è stata rispedita al mittente dagli schieramenti di opposizione (eccezion fatta per Forza Italia il cui unico rappresentante in consiglio è Bezzi, firmatario della legge) finché il 10 maggio i propositori della legge non hanno alzato bandiera bianca.
Per rendere il tutto ancora più grottesco, alcuni partiti di opposizione hanno poi puntato il dito contro la coalizione di governo, accusandola dell’insuccesso nell’approvazione della legge e bollandola di ipocrisia, insinuando che i consiglieri di centrosinistra fossero i primi a temere per le loro poltrone. Non c’è dubbio che parte della maggioranza sia stata meno che tiepida alla proposta di legge – in certi casi non c’era nemmeno il numero legale per procedere alle votazioni – ma in ultima analisi questo scaricabarile non è che l’ennesima dimostrazione della scarsa serietà che molti consiglieri di ogni colore politico hanno palesato nei confronti di questa legge e purtroppo, in molti casi, anche dell’uguaglianza di genere.