Vietato Tatuare
di Ludovico Fiamozzi
È un sabato pomeriggio di fine ottobre e mi trovo in un quartiere deserto della parte
industriale di Bolzano. Fiero del mio biglietto già stampato, mi avvio verso l’entrata della
zona Fiera, curioso di vedere come sarà la quinta edizione di Passion Art Tattoo.
Le poche macchine parcheggiate e l’eccessiva quiete intorno a me mi fanno sorgere
qualche dubbio. La biglietteria con la serranda chiusa trasforma i dubbi in forti sospetti. La
certezza mi viene dalle parole di un addetto alla sicurezza: la fiera del tatuaggio quest’anno si
è spostata.
Seduto in autobus in direzione Palasport, rifletto sulla crescita che eventi di questo
genere stanno avendo in tutta Italia. Il terzo anno che vengo coincide con la terza location
cambiata, e quando finalmente riesco ad entrare il colpo d’occhio è evidente. La
manifestazione è maturata, gli stand sono aumentati, i visitatori non mancano.
Ma cosa si va a fare esattamente a una fiera del tatuaggio? In generale quello che si fa in
una qualsiasi fiera, si cammina tra gli stand, si toccano le cose, ci si guarda incuriositi. Nello
specifico gli spazi sono occupati da tatuatori provenienti da tutta Italia (ma leggo anche
Londra), in cui puoi prenotare il tuo tatuaggio da fare direttamente in fiera a un prezzo
scontato rispetto al negozio.
Scendo gli scalini degli spalti e decido di tuffarmi nella confusione e nel rumore
percepibili fin dall’entrata. Immediatamente vengo inondato da una stravagante varietà di
cose che quasi mi inebria. Ci sono tatuaggi di tutte le forme, gli stili, i colori possibili, eseguiti
da persone con vestiti e capelli che non pensavo potessero esistere. Certo è un bagno di umiltà
per chiunque si possa sentire anche un minimo originale, al punto che gli orecchini e la
collana che indosso, ultimi baluardi del mio rifiuto giovanile all’omologazione, rischiano di
svanire nella quantità di piercing, dilatatori, anelli che qui pullulano.
La fiera del tatuaggio è tuttavia come un incantesimo. L’effetto d’euforia svanisce dopo
circa trenta minuti. Il copione diventa prevedibile e il paesaggio ripetitivo. La minaccia della
monotonia è dietro l’angolo e cerco in qualche modo di esorcizzarla. Per fortuna mi vengono
in soccorso tre episodi minimi, che mi rimangono ben impressi nella memoria e che
riassumerei in tre precisi termini: compassione; amore; memoria storica.
Il pianto di una ragazza, per la verità non più giovanissima, impaurita dal pensiero
dell’ago che perfora la pelle, rappresenta per me un sospiro di sollievo. È un barlume di
innocenza e di dubbio in un clima generale di sicurezza e ostentazione. Le cure e le attenzioni
a lei rivolte da due tatuatori, anche loro non molto giovani, con vistosi tatuaggi che
incorniciano il viso, mi fanno credere che questa scena di compassione, molto dolce e surreale
al tempo stesso, sia stata scritta da un regista visionario.
Rimanendo in tema cinematografico, ricordo di aver letto in una rivista che Johnny
Depp, qualche anno fa, si fece tatuare il nome della compagna Winona. Negli anni l’attore ha
avuto modo di pentirsi e di modificare il tatuaggio, ma rimane la dimostrazione di un
espediente classico, assai sconsigliato. Lasciare sulla pelle un segno indelebile (spesso il
nome) della persona amata. Alla Passion Art Tattoo succede di più: il regista immaginario già
citato sopra disegna una scena d’amore indimenticabile. Vedo un uomo sulla quarantina che si
fa tatuare sull’avambraccio il ritratto della fidanzata. Nel sorriso della foto usata come base
per il disegno riconosco lo sguardo soddisfatto della donna seduta davanti a lui. La vera
protagonista, che monitora attentamente il lavoro in corso, appare più convinta del suo
compagno. «Spero che si lascino», qualcuno mi sussurra. Ammetto che la parte più cinica di
me desidera altrettanto.
Terminata la passeggiata, rifaccio gli scalini per andare a spulciare tra le bancarelle che
si trovano all’entrata. Non sono molte in realtà. Vendono principalmente attrezzi specifici per
gli addetti ai lavori, piercing e bigiotteria. Due spiccano sulle altre: una vende pezzi da
collezione e vestiario legato ad una sorta di feticismo militare; l’altra vende cose simili ma
legate ad un’estetica che oscilla tra il dark e il biker.
Mi avvicino a quest’ultima. Vengo accolto da un giovane corpulento, nero vestito e
dalla lunga barba, dai modi abbastanza gentili. L’occhio si sofferma sulle teche espositive
poste accanto alla cassa, e all’improvviso vedo Lui. Tra gli adesivi spicca il severo profilo
etrusco di Mussolini. Sono ‘contento’ di scoprire un ragazzo appassionato di storia, che mi
permette di riesumare in un secondo la memoria storica del nostro Paese. Vorrei chiedere da
dove nasca questo profondo interesse. Ma tra granate, proiettili, tirapugni, nel dubbio non gli
dico niente e mi allontano per non riavvicinarmi più.
Una volta uscito, dopo circa due ore di visita, mi sento felice di essere stato qui. Il fatto
che tatuaggi, piercing, acconciature strane siano sempre più diffusi e tollerati è per me
rassicurante. Credo che il corpo sia una cosa che ci appartiene e quindi possiamo farne un po’
quello che vogliamo. Se una persona vuole decorare una parte di sé è giusto che lo faccia. Io
ho attualmente ho tre tatuaggi, di cui vado fiero. Quando mi chiedono di fornirne un movente
a parole, mi sento in imbarazzo. Perché considero il tatuaggio una cosa molto personale e
soggettiva. Ogni tatuaggio, il mio come quello di tutti, ha una significato diverso e
incontestabile.
Mi auguro che questo non lo pensi solo io. Che il tatuaggio non diventi una vetrina in
cui specchiarsi. È questa la domanda con cui salgo nel treno di ritorno.