Li poeti novelli

di Cielo, Pannuccio…e Perilla!

 

Continua  il nostro pellegrinaggio sulle vie della poesia tridentina.

Martedì 7 novembre, acqua, neve, ghiaccio e gelo
al calare delle ombre, se ne andonno Panno e Cielo           
a cacciar novi poeti, sotto l’ombra d’Aldighieri
tra li pusher e li neri, al Cafè de li liberti.
(Piazza Dante)

Uno disse “vuoi l’ashisho?” noi li dimmo “fero e laido!”
lui ne trasse lo coltello, noi gli offrimmo il culatello…
poi partimmo un po’ dolenti, pur contenti della bega
potevamo perder’ denti, demmo solo…la bottega.

D’un tratto, a lato della via, venne nobile pulzella
quale mai bella fu vista, la chiamavasi Perilla!
com’ Ovidio ebbe nomato la sua putta aurocrinita
così ella era nomata. Oh Perilla! M’innamoro per audita!

I suoi occhi fer’ trapasso Cielo e Panno fecer’ coro
“Una musa in mezzo al passo! Anche lei di piuma d’oro!”
Fur li cori dei due furi franti in mille da saetta
rupti a mezzo con dolori, li spirti sparti in tutta fretta.

E così li due esegeti, si trovaro ne la septa
con l’ausilio di Fortuna, pulcherrima e savia adepta.
Poi le fecero firmare (verba volant, manent scripta)
lo contracto del giornale: entraro allora ne la cripta
de lo circoletto Scripta.

 

 

Entriamo nel Liber Cafè e conosciamo Viky, ideatrice di Scripta, un circolo di scrittura-lettura. Anche questa volta sono emerse alcune riflessioni sulla poesia, il ruolo di chi scrive e, soprattutto, di chi legge. Scripta è un gruppo di amanti della scrittura che non cerca un pubblico vasto e che si riunisce per condividere scritti creativi.

    Vi vogliamo ricordare che noi, come voi cari lettori, siamo andati in avanscoperta: anche noi vogliamo farci un’idea di chi scrive poesia oggi fuori dai circuiti dell’editoria, di cosa parla e come scrive. In due parole, anche noi non ne sappiamo un tubo! Certo, non siamo tanto ingenui da pensare di andare ad un circolo di poesia e trovare quartine e sonetti; quello che ci ha sorpreso, però, è che al circolo ciò che è stato letto aveva poco o nulla a che fare con la poesia per come la si concepisce comunemente: abbiamo ascoltato racconti, monologhi interiori, canzoni (addirittura un contrafactum! Un testo inventato sugli accordi di una canzone di Guccini). Insomma Scripta non è solo un circolo di poesia, ognuno porta ciò che vuole e lo legge. D’altra parte – ce lo hanno detto gli stessi autori – i testi letti non sono ascrivibili ad un genere letterario preciso e non sono nemmeno soggetti alla categorica distinzione poesia/prosa: quello che conta, ci è parso di capire, per gli adepti di Scripta, è il contenuto.

    Dalle parole di alcuni di loro è emerso il timore che le forme, la metrica, il genere finiscano col negare la spontaneità individuale vincolando l’autore alle artificiosità della letteratura. Parlando di generi qualcuno di loro ha storto il naso, ed è uscita fuori la parola “etichette”: “Non c’è bisogno di etichettare, vogliamo romperle queste gabbie?” e lì abbiamo storto il naso noi. Non perché siamo irragionevolmente attaccati alle etichette (o forse un po’ sì) ma perché la nostra domanda era volta a capire meglio, ad entrare meglio nella loro idea di scrittura e nel loro testo: era una domanda critica. Una risposta del genere, sulla difensiva, semplicemente rifiuta il dialogo. Secondo noi il confronto con gli autori, con i generi è, oltre che fruttuoso, ricco di spunti, ed è un buon criterio da seguire per instaurare un dialogo critico. Insomma, ci siamo chiesti, su cosa verte il dialogo dopo aver letto un testo? Da come è stata accolta la nostra domanda abbiamo dedotto che a Scripta non si parli tanto di letteratura, quanto piuttosto dei contenuti dei testi. Anzi, si è parlato poco e si è perlopiù letto.

    Quello che accomuna i membri di Scripta che abbiamo conosciuto è il bisogno di trovare un mezzo per esprimersi e un luogo per pensare a sé stessi. Per questi scriptores la scrittura è principalmente un luogo in cui specchiarsi. Ed è vero che la letteratura è un luogo in cui specchiarsi, ma crediamo che se di letteratura vogliamo parlare, questa non debba essere ridotta soltanto a uno strumento. In questo modo si corre il rischio che le pagine si riempiano di autoritratti dell’autore: in altre parole si rischia l’autoreferenzialità. Molti sono gli autori che hanno parlato di se stessi per i quali l’uso degli strumenti tecnici della letteratura è stato più che un ostacolo un mezzo: l’artificio letterario può allontanare l’Io da sé stesso, ma può anche avvicinare molto il lettore, soprattutto quando il confronto con la letteratura diventa un modo di mediare sé stessi per rendersi più vicini a un ipotetico “tu”. Quando abbiamo chiesto loro se fossero abituati, nel momento della scrittura, a considerare la presenza del lettore, la maggior parte di loro ci ha risposto di no. E allora perché portare testi diaristici agli altri? Per confidarsi? Il lettore vuole essere divertito, emozionato, trascinato a terra, affogato nella lordura, immerso in un barattolo di miele e portato nudo sulla cime dell’Himalaya. Il consiglio che ci sentiamo di dare agli scrittori di Scripta in qualità di lettori – sebbene per molti di loro non sia prevista la presenza di questa figura – è di lasciarsi ispirare dalla letteratura degli altri, soprattutto dalle forme. Tutti producono pensieri, molti producono pensieri profondi, ma lo scrittore ha la possibilità di farne letteratura. Abbiamo speso due parole sull’autobiografismo perché ci è parso di capire sia la tendenza dominante in Scripta. Ma tra gli scriptores c’è anche chi si cimenta in esperimenti di altro genere. C’è chi ha portato racconti scritti a regola d’arte, e chi si è cimentato con esperimenti di poesia piuttosto originali, o se non originalissimi, diremmo eversivi.

    Forse bisognerebbe compromettersi di più con la letteratura. La letteratura è un ambiente socializzato (anche se spesso abitato da solitari in solitudine) in cui dialogare è tra le cose più belle che si possano fare. Intendiamo dialogo in più accezioni: c’è un dialogo vero e proprio tra i lettori. Questa è la critica. In tutte le sue forme la critica è essenzialmente un dialogo tra i lettori. E poi c’è un dialogo, per così dire, ideale. Le idee di ogni scrittore e di ogni lettore entrano in contatto con le idee dei vecchi lettori e dei vecchi autori. Senza questo chattering la letteratura appassisce. I periodi di crisi delle letterature, infatti, molto spesso sono individuati dagli storici proprio quando la critica si insterilisce (come oggidì), quando si smette di dialogare con il passato (avanguardie) o quando questo dialogo diventa una logorrea (sempre oggidì la critica è insieme logorroica e sterile). Instaurare un dialogo di questo tipo può aiutare anche chi non ha intenzione di essere letto a trovare un confronto, degli stimoli, delle nuove idee grazie alle quali mettersi in discussione come persone, prima ancora che come scrittori. L’unico rischio che si corre è quello di produrre della buona letteratura.

    Viky, ideatrice dell’evento e coordinatrice degli incontri, è un po’ un’eccezione. Il suo compito è quello di ascoltare gli scritti del gruppo, non giudicare i testi ma instaurare un dialogo con i partecipanti incoraggiandoli a scrivere, e lasciarsi leggere. In questo modo i singoli scrittori hanno modo di crearsi un’identità all’interno del gruppo, e dopo qualche incontro la loro personalità letteraria è più o meno definita.

    Viky è tra coloro che hanno più  esperienza di scrittura nel gruppo, scrive da molti anni e questo la porta ad avere un rapporto diverso rispetto agli altri con la letteratura. Con un po’ di reticenza ci confida la sua intenzione di scrivere per un pubblico più ampio. Il testo che ci ha proposto, “Macerie”, è una riflessione proposta a un ideale “tu” e tanto basta a conferire al testo una vocazione che superi il monologo, senza che la soggettività – nodo centrale del circolo – ne risenta troppo.

    Ieri invece siamo stati al Trento poetry slam. Ne parleremo tra qualche giorno, quando ci saremo ripresi nel corpo e nello spirito, abbiamo bevuto anche stavolta –  diamine. Non mancate.

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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