Gli anticorpi che non ci sono più

A oltre 70 anni dalla scelta repubblicana, ci troviamo a convivere costantemente con pensieri e parole oscure, che quella scelta voleva (o sembrava voler) allontanare per sempre dalla nostra vita. Parole oscure cui si accompagnano gesti ancora più oscuri: Tommaso Cerno, condirettore de la Repubblica parla senza troppi giri di parole di “minaccia del conformismo fascista” dopo le incursioni di gruppi di destra estrema ai danni di volontari che si occupano di immigrazione.

Questo però è solo l’ultimo episodio: la destra, quella che si sta rendendo così presente e minacciosa sul territorio, sta spopolando nelle periferie, invadendo le campagne, affascinando gli imprenditori, ammaliando i lavoratori. In un momento di forte frammentazione sociale, di grande disagio verso uno Stato non al meglio della sua forma, i “bravi ragazzi” che distribuiscono pacchi di pasta e rimpiangono il Mascellone sono una valida alternativa a quella classe politica che si è resa incapace di dare risposte a domande basilari, figurarsi a quelle complesse.

Quella che per anni è stata una forza serpeggiante, silenziosa, capace di insinuarsi nelle pieghe della nostra disattenzione, è diventata quello che ha sempre voluto essere: una scelta possibile. Si potrebbero ritirare fuori i paragoni con il cancro o con quelle malattie che si insinuano in un sistema per distruggerlo ma sarebbe un ritornello un po’ stantio. La scelta, ormai evidente, di questi gruppi è quella di competere nel dibattito pubblico, tra pari, utilizzando gli strumenti di quella stessa democrazia che sorge proprio da premesse antifasciste. Nonostante la contraddittorietà (e per fortuna che c’è: l’alternativa sarebbe ben più violenta) questi soggetti politici prosperano: in una recente inchiesta targata l’EspressoAndrea Palladino, Giovanni Tizian e Stefano Vergine hanno analizzato il prosperare di questi movimenti in alcuni contesti europei, soffermandosi su Casa Pound e Forza Nuova, le principali espressione della destra sovranista e neofascista in Italia. Quello che emerge è un quadro di agghiacciante normalità in cui queste due forze non si limitano a fare propaganda ma intrecciano rapporti, predispongono alleanza: si rafforzano avendo alla propria base una rete imprenditoriale tanto efficiente nel raccogliere fondi (quegli stessi fondi che finanziano i pacchi di pasta tanto quanto i raid anti-immigrato: attività sociali di pari livello in quei contesti) quanto diffusa sul territorio ed in Europa.

Quello che, forse scioccamente, pensavamo essere stato delegittimato (lo squadrismo) o ingentilito (il pensiero politico fascista) dall’inquadramento in partiti politici “di governo”, dal Movimento Sociale Italiano a Fratelli d’Italia, oggi è riemerso in modo  tanto dirompente quanto generalmente sottovalutato. Certo, il giorno dopo l’incursione a Como c’è stata un’ondata di biasimo. Certo, ogni volta che una minaccia fascista è indirizzata ad un gruppo o ad una persona od ogni volta in cui esplode quella violenza, tutto intorno monta lo sdegno. Ma nel quotidiano, l’attenzione è molto più bassa: non parlo dei dialoghi tra Casa Pound ed alcuni giornalisti nazionali. Quelle sono occasioni quasi dovute: come puoi dimostrare l’insensatezza del pensiero fascista imponendo il silenzio ad un pensiero difforme, per quanto odioso esso sia? Certo, forse avrei usato un approccio un po’ più duro, ma sta alla sensibilità della persona e del professionista. Quello a cui mi riferisco, invece, sono quelle cronache che, quotidianamente, ci portano notizie di periferie dove l’unica presenza è delle tartarughine nere, quelle stesse che, nei centri storici, affollano locali trendy e intrattengono i salotti, di fatto lavando la faccia ad un movimento molto più oscuro.

Ma la mancanza di attenzione è molto più diffusa: emerge ogni volta in cui all’apertura di una sede di questi gruppi in città medaglia d’oro alla Resistenza (sì, sto parlando di simboli, di propaganda) non monta in modo automatico lo sdegno collettivo; è mancanza di attenzione la totale assenza di una memoria storica sincera che per sua natura porta anche a maturare una consapevolezza inevitabilmente antifascista; manca attenzione se nelle scuole quella parte di storia ha meno rilevanza del Medioevo e che, quando la si racconta, è marginata in una corsa a completare programmi scolastici pensati male e realizzati peggio; manca attenzione se serve un’aggressione per accendere i fari della politica su una situazione come quella di Ostia (altri fari si erano già accesi grazie a chi, come Federica Angeli, ha deciso di denunciare quella realtà) e delle altre Ostia d’Italia. Non sto dicendo (e non dirò mai) che quelle idee ed opinioni non possano essere sostenute: sto dicendo che gli altri, gli antifascisti (il “noi”), dovrebbero avere il coraggio, la voglia, l’urgenza di dire qualcosa, di fare qualcosa, in più. Perché ha ragione Tommaso Cerno quando dice che la minaccia più velata e più pesante sta nella “gentilezza di chi ti dice che puoi continuare a parlare, ora che ti è stato detto che ciò che dici sta tornando a essere pericoloso. Per te e per gli altri”.

Certo, guardandoci indietro non siamo mai veramente usciti da quel tunnel: negli anni Cinquanta e Sessanta, al netto dei politici antifascisti, di quelli che erano in esilio, in prigione o sulle montagne, una parte consistente della classe dirigente era la stessa classe dirigente inquadrata nel regime. Forse non poteva essere altrimenti, ma sicuramente ha portato a non sradicare il (mal-)pensiero fascista. Nella politica i fascisti sono rimasti: alcuni inquadrati in altri partiti, insinuaticisi alla caduta del PNF; altri, invece, in movimenti che non hanno mai ripudiato né abbandonato quelle basi ideologiche. A questa permanenza, però, si affianca anche quella di una parte numericamente non indifferente che ha continuato e continua a sostenere, elettoralmente e non, quelle idee.

Il problema non è il pensiero: non è mai il pensiero. Il problema è che quell’antidoto rappresentato da tutto ciò che non è fascismo non vende tanto quanto quel pensiero nero. E la colpa è di chi ha sottovalutato, di chi non ha valorizzato, di chi “che palle l’antifascismo”, di chi quegli anticorpi ribelli del nostro passato li ha lasciati estinguere. In definitiva, la responsabilità è nostra e nostra soltanto. Lo è tanto per le incursioni di quei naziskin imberbi quanto per Ostia, simbolo (suo malgrado) della diffusione di una malcelata normalità di fronte a certi discorsi e certe azioni che, invece, sono quanto di meno normale ci possa essere.

Emanuele Pastorino

Vivo a Trento, orgogliosamente come immigrato, da un po' di tempo. Membro dell'associazione Ali Aperte.

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