CTRL+City | dalla serie A alla serie BUC

DI Anna Lanzinger, Margherita Povolato, Mattia Lenzi, Christian Salvadori, Andrea Zanotti, Margherita Maestrini con il coordinamento di Acropoli

Tutto ha avuto inizio nel 2003, quando nel comune di Trento, dopo aver approvato la fattibilità del progetto di riqualificazione urbana delle Albere, si è deciso di investire anche in un secondo progetto di riqualificazione: la sede bibliotecaria centrale d’ateneo. L’università aveva acquistato, per una somma di 5 milioni di euro, il lotto del piazzale San Severino, un luogo strategico che avrebbe completato l’area universitaria della città, che si concentra lungo via Verdi. Il progetto avrebbe portato alla conformazione di un campus urbano compatto, dove la biblioteca poteva essere raggiunta da ogni polo universitario in un breve arco temporale. La proposta dell’architetto Mario Botta consisteva in un monumentale edificio a pianta triangolare con un’altezza di oltre trenta metri che lo avrebbe posto in diretto contrasto con il Duomo, andando a generare una dicotomia tra la “cattedrale laica” e la “cattedrale religiosa” ai due estremi di via Verdi. Questo elemento di notevoli dimensioni, lì dove era stato pensato, sarebbe anche diventato la porta d’ingresso ad ovest della città.

Il Comune, chiamato a revisionare il progetto in più occasioni, dopo aver sollevato critiche marginali e perplessità verso un’opera di tale impatto nello skyline trentino, è giunto ad abbandonarlo per far spazio a ciò che più era d’interesse: un numero adeguato di posti auto.

L’Università aveva bisogno di una risposta immediata e non poteva permettersi di ripensare al progetto o accogliere ulteriori proposte. Pertanto l’idea è stata quella di integrare la biblioteca in un intervento di altra natura. E qui ritorniamo alle Albere, dove, ormai dopo 10 anni, era in corso l’ultimazione del quartiere. Per non perdere altro tempo e denaro, l’Università ha deciso di sfruttare i lavori ancora in corso del centro congressi per trasformarlo nella nuova sede della biblioteca, approfittando dei 40 milioni di euro già spesi dalla Provincia. Dovendo ripensare gli spazi in funzione di ciò che era già stato costruito, non poche sono state le problematiche sorte da questo cambio di destinazione.

Il centro congressi di Renzo Piano era stato immaginato come un sistema di due volumi chiusi e sospesi, collegati attraverso una passerella. Ognuno di questi blocchi avrebbe ospitato una sala conferenze: come ogni architetto sa, una sala conferenze è uno spazio chiuso privo di luce naturale. Riadattare, quindi, questo disegno ad una destinazione di biblioteca ha comportato l’unione dei blocchi tramite una scatola di vetro, trasformando uno spazio pubblico in un enorme atrio silenzioso. Inoltre si è sollevato il problema di come far permeare la luce nelle sale lettura: è stato necessario realizzare un’improbabile cavità sovrastata da una copertura vetrata per permettere alla luce di arrivare almeno al secondo piano.

Le trasformazioni realizzate in corso d’opera hanno portato alla demolizione e al riadattamento di numerose parti dell’edificio: questo ha comportato un enorme innalzamento dei costi, soprattutto in rapporto alle prestazioni che la biblioteca doveva garantire. Oggi sono presenti la metà dei posti a sedere che erano stati previsti e i libri contenuti sono pari ad un terzo di quanto siano le reali esigenze dell’Ateneo. Un aspetto quasi simpatico di questa vicenda è che era stato previsto un hotel a fianco del centro congressi, volto ad ospitarne i relatori: adesso questa struttura è inutilmente collegata alla nostra biblioteca.

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In questi mesi l’ateneo si è impegnato a realizzare un altro polo bibliotecario a Mesiano su progetto dello studio Weber+Winterle: l’edificio, ancora in costruzione, si sta proponendo come un’opera più modesta nei costi e nelle ambizioni, ma con la capacità di poter soddisfare al meglio le esigenze sia dell’ateneo che degli studenti.

I volumi sono stati accuratamente studiati per offrire il giusto equilibrio tra spazi serviti e spazi serventi in modo da non lasciare vani inutilizzabili come alla BUC, in cui ce ne sono fin troppi. Inoltre il progetto di Mesiano ha saputo offrire un numero di posti a sedere e di libri adeguati alle reali esigenze.

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L’obiettivo non è quella di criticare il progetto di Piano o di suggerire che la proposta architettonica di Botta fosse migliore, in quanto entrambi gli architetti costituiscono delle eccellenze su cui è difficile esprimersi negativamente. Ciò che rammarica e che penalizza gli studenti è, in effetti, l’incapacità dimostrata dagli attori coinvolti in questo processo di saper concretizzare delle proposte coerenti dall’inizio alla fine. Questa assenza di chiarezza ha condotto ad un assetto frammentato degli spazi universitari messi a nostra disposizione. È difficile, infatti, giustificare un tale investimento di risorse pubbliche nella realizzazione di un progetto che debba fare così tanti compromessi con la sua destinazione d’uso.

Oggi ci troviamo a vivere un “ibrido” a metà tra centro congressi e biblioteca e possiamo solo permettere ad un’architettura, così suggestiva e di grande effetto, di avere il compito di nasconderne i difetti.

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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