Lost in Transition: un breve viaggio nella burocrazia rumena a trent’anni dalla Rivoluzione Pt.1
“Ma cosa ci faccio qui?”. Questa domanda mi ha perseguitata nel corso della mia prima settimana di
tirocinio all’“Avocatul Poporului” di Timisoara. Dovrei essere a casa, a ripassare la mia tesi, a prepararmi per tagliare il traguardo della discussione di laurea…e invece, come mio solito, mi sono cacciata in quest’avventura.
Giorno 1/13. Entro in ufficio avvolta dalla mia “corazza professionale” maledicendomi per aver comprato
un completo di una taglia in meno, dato che la colazione di benvenuto a base di Papanași (ciambelline
fritte ripiene di formaggio e coperte di marmellata), mi lascia presumere che la cucina locale non sarà
clemente con la mia linea. Il mio collega mi accoglie in abiti da trekking. Oddio, perchè finisco sempre
per essere così overdressed?
Giorno 2/13. Imparo che salutare gli avventori con “ciao” anziché con “good morning” è l’unico modo
per non farli fuggire a gambe levate. Elaboro una breve statistica: la maggior parte delle persone che
richiede di persona l’assistenza di questo ufficio presentandosi allo sportello supera di media i 60 anni e
non parla una parola di inglese. Per non cedere allo sconforto, entro nello stereotipo della stagista e mi
offro di andare a prendere il caffè. Sono troppo gentili per permettermelo, così devo dire addio alle mie
velleità di immedesimarmi in un remake del “Diavolo veste Prada” (dove il “Diavolo”, però, veste
Decathlon).
Giorno 3/13. Faccio mio il motto “dress for success” e, per aumentare l’empatia con i clienti, mi presento
in ufficio sorridente con un outfit ispirato alla bandiera della Romania: giacca Rossa e camicia blu a pois
gialli. Non so se qualcuno abbia colto l’omaggio, ma so per certo che mia madre e l’Italia intera
potrebbero disconoscermi.
Nonostante la taglia che Chiara Ferragni mi avrà messo sulla testa, finalmente sto iniziando ad entrare
nella routine: ascolto ed assorbo quasi per osmosi quello che mi succede intorno. Soprattutto, ho trovato
uno scopo a queste due settimane: raccontare le mie sventure all’Universitario!
Giorno 4/13. E’ l’ 8 marzo, e non appena metto piede in ufficio mi comunicano che è arrivata una
circolare che permette a tutte le donne di prendersi la giornata libera. Altro che lo sciopero dei trasporti in
Italia, questo sì che è un paese civile!
Siccome gli stacanovisti non piacciono a nessuno, specialmente in paese post-comunista, sono tentata di
accettare, ma allo stesso tempo sono scesa dal letto alle sette (che secondo il mio fuso personale, ancora
impostato sull’orario italiano, sono le sei) e dato che voglio sfruttare al meglio quest’esperienza resto
almeno per mezza giornata.
Giorno 5/13: Il mio collega ha il raffreddore, il capo è impegnato in una riunione, e mi lasciano le chiavi
dell’ufficio. Sul momento entro in modalità San Pietro, ma dopo mezz’ora mi sto scattando qualche selfie
(il mio profilo LinkedIn non si aggiornerà mica da solo!), pur immaginando la sorveglianza ad osservarmi
da un monitor, pop-corn alla mano. Ho la prova che mi osservino quando dimentico che il venerdì
l’ufficio è aperto solo part-time e resto stoica alla scrivania per ore finché il portiere, impietosito, viene ad
informarmi che rischio di restare chiusa nell’edificio tutto il fine settimana. Bene, ma non benissimo.
Weekend: dovrei ripassare per la mia discussione di laurea, ma c’è il sole, e mi concedo una pausa, seduta
in Piazza Unità [momento travel-blogger: Timisoara è molto bella e sarà capitale della cultura nel 2021. Fateci un salto!]
Ordino una birra ed imparo che non esiste nulla di traducibile con il termine “piccola”. dato che ignorano il mio gesticolare e mi portano mezzo litro di deliziosa birra locale non filtrata [altro momento travel-blogger: qui c’è il birrificio più antico del paese, che quest’anno festeggia i 300 anni dalla fondazione, e la birra è più economica dell’acqua, vi servono molti altri motivi per partire?!].
Non ho intenzione di offendere l’oste, go big or go home, quindi in breve mi ritrovo a rotolare verso casa.
Almeno ho la prova di aver finalmente imparato ad orientarmi in questa città.
“Ma cosa fanno qui?” È la domanda con la quale inizio la mia seconda settimana di tirocinio. Comincio veramente di immergermi nelle peculiarità di questa particolare declinazione del modello
dell’Ombudsman nord-europeo ed inizio a conoscere le persone con cui condivido la maggior parte della mia giornata. Per esempio, capisco che il mio collega “sportivo”, ogni giorno dopo l’orario d’ufficio affronta un’ora di viaggio per andare a raccogliere le rimostranze nel distretto adiacente, una regione particolarmente povera, e che il suo abbigliamento casual fa parte di una precisa strategia comunicativa.
…ma questa è un’altra storia. Stay tuned!
“Ma cosa ci faccio qui?” e “Ma cosa fanno qui?”
Un’avventura da tirocinante in un’Europa dai mille volti e mille nomi, l’esperienza dell’operatore giuridico in un paese “cugino” con molte differenze e affinità.