Il Pressapochismo Ucciderà La (Buona) Musica
Da quando la musica è stata forzatamente inserita nella vita quotidiana di ognuno di noi grazie all’internet, e con la conseguente nascita di strutture per goderne (vedi Spotify, Apple Music, ecc.), pare che tutti si sentano legittimati a parlarne. In quest’articolo non si parlerà della Musica in toto, sarebbe un discorso troppo ampio ed attaccabile su molti fronti; in questo nostro pseudo-articolo di pseudo-protesta si prenderà in esame una nicchia della musica, ossia quella del Rap, che negli ultimi due\tre anni sembra arrivata al grande pubblico anche nel nostro Paese. Premetto dicendo che non starò qui a sciorinare una fenomenologia dell’Hip-Hop, né tantomeno di come sia arrivato in Italia, poiché non è questo il nostro intento (se siete interessati vi consiglio di guardare “Numero Zero – Alle origini del rap italiano”, un docufilm davvero ben fatto). Partiamo dicendo che prima dell’esplosione dei rapper 2.0 (vedi Ghali e Sfera Ebbasta per citarne due a caso) il panorama del rap italiano aveva dalla sua magazine specializzati, come il genovese Aelle, mentre ora, nell’era dell’internet, dove tutti possono scrivere la propria opinione, quella serietà giornalistica pare scomparsa: mi spiego meglio. Se nella controparte americana sono presenti delle vere e proprie istituzioni giornalistiche, in Italia purtroppo questo genere musicale è lasciato in mano ad un branco di inetti pressapochisti, che vede nel Rap solo una moda passeggera. Le varie testate online che ne trattano non lo fanno per amore della musica, lo fanno perché ora è sulla bocca di tutti, e la possibilità di essere messi su di un piedistallo fa gola a molti. Non farò i nomi, né delle testate né dei giornalisti, poiché credo non ce ne sia bisogno: chi ha orecchie per intendere, intenderà eccome. Non dico che sia terribile che se ne parli: sono solo sconfortato nel vedere che non esista un vero e proprio punto di riferimento serio fatto da gente che se ne intende, e non teso solo ad incensare artisti dalla dubbia bravura per aver un po’ di effimera visibilità. È un bene, da un lato, che questo genere musicale possa avere il successo che si merita, è un bene perché è un genere nuovo: lontano dai soliti stereotipi della musica italiana, fatta di ritornelli e storie strappalacrime. È un male però quando questo genere viene stuprato e piegato a mero salvadanaio, diventando inevitabilmente un’altra gallina dorata da spennare. Da quando il rap ha raggiunto i primi posti delle classifiche italiane, come funghi sono spuntate pagine al riguardo su Facebook, trattando questo genere come una cosa da sedicenni. È questo il grande problema: il rap in Italia oggi è una cosa per ragazzini. La colpa non è di certo del sedicenne che ascolta rap, la colpa, se tale la si vuol chiamare, è da ricercarsi nella democratizzazione culturale del XXI secolo, che ha eliminato ogni sorta di filtro ed argine, eliminando qualsivoglia risma di educazione. Forse però quello che fa più imbestialire, è vedere l’enorme potenzialità sprecata di questi pseudo-giornali, che potrebbero davvero creare qualcosa di bello, utile ed informativo; limitandosi invece a pubblicizzare inutili faide di “X che ha detto su Instagram coglione ad Y”, oppure a commentare “come era vestito X al concerto”. Non è di certo questo ciò di cui ha bisogno il rap italiano, oggi più che mai c’è bisogno di qualcuno che parli concretamente, che stronchi dove c’è bisogno e che elogi dove è necessario. Fino a quando questo genere sarà trattato dai media come un genere da ragazzini, tale rimarrà. Ma purtroppo questa è una protesta sterile, in quanto pare che siamo rimasti in gran pochi a credere che anche la critica musicale abbia il suo peso e valore culturale. Ovviamente non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: nel loro piccolo alcune realtà funzionano molto bene e creano contenuti validi, il problema è ai piani alti dove il bacino d’utenza è maggiore, e più grande è la volontà di fare click e visualizzazioni, sparando per la maggior parte delle volte enormi cavolate.
Forse però questo è solo uno stupido e romantico lamento, tacciabile quasi di essere reazionario, perché in fondo con la musica uno può farci quello che vuole, è proprio lì il bello: la libertà del suo uso. Quindi fateci quello che volete, leggete quello che volete, ma badate bene sempre a quello che vi appare sullo schermo, non tutto ciò che brilla è oro, e tanta della musica che vi propinano è vera e propria spazzatura. Chiudiamo con le parole di Umberto Eco sperando che siano un monito, poiché oggi più che mai si adattano al nostro discorso ed a questi tempi, ahimè malati e pieni di odio:
«I social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel. È l’invasione degli imbecilli»