“Agitazione Permanente vuol dire che siamo qui”
Insieme siam partite/insieme torneremo/
non una, non una/non una di meno!
Questo il coro principale che ha accompagnato il corteo che inaugura lo Stato di Agitazione Permanente proclamato dalla rete nazionale di Non Una di Meno, sabato scorso a Verona. Un corteo colorato, di donne e uomini, gay, lesbiche, trans e bisessuali, di lavoratori e lavoratrici, di migranti, famiglie e single, di studenti e studentesse. Antifascisti e antifasciste che si sono riversat@ per le strade del capoluogo veneto. Verona si è colorata per un lungo pomeriggio di fucsia, nero e dei mille colori di quella marea umana (4-5mila persone) che è scesa per strada in risposta alla mozione 434 a firma del consigliere leghista Alberto Zelger che proclama il capoluogo «città della vita» e contro la legge 194 del 1978.
Alle contestazioni in occasione della sua presentazione ad opera del comitato “Non una di Meno – Verona” è seguita una mobilitazione che si è sviluppata a partire dalla rete femminista nata a Roma nel 2017 e che sta unendo, da Nord a Sud, decine di soggettività ed associazioni, compatte nella lotta contro lo sfruttamento del corpo delle donne, a difesa dei diritti delle comunità LGBTQI+, a sostegno di un aborto “libero, sicuro e gratuito”.
Ma il contesto in cui nasce questa manifestazione è molto più antico e radicato: ecco come lo descrive Lorella, attivista di “Non Una di Meno – Verona”.
D.: Qual è il contesto in cui nasce questa manifestazione?
R.: Verona è la città-laboratorio delle estreme destre da sempre, dalla Repubblica di Salò. Qui si sono sviluppati i movimenti stragisti ed eversivi, da piazza Fontana alla strage dell’Italicus, dalla Rosa dei Venti alla costituzione di Ordine Nuovo che da gruppo eversivo diventò Forza Nuova.
Qui si sono sempre elaborate le strategie che attualmente sono al governo dell’Italia, quindi è un punto centrale dell’eversismo e dell’estrema destra, ma anche dell’integralismo cattolico [in Italia, ndr]. Qui si fanno le messe in latino, nella chiesa di Santa Toscana là dove finiremo questo corteo.
Questo è un corteo a determinazione femminista: è la prima volta dal dopoguerra che finalmente il movimento femminista prende non solo la parola ma il verbo politico nel movimento, conquistando la città, conquistando le strade, conquistando i quartieri.
La causa principale di questa manifestazione è la goccia che ha fatto traboccare il vaso: nel 1995 in Comune c’erano ancora i personaggi dell’estrema destra. Nel 2017, l’anno scorso al rinnovo comunale, sono entrati ancora di più e stanno governando pienamente la città. Il governo Tosi dei 10 anni prima non ha fatto altro che costruire la strada affinché questo potesse avvenire: sono persone che vengono dalla curva sud dell’Hellas Verona che, per antonomasia, sono un serbatoio sia di Forza Nuova che dell’eversione di destra.
Il corteo parte puntuale, alle 16.oo, dal piazzale di fronte alla stazione di Verona Porta Nuova e si avvia lungo le strade della città: è colorato, pieno di famiglie e lancia cori per rivendicare il diritto all’autodeterminazione femminile ma non solo. I cartelli e gli striscioni chiamano all’impegno, alla libertà sessuale, all’autodeterminazione delle donne ed alla lotta: lungo il percorso, gli abitanti si affacciano, alcuni salutano il corteo mentre altri mostrano disagio o disappunto.
Arrivato in piazza Bra, il corteo si è fermato di fronte al palazzo della Gran Guardia: le ancelle del gruppo veronese del movimento, quelle che hanno fatto il giro del Paese nei video sulle contestazioni in consiglio comunale, si sono posizionate lungo le scalinate dell’edificio e il camion da cui partivano gli interventi dei diversi rappresentanti dei movimenti intervenuti si ferma di fronte a loro per rilanciare l’Agitazione Permanente proclamata durante l’assemblea nazionale del movimento a Bologna, il 6-7 ottobre scorsi.
Il corteo prosegue verso il quartiere Veronetta, dove però arriverà dopo altre due tappe importanti: la prima, a pochi metri da Porta Leoni, il luogo dove nel 2008 venne pestato a morte Nicola Tommasoli. Il ricordo della sua morte è il momento per sottolineare come la mozione Zelger e le posizioni del ministro Fontana non siano fulmini a ciel sereno, ma esternazioni che si collocano in una storia di violenza verbale e fisica nei confronti della comunità LGBT che non deve essere più tollerata. La seconda tappa è sul Ponte Nuovo, un luogo simbolico da cui Gianni Zardini, del circolo Pink di Verona, ricorda la lotta e i pericoli cui sono sottoposte le soggettività migranti in questo particolare momento storico.
E lo stesso Zardini, arrivati in piazza Santa Toscana, racconta qual è il senso di questa manifestazione:
D: Ci racconteresti il senso di questa manifestazione?
R: Sono qui perché la città deve rinascere e deve avere un’altra risposta rispetto a tutto ciò che sta passando in consiglio comunale e non solo. Come sapete è passata una mozione, quella contro la 194, ne sono passate tante altre e sono passati ordini del giorno in difesa di razzisti e fascisti all’interno del Consiglio comunale.
Il senso di essere qua è perché non accettiamo più questo stato di cose, non ce la facciamo più. é ora di dire basta.
D: Agitazione Permanente, quindi si andrà avanti fino all’8 marzo con alcune tappe fondamentali: il 10 novembre, il 23 e il 25 novembre.
R: Sì ma credo che il senso di Agitazione Permanente stia sia nel rispettare una serie di date (anche il 20 novembre che è la giornata contro la transfobia ed altri appuntamenti) ma Agitazione Permanente vuole anche dire che siamo qui, per cui ogni volta in cui ci sarà bisogno di dare una risposta la daremo.
D: Ultima domanda: le reti territoriali che tipo di coordinamento stanno ottenendo? Perché qua oggi c’è tanta gente (da Roma, da Trento, da Forlì, da Lecce e da buona parte del Nord-Est) ma qual è la rete, dov’è il cuore pulsante e come si innerva sul territorio?
R: Allora, il cuore pulsante ha un nome: si chiama “Assemblea 17 dicembre” (che su Facebook si sono rinominati Veronesi aperti al mondo, ndr) che raccoglie una serie di sigle e soggettività e che ha riunito da un po’ di tempo una serie di realtà che si sono costituite un paio d’anni fa dopo che Casa Pound ha annunciato l’apertura di una sede proprio in Veronetta che è il quartiere degli immigrati.
A Verona ci sono stati tanti coordinamenti, questo è solo l’ultimo: probabilmente abbiamo capito che insieme possiamo ottenere più risultati. Si tratta di una rete di uomini, donne, gay, lesbiche, trans, lavoratori, immigrati: raccoglie una serie di soggettività che crede che lavorando insieme si possano ottenere più risultati rispetto a quello che la città sta tirando fuori: Verona è una città che ha tirato fuori sempre il peggio, noi cerchiamo di arginare. C’è un risveglio: siamo ancora all’inizio e c’è ancora molto da fare perché Verona è una città molto difficile.
Oggi, due settimane fa a Grezzano, a metà agosto in piazza Bra: tutte le iniziative che stiamo realizzando hanno raccolto una grande partecipazione e questo ci conforta.
La manifestazione si chiude con l’intervento di Daniela Tonolli, del comitato trentino di “Non Una di Meno” che ricorda a Zelger e a coloro che hanno votato a favore della mozione 434 come “l’approvazione della legge 194 è una conquista di civiltà che ha reso legale ciò che veniva praticato illegalmente e clandestinamente mettendo a rischio la vita di chi necessitava di tale intervento”, rilanciando anche una sua integrazione “con elementi che riconoscano la piena autodeterminazione delle donne e di tutte le soggettività che hanno bisogno di interrompere una gravidanza, perché non solo di donne si deve parlare, senza vincoli legati a provenienze geografiche o di cittadinanza e vietando l’obiezione di coscienza nei presidi pubblici“. E ricorda anche l’attacco di Papa Francesco a coloro che scelgono di praticare l’aborto, paragonando l’interruzione della gravidanza al noleggio di un sicario: l’attivista trentina chiarisce che “sicari sono tutti i medici che, non praticando l’aborto, hanno fatto morire delle donne, costringendole a rivolgersi a qualche macellaio o lasciandole morire in civilissimi e cattolicissimi ospedali universitari come quello irlandese in cui ha perso la vita Savita“.
Nel suo intervento prosegue sottolineando come “quanto approvato dal Comune di Verona, in linea con la politica maschilista, misogina e patriarcale di questo governo che ha il suo apice nel disegno di legge Pillon e nel d.d.l. 45, che vuole rendere ancora più difficile la denuncia di violenza da parte delle donne, va contrastato senza esitazione alcuna” e richiamando la dichiarazione dello Stato di Agitazione Permanente proclamato durante l’assemblea nazionale di Non Una di Meno e che proseguirà fino allo sciopero globale dell’8 marzo.
Questo sarà uno “sciopero femminista che rompe i modelli – ricorda Daniela Tonolli – che non riguarda solo la produzione (anche se non abbiamo mai rinunciato ad entrare nei luoghi di lavoro) ma riguarda anche il lavoro riproduttivo e la riproduzione di tutta la società perché sciopero significa rifiutare i ruoli e le posizioni che ci vengono imposti“.
E conclude: “questa manifestazione è il primo di alcuni movimenti propulsivi e non semplicemente un punto di arrivo. Ci sarà poi l’iniziativa del 10 novembre lanciata dalle Donne in Rete contro la Violenza per fermare il d.d.l. Pillon coordinata tra i vari territori e fino ad arrivare alla piazza del 24 novembre a Roma. Un processo in cui dovremo avere la capacità di mostrare che quel disegno di legge è una reazione alla nostra pretesa di libertà, di far vedere che è parte di un disegno patriarcale e razzista che fa della violenza una colonna portante della società”.