L’UniversiMario | L’Altra Via
Voterò sempre, perché votare sarà per sempre quanto più si avvicini all’urlo di dolore che vorremmo cacciare di fronte ad ogni ingiustizia. Voterò sempre, perché è stata anche la democrazia a consentire alla mia famiglia di smettere di coltivare la terra, di mandare i figli a scuola, e i figli dei propri figli all’università. Voterò sempre, perché così legittimerò uno Stato e una nazione che non potrò mai voler abbandonare. Voterò sempre, sino a quando il mio voto non potrà contare più nulla, finché non mi fermeranno con la forza, con i sassi e con i calci.
Eppure, già a vent’anni mi sono trovato a votare sì che erano no, no che erano il nulla, donne insipide, uomini indegni, illusionisti, menzogneri, nostalgici, carrozzoni, zuppe, pan bagnati, leoni che diventano cani e cani che restano cani: pare che nella cabina elettorale lo spirito di Moira Orfei possa vedermi, e Dio no. Tra una tornata e l’altra, ci viene raccontata una storia capricciosa e volubile, dove ognuno vorrebbe essere il personaggio protagonista, ma solo sporadicamente risulta essere più che un piatto stereotipo. San Giorgio e il drago si confondono, in un infinito gioco di ruoli: volti noti, amici, nemici e soliti ignoti variano imprevedibilmente, ruotano intorno a quotidiani, mensili, telegiornali, pagine, siti, blog, piattaforme, articoli, servizi, commenti, nella ridda infernale degli inchiostri e dei teleschermi. Quel che è rimasto dell’opinione pubblica li osanna o li insulta, li serve o li danna, e infine decide che è giunto il momento di cambiare canale: se gli eroi bruciano, i diavoli svaniscono; se oggi il mondo s’è riempito di santi, domani si può esser certi di vivere in mezzo a demoni; si susseguono disastri, tragedie, disgrazie, e il nome del martire di avantieri scompare all’inizio della settimana seguente.
Il popolo è confuso e bulimico: ingurgita, digerisce ed espelle personalità, miti e narrative ad una velocità disarmante, ne decreta sovrano le fortune e le miserie. Nel ristretto giro di un ventennio, in Italia abbiamo assistito alle molteplici cadute e rinascite di Silvio Berlusconi, alla nascita e alla morte del Partito Democratico, alla tragica parabola del renzismo, all’esperienza degli Amici di Beppe Grillo, alla travolgente ascesa e alla grave crisi del Movimento Cinque Stelle, e infine all’affermazione della Lega Nord di Matteo Salvini. La politica riesce a creare marchi con estrema facilità, rapidità ed efficacia, e a piazzarli sul mercato elettorale sotto forma di innumerevoli partiti e partitini: le formazioni tradizionali si spappolano, perdono voti, svaniscono e, dove riescono a resistere, toccano i loro minimi storici, rimpiazzati progressivamente da un coacervo parcellizzato delle forze più disparate, lasciando a bocca asciutta soltanto i disillusi, gli insensibili e gli incontentabili.
Ma quando gli scaffali del supermercato politico traboccano di vitalità, il numero di corsie percorribili tende solitamente a restringersi. Vorremmo tutti, a parole, imporre la nostra idea di mondo, e poter cambiare ogni cosa con uno schiocco, un tocco magico, una scheda elettorale, e forse pure possiamo crederlo; ciononostante, negli ultimi trent’anni, non siamo riusciti ad influenzare nemmeno una virgola della visione delle nostre classi dirigenti. La vita delle maggioranze procede silenziosa, anche se capita, seppur piuttosto raramente, che qualche minoranza avanzi delle lamentele: mai però si azzarda a far troppo rumore, mai imbraccia il fucile, mai si mostra disposta a giungere al sangue. Il pensiero dissidente può rivelarsi alle volte un problema fastidioso per le autorità e le istituzioni, ma non di rado queste sono ormai disposte a tollerare la sua esistenza, vista l’insignificante propensione dei popoli odierni alla critica, alla riforma e alla rivoluzione. Come già è accaduto in seno al Parlamento Europeo, dove i popolari, i socialisti e i liberali governano da anni insieme, e spesso finiscono per dimostrarsi indistinguibili tra loro, sia nella linea politica che nel metodo, le convergenze e le divergenze tra i vari elettorati delle forze considerate “sistemiche” si fondano su questioni di dettaglio, di gusto, di estetica, se non addirittura esclusivamente sulla scelta del leader che meglio può supportarci, con qualche parola d’ordine, nelle nostre quotidiane baruffe in piazza, al mercato, su Internet. Dal punto di vista delle élite sorte dopo gli eventi del 1989, le lotte e le fratture per stabilire il destino dell’economia e della società vanno al più presto e definitivamente archiviate nella memoria storica, perché una ed unica è la via rimasta all’umanità, ovvero la democrazia liberale in regime di capitalismo: “There Is No Alternative” dissero, a loro tempo, figure come Margaret Thatcher e Gerhard Schroeder, e del resto la ricerca di un’altra via è oggi poco più che una follia.
Non una voce saprebbe pronunciarsi in favore di un’alternativa al sistema attuale che sia radicale ed insieme circostanziata dalle pratiche, dagli atti e dai fatti. Il tormentato avvicendarsi di nomi e cognomi che ha fortemente caratterizzato e ancora modella la nostra era politica non ha altresì determinato alcuno scostamento dalla strada che l’Occidente tutto ha imboccato all’indomani della disgregazione dell’Unione Sovietica. Malgrado la diffusione di un certo grado di rabbia, di disagio, di decadenza sulle due sponde dell’Atlantico, la convinzione di non essersi fatalmente sbagliati rimane ancora salda: sono passati oltre dieci anni dallo scoppio della crisi dei subprime, e ancora non si è assistito ad un totale voltafaccia dell’Europa occidentale e del Nord America nei confronti delle classi dirigenti che hanno portato, a vario titolo, al disastro. L’assalto al castello delle cosiddette forze populiste è, per la verità, appena cominciato, e assumerà i connotati di una sostituzione di élites, piuttosto che di una riforma o di una rivoluzione. Le promesse, gli slogan e i comunicati a mezzo stampa dei nuovi baroni rampanti della politica nascondono infatti un enorme inganno: dietro ad una maschera retorica di restituzione del potere decisionale nelle mani dei cittadini sovrani e di ritorno delle autorità e delle istituzioni tra la gente comune, questi non esitano affatto ad ignorare il supposto protagonismo delle masse, ed anzi in ogni modo promuovono l’eliminazione del coinvolgimento popolare nella politica attraverso l’instaurazione di democrazie illiberali. I populismi sono uguali, per natura, ai partiti sistemici che dichiarano di combattere perché mirano alla medesima neutralizzazione della scelta del popolo, sinora condotta grazie all’imposizione dall’alto dei miti del numero, della tecnica e della competenza, ma la vogliono realizzare mediante un approccio insieme aggressivo e subdolo, sottomettendo una società già abituata a non voler cercare un’alternativa, e insieme illudendola di rappresentare quella tanto agognata novità.
Quando entrerò nel prossimo seggio elettorale, mi verrà posta la fatidica domanda. Mi sentirò intrappolato in un vicolo cieco, e vorrò anche rifiutare, con il pensiero, di prendere in mano la matita copiativa. Darò la mia preferenza, anche e soprattutto per motivi frivoli, di cui un giorno forse mi vergognerò, e potrò credere di aver effettuato una scelta, e mi sarà concesso proseguire per la mia strada, l’unica possibile. Opterò ancora per una placida sopravvivenza, una soluzione di comodo: non sarò né un santo, né un demone, né un martire, ma un comune peccatore. E l’altra via sarà ancora lontana, perché tutto sommato mi starà bene così.