La politica social
Che la politica stesse cambiando lo si poteva intuire durante la campagna elettorale di Donald Trump. Che fosse cambiata, invece, alla sua vittoria. Sì perché, come dice Trump stesso, lui deve la sua vittoria a Twitter. Con i suoi, all’epoca, 30 milioni di followers è riuscito a farsi eleggere. Tanto di cappello direi, non fosse che questo ha portato ad un ribaltamento visionario della politica. E ad un nuovo corpo elettorale; l’era 2.0 permette di fare politica con 280 caratteri. Ovviamente questo non è di per sé un aspetto negativo, in fondo siamo i “Millennials”, la “generazione social”; tutto nelle nostre vite ha un aspetto social, la politica certamente non poteva essere da meno. Se questo è il nuovo canale per arrivare alla gente, è giusto che venga usato. Esporre i propri pensieri e credi fa parte della democrazia.
La nuova politica social in Italia parte con Di Maio e Salvini. Ambedue fanno un uso sproporzionato dei social network, al punto da essere ormai degli influencer politici a tutti gli effetti. La domanda da porsi è: può un politico essere un influencer e agire come tale? La risposta è “sì” nel poter esserlo, “no” nel poter agire. È una combinazione strana, ma un senso c’è.
Sì, può essere un influencer: vedere la parte umanizzata del politico, e non solo il personaggio importante, lo rende più vero. Il fatto che la gente possa interagire con il politico “istantaneamente” piace. Una gita con i figli oppure una foto con lo staff rende tutto più reale. Basti pensare all’attesa per la lista dei migliori film, libri e canzoni di fine anno di Obama: sapere che ascolta Kendrick Lamar o i The National lo rende uguale a tutti.
No, non può fare l’influencer, perché il politico non deve lanciare tendenze. Questo perché la figura diplomatica agli occhi della gente è credibile e quando dice la sua gli si crede. Fare propaganda politica è una questione diversa dal fare propaganda, che sia d’odio oppure sul diventare vegani. Le domande botta e risposta non vanno a loro favore. Creare un reality show tra colleghi lanciandosi frecciatine, per quanto questo possa essere esilarante, fa sì che si perda l’autorità.
In fondo tutte le professioni richiedono, appunto, professionalità. Ma il politico è qualcosa di più di un semplice lavoro: è una guida che deve rappresentare una nazione e deve essere in grado di adempiere a questo ruolo per non creare il caos. Però i social hanno creato proprio questo, portando il cofondatore di Twitter Evan Williams a scusarsi pubblicamente per il ruolo che i social media hanno giocato nel determinare la vittoria di Trump. Un sinonimo di politico è leader, il cui significato fino a poco tempo fa era proprio “guida che disponeva di autorità”. Oggi invece, beh, che ve lo dico a fare. Andate sui social.