I Parnassiani: ministri intransigenti del rigore metrico
di Marco De’ Gasperi
Esordendo nel 1866, a Parigi, e rifacendosi al nome del monte in cui abitavano le muse, il movimento del parnassianismo lasciò una decisa impronta nella storia della letteratura.
I Parnassiani furono un gruppo di abili poeti che raccolse e pubblicò le proprie poesie in una rivista, “Le Parnasse contemporain”, diretta da Catulle Mendés. Tra i novantanove1 poeti sono presenti: Charles Marie René Leconte de Lisle, capofila del movimento; Théodore de Banville; Léon Dierx, seguace di De Lisle, chiamato “principe dei poeti”; lo stesso Catulle Mendès; Sully Prudhomme, insignito del premio Nobel per la letteratura nel 1901; François Coppée, il poeta degli Umili, ma capace di una singolare destrezza tecnica;2 José Maria de Hérédia, uno tra «gli esponenti maggiori della scuola parnassiana, e che in certo senso ne prolungò il formale splendore e ne tenne vivo il ricordo, specie dopo la morte di Leconte de Lisle (1894)»3 e Pierre Louÿs, amante dell’antichità greca, «voluttuoso e raffinato, con vivo senso della forma».4
Noi moderni abbiamo molto da imparare da costoro e da Gautier, giacché egli, oltre a essere stato un «maestro nell’imbellettare i livori di un idioma defunto»,5 fu, per i parnassiani, un modello da seguire, un antesignano, un precursore:6 grazie alla sua pubblicazione di Émaux et Camées, nel 1852, determinò il distacco da un tipo d’arte volta ad un impegno sociale/politico, per la ricerca del Bello in quanto tale, ovvero per la produzione dell’arte fine a sé stessa. Tale concezione fu espressa nel motto “l’art pour l’art”.7 Spogliare l’arte del suo compito sociale significa ridurla a un mero esercizio fine a sé stesso, escludendo ogni altro possibile compito che potrebbe adempiere; significa rendere l’arte completamente inutile, scevra di qualsiasi scopo che non sia la mera bellezza.
Rifacendosi ad alcuni aspetti del classicismo e del neoclassicismo, essi costruirono un’idea di arte autonoma, pura e caratterizzata dal rifiuto di ogni atteggiamento sentimentale tipico del romanticismo.8
La forma classica dei loro componimenti, l’utilizzo di un metro preciso e la fattura ineccepibile di ogni verso è dovuta ad una salda venerazione per la forma e per il bello, o come disse Marica Larocchi, ad un «autentico feticismo del culto riservato alla forma e alla bellezza da parte [di questi] ministri intransigenti del rigore metrico».9
Tali ministri intransigenti sono coloro che «cercano per un giorno intero la quarta rima d’un sonetto o il verso finale di una terzina e rientrano contenti alla sera di qualche riga cancellata una decina di volte sui loro taccuini».10 La venerazione per la forma, tuttavia, non si basa solo sulla meccanica e matematica computazione delle sillabe, ma pure sulla musicalità del verso e sull’uso corretto del linguaggio: la ricerca della correttezza linguistica e del lemma adatto fu l’assillo di molti di questi poeti.11
È facile scorgere, in questo movimento, delle analogie con la poesia ellenistica, intesa come tecnica pratica, come defatigante attività manuale (opposta alla ispirazione divina) volta alla creazione di versi non più per simposî o spazî comuni, ma per la dimensione privata di scelti intenditori.12
In questa concezione artistica è insita una concezione elitaria dell’arte. Infatti questo ideale di poesia superiore (che come si vedrà è personale), in quanto manu-fatta da un artefice, ha delle analogie con una concezione elitaria che pone il poeta al di sopra dell’uomo comune. Per capire meglio basti citare Medès: «Noi non abbiamo niente in comune fuorché la giovinezza e la speranza, l’odio della poesia sciatta e la chimera della bellezza perfetta. E questa bellezza è concepita da ciascuno di noi secondo il suo proprio ideale».13 Il temine “débraillé” inteso come “volgare”, è una prova del distaccamento dalla folla. Quest’idea di una poesia sprezzante, privata e che ripudia il contatto con la massa sciocca che non sa giudicare, si trova nel pensiero di molti poeti, come Banville: «Ciò che noi chiamiamo pubblico non ha le qualità per giudicare»,15 oppure nella frase di Mallarmé: «Che le masse ascoltino pure la morale, ma per favore non date loro le nostre poesie: le deturperebbero».16
Ciò che pure vale, in questi artigiani della parola, è la capacità di guardare nel passato, assumendosi il compito di riportare alla luce una tradizione che non deve essere dimenticata: in primo luogo tramite la ripresa delle strutture metriche tradizionali, quali la strofe di quattro alessandrini e il sonetto; e poi il risveglio della mitologia di altre culture che non sia la logora mitologia ellenica, paradigma ormai antico e consolidato nella cultura occidentale.
Per capire ciò è sufficiente citare alcuni titoli dei Poèmes Barbares (1862) di Leconte de Lisle, i quali spaziano dalla mitologia e tradizione religiosa ebraica e cristiana cattolica (La vigna di Nabot, L’ecclesiaste e Il Nazareno, La tristezza del diavolo); alla storia egizia (Neferu-Ra); al mondo medio orientale (La figlia dell’Emiro, L’oasi, Il consiglio del Fachiro); ai miti norreni (La leggenda di Norne, La visione di Snorri, La spada di Agantyr); alla tradizione indiana (Nurmahal) e persino alla mitologia polinesiana (La genesi polinesiana).17
Questo modo di pensare, che ad alcuni parrà inutilmente pomposo, non è mera idolatria di una concezione “artigiana” dell’arte: è un modo d’essere, un modo di vivere che implica una coscienza del proprio lavoro poetico in quanto opera plastica sempre perfettibile. È una concezione che porta al traguardo del perfetto mediante la pratica, il lavoro, lo sforzo;18 una concezione che si oppone alla facilità sconcertante dell’ispirazione19 per offrire al mondo una plastica opera imperitura,20 come imperiture sono le statue antiche. La durevolezza del marmo, facendosi garante dell’immortalità della bellezza, dà sicurezza al Bello, ed è per questo motivo che le poesie, qualora volessero divenire monumenti più durevoli del bronzo,21 devono imporsi come attività plastica e manuale. Le cose, nella storia, mutano, ma la bellezza espressa nei canoni degli antichi rimane un costante punto di riferimento, un paradigma a cui ispirarsi, un modello impareggiabile.22
Tuttavia il termine “arte” deve essere inteso nel suo senso primitivo, ovvero di mestiere artigianale: solo quando l’atto poetico sarà concepito come analogo all’atto scultorio23 ci sarà un’evoluzione da poeta ad artigiano, da artista ad artefice.24 Per quanto questi due termini siano simili, intendo porre fra loro uno iato: al giorno d’oggi, la parola artista, che un tempo era sinonimo di artigiano, è applicata a registi, fotografi, cantanti, ecc. ecc. Ritengo sia importante distinguere colui abile nel suo campo (l’artista contemporaneo) da colui che pro-duce, che fa con le mani l’arte: ecco perché, alla parola artista, prediligo il termine “artefice” o “artigiano”. In fondo, il termine “poesia” deriva dal verbo greco poiéin, ossia “fare, produrre con le mani” e il manu-fatto è la poésis, l’opera del poietès, dell’artigiano che opera con le mani, che crea, che rende esistente qualcosa.
L’attuale epoca priva di regole, in cui capeggia il verso libero, potrebbe beneficiare degli insegnamenti di tali poeti, ovvero della loro rigorosità metrica, dell’utilizzo della materia verbale e della cura che attendevano alle parole.25 È mia convinzione che la lezione dataci da questi abilissimi artefici possa essere applicata al nostro tempo: le forme metriche tradizionali sono la chiave di volta per ricordare e (ri)vivere il passato declinato ai giorni nostri. E invece di infiacchire nell’anomia metrica, ingannati da una libertà fittizia data dal verso libero, bisognerebbe avere il coraggio di farsi carico della tradizione e dei suoi valori.
Il Parnasse, questa estrema propaggine del romanticismo,26 come disse Marangoni, fu l’ultima stagione della padronanza sul linguaggio; un’ultima stagione della volontà di chiarezza prima dell’oscurità simbolista.27
Marco de’ Gasperi
NOTE
- Numero tratto dalla somma dei poeti comparsi nelle tre ed. Vedasi indici di: Le Parnasse contemporain 1886, Slatkine reprints, Genève, 1971; Le Parnasse contemporain 1871, Slatkine reprints, Genève, 1971; Le Parnasse contemporain 1876, Slatkine reprints, Genève, 1971
- V. Nota 28
- Ibid.
- Ibid.
- Larocchi M., Antologia dei poeti parnassiani, Oscar Classici, 1996, p. IX
- V. Nota 28
- Ibid.
- Cfr. «de suite ces poètes qui se reconnaissent dans leur réaction contre le Romantismed» in (http://www.site-magister.com/parnasse.htm#ixzz5a3Qr36JE); e M. Souriau, Histoire du Parnasse, Slatkine Reprints, Genève, 1977, pp. XXXI-XLIII
- Larocchi, Op. cit., p. IX
- Alessandra Marangoni, Il Parnasse, nazionalismo delle forme, in L’utile, il bello, il vero. Il dibattito francese sulla funzione della letteratura tra Otto e Novecento, Editions Slatkine, Pisa, 2001, p. 116: «Cherchent tout un jour la quatrième rime d’un sonnet, le vers final d’une terzine et rentrent contents le soir de quelques lignes dix fois raturées sur la page de leur calepin»
- Cfr. Le opere, Armand Sully Prudhomme, Utet, Scrittori del mondo: i Nobel, Milano, 1973, p. 186-187: « A quella scuola [parnassiana] […] il termine esatto assunse ai miei occhi tutto il suo valore e io decisi senz’altro di applicarmi per bandire dai miei versi quegli aggettivi qualificativi vaghi, per conservarvi esclusivamente quelli che s’impongono »; « L’importanza che i parnassiani hanno attribuito alla modellatura del verso, cioè alla sua bellezza puramente musicale, indipendentemente dal pensiero o dal sentimento che esprime non può essere sentita veramente se non dai poeti; il pubblico ne è assai meno interessato»; e Marangoni, Op. cit., p. 120-121: «Gautier è fanatico lettore del dizionario – il “mot propre” (concomitante la ricerca di Flaubert del “mot juste”). Banville prona l’esattezza terminologica (“un bon poète est tenu de désigner chaque objet par le nom qui lui est propre”) e invita al “mot juste” e alla “justesse de l’expression”. Mendès rinviene nel “langage clair” la qualità precipua di Léon Dierx »
- Cfr. Teocrito, Idilli ed epigrammi, Bruna M. Palumbo Stracca (a cura di), Bur Rizzoli, Milano 1993, pp.6-7; Cfr. Storia e civiltà dei Greci: La cultura ellenistica. Filosofia, scienza, letteratura, Ranuccio Bianchi Bandelli, Bompiani, Milani, 1977 p. 171 e ss.
- Catulle Mendès, La legende du Parnasse contemporain, Slatkine Reprints, 1983: «Nous n’avions rien de commun sinon la jeunesse et l’espoir, la haite du débraillé poétique et la chimère de la beauté parfait. Et cette beauté, chacun de nous la concut selon son personnel idéal»
- Marangoni, Op. cit., p. 110
- Ibid. : «et ce qu’on nomme le public n’a point qualité pour en juger»
- Ivi, p. 109: «que les masses lisent la morale, mais de grâce ne leur donnez pas notre poésie à gâter»
- Cfr. Ch. Leconte de Lisle, Poemi barbari, Silvio Ferrari (a cura di), Ariele, Milano, 1998
- Marangoni, Op. cit., p.119: «il métier, il travail, l’effort»
- Ibid.: Illumination nel senso di ispirazione poetica/illuminazione divina.
- V. «[…] un effort acharné pour extraire de la matière la plus dure une forme impérissable» in (http://www.site-magister.com/parnasse.htm#ixzz5a3Qr36JE)
- V. Quinto Orazio Flacco, Odi, III, 30, 1 «Exegi monumentum aere perennius»
- V. «Leur célébration du Beau trouva dès lors un équivalent acceptable dans la beauté plastique de la statuaire hellénique, dont la chaste perfection, alliée au gage que lui donne la durée temporelle, s’oppose aux contingences de l’Histoire» in (http://www.site-magister.com/parnasse.htm#ixzz5a3Qr36JE)
- Ibid., «Leurs métaphores, constamment empruntées au domaine de la sculpture, prônent le travail poétique, résolument asservi au culte d’une forme parfait» E; «Le poète devient ainsi sculpteur ou ciseleur, préoccupé par la plastique plus que par l’Esprit» in (http://www.site-magister.com/parnasse.htm#ixzz5a3Qr36JE) E: Marangoni, Op. cit., p.119, «Il culto dell’arte contiene l’elogio dell’artisan e addirittura quello dell’artifice, in cui bisogna tuttavia aver lo scrupolo di ricondurre la radice art al suo senso primo di métier, di abilità artigianale (in tal senso l’artiste è superiore al poète)»
- Per la concezione di poesia come lavoro si veda il brano di Banville in Marangoni, Op. cit., p.119, «de notre temps, dans l’artiste et dans le poète, on n’a voulu voir que le penseur, le prophète, le vates, qui certes existe en lui; mais il doit contenir aussi un ouvrier, qui, comme tous les ouvriers, doit avoir appris son métier par imitation et en connaître la tradition complète»
- Marangoni, Op. cit., p.121. « Il Parnasse risulta essere l’ultimo baluardo del verso regolare – dell’alessandrino– prima dell’anarchia del verso libero»
- Per i parnassiani intesi come continuatori del romanticismo, vedasi Marangoni, Op. cit., p.122 nota 109.
- Marangoni, Op. cit., p.122.
- Per le citazioni tratte dalle enciclopedie, riporto qui un elenco con cui poter confrontare quanto scritto sopra:
Nota 2: V. voce Coppée, François-Édouard-Joachim in Enciclopedia italiana di Diego Valeri, Treccani;
Nota 3: V. Voce Heredia, José-María de in Enciclopedie on line, Treccani;
Nota 4: V. voce Louÿs, Pierre-Louis, detto Pierre in Enciclopedie on line, Treccani;
Nota 6: V. voce Gautier, Théophile, in Enciclopedie on line, Treccani;
Nota 7: V. voce Banville, Théodore de in Enciclopedie on line, Treccani