Genitori e nonni, è arrivato il momento di conoscere i vostri figli e nipoti
In seguito alla manifestazione dello scorso venerdì Matteo Salvini, il nostro Ministro degli Interni, ha commentato in un post sui social l’evento con i suoi soliti toni poco concilianti, concentrandosi non tanto sul senso e il contenuto della marcia, quanto su qualche episodio all’interno della stessa – in particolare i cori sulle note di “Bella ciao” e qualche slogan contro la Lega. Sotto al post del Ministro la solita sfilza di commenti pieni di astio e disprezzo contro i giovani, e in particolare gli studenti.
Questo mi ha dato da pensare.
Anzitutto, trovo del tutto sconveniente che un’autorità statale si ponga in un certo tal modo contro coloro, che volente o nolente, sono suoi concittadini e rispetto ai quali ha preso un impegno istituzionale. Capisco la retorica di colui il quale vuol dimostrare la sua “ordinarietà” e conseguentemente la sua vicinanza alla popolazione anche in questi termini, ma se questo vuol dire screditare gli altri e adottare toni inappropriati che rasentano la maleducazione, allora sarebbe il caso di rivedere questa strategia comunicativa, perché va bene l’uso strumentale dei social, ma bisogna pur sempre ricordare che un Ministro della Repubblica è pur sempre una carica istituzionale e un linguaggio da “amici al bar” non è il più consono. Aperta e chiusa questa piccola parentesi, vorrei concentrarmi su ciò che più di tutto mi ha adirata e infastidita e cioè la valanga di insulti che è stata placidamente e senza alcuno scrupolo vomitata su migliaia di ragazzi e ragazze che si son aggregati pacificamente per lottare per una causa comune, facendo sentire la propria voce.
Quest’ultima circostanza, in realtà, altro non è che uno dei tanti esempi in cui gli adulti accusano i giovani di essere inutili, nullafacenti, mediocri e chi più ne ha più ne metta.
Posto che recentemente il dilagante populismo ha accentuato il conflitto sociale, trovando sempre più spesso soggetti “deboli” su cui sfogare le proprie frustrazioni, così distogliendo l’attenzione dai reali problemi che affliggono la nostra società, mi trovo a dover dar sfogo a tutta la mia indignazione innanzi a tale inondazione d’astio e avversione.
Le vecchie generazioni non ci comprendono. Ci vedono per strada e ci guardano con uno sguardo pieno di riprovazione, ci scansionano e suoi loro volti puoi leggere tutta l’insofferenza nei nostri confronti, quasi fossero schifate dal condividere il loro prezioso ossigeno con esseri inferiori come i giovani, e se studenti peggio ancora. È facile dar la colpa a loro per tutto ciò che di sbagliato c’è. Ah questa gioventù d’oggi, sempre a cazzeggiare, sempre a star con le mani in mani, sempre a ubriacarsi e a drogarsi. Perché è chiaro che, così come tutti gli immigrati son criminali, tutti i giovani sono scansafatiche, drogati e ubriaconi.
Io, però, non ci sto. Io non voglio sentirmi giudicata aprioristicamente da chi non vuol fare neanche il minimo sforzo per conoscermi, da chi tende a generalizzare, a fare di tutta l’erba un fascio. Io sono stanca di essere etichettata, quale giovane studentessa, come una sanguisuga alle spalle dei propri genitori che prosciuga le loro finanze godendosi la vita e ubriacandosi tutte le sere. Io non intendo, ancora, sopportare gli ignobili appellativi che ci vengono affibbiati sulla scorta di episodici eventi e sulla base di comportamenti di alcuni. Io mi oppongo a tutte queste semplicistiche generalizzazioni, proprie di chi non ha interesse a confrontarsi.
La retorica generalizzante, populistica e superficiale è tipica di chi non vuole approfondire le tematiche che più da vicino ci toccano e piuttosto preferisce minimizzarle sviando l’attenzione su altro, peraltro alimentando l’odio all’interno del tessuto sociale di un Paese. Sicché, si finisce col farsi la guerra a vicenda, a tapparsi occhi e orecchie dinnanzi alle grida di coloro che pretendono di essere ascoltati, di essere – anche essi – presi in considerazione perché da troppo tempo negletti.
I giovani non sono robaccia. I giovani sono il futuro e chiudere qualsiasi spiraglio di dialogo con loro è profondamente sbagliato, non solo perché non possiamo davvero credere che i responsabili del caos in cui ci troviamo siano davvero loro, ma anche perché questa non è la via per giungere ad una soluzione. Sono una spassionata fan del metodo aristotelico e credo che lo scambio reciproco di idee sia essenziale per poterci tutti noi migliorare. La sterilità di certi commenti non merita alcunché se non la pietà di chi li recepisce e, si comprende facilmente quanto questi siano inutili. Potrete insultarci quanto volete ma, miei cari, dovrete farvene una ragione: il futuro siamo noi e il vostro tempo è ormai scaduto. Tutto ciò che avreste potuto fare o lo avete fatto o eravate troppo impegnati ad essere i “giovani nullafacenti figli di papà che si meriterebbero sprangate sui denti” del vostro tempo.
Per questo motivo, le possibilità adesso son due. La prima è continuare – sconvenientemente, riprovevolmente, pedissequamente, imprudentemente e testardamente – a rigettare ogni tipo di apertura verso la generazione figlia vostra e con arroganza stigmatizzarla, assegnandole arbitrariamente e a priori attributi che non le son propri; oppure, più saggiamente, potreste aprirvi al confronto, sforzarvi di comprendere le istanze di coloro i quali si son visti le ali tappare prima ancora che potessero rendersi conto di averle. Coloro i quali, nonostante tutto, si impegnano – forse per l’età, forse perché tanto non hanno nulla da perdere, ma tutto da guadagnare – per migliore il mondo in cui vivono, ingenuamente credendo che ogni loro piccola azione possa fare la differenza. Illusi, grintosi, impavidi e forse un po’ ingenui, questi giovani lottano. Lottano per loro, per i loro figli e, anche se non lo percepite, anche per i loro ascendenti.
Così come una rondine non fa primavera, non possiamo categorizzare un’intera generazione in virtù di una porzione minima di essa. La nostra è una generazione che, a dispetto di ciò che si dice, combatte per i propri sogni, studia e rischia il tutto per tutto nella convinzione che potrà, un giorno, offrire qualcosa di più di ciò che non le sia stato offerto. E ci perdonerete pure, se ogni tanto, troppo euforici, ci facciamo prendere la mano, ma non è certo un sabato sera scatenato che definisce le nostre persone.
Il mio invito è, dunque, quello di venire da noi, di affrontarci, di mischiarvi con noi e comprendere che, in fin dei conti, non siamo poi così tanto diversi e che non v’è una generazione migliore dell’altra, ma che sono le diverse – sia qualitativamente che quantitativamente – esperienze che, se condivise, possono aiutarci a raggiungere lo scopo comune a tutti noi: un futuro migliore. È ora di abbandonare questo perbenismo vittoriano e orientarsi ad un aristotelico interscambio d’opinioni e posizioni, non temendo il confronto e l’argomentazione, quanto piuttosto facendo d’essi un punto di forza. Non sarà la superficialità e la minimizzazione delle questioni sociali che flagellano la nostra esistenza a donarci un mondo migliore.
Abbiate il coraggio di conoscerci!