Da grande voglio fare la portinaia
la Portinaia
Questa pagina nasce per raccontare alcuni degli incontri improbabili che gli studenti lavoratori si trovano a fronteggiare. Io sono una di questi.
Per sbarcare il lunario molti iscritti a UniTN cercano di accaparrarsi qualche lavoretto, da quelli improbabili tipo il “dog sitter” a quelli più tradizionali come il ragazzo che dà ripetizioni di latino ad adolescenti che manco capiscono l’italiano. Inevitabilmente, chiunque svolga uno di questi lavori si trova a fronteggiare situazioni in cui spesso individui che si comportano come casi umani ci mettono in difficoltà.
Di nuovo, io sono una tra i lavoratori esposti a questi incontri. Premetto che, nonostante fare la portinaia in facoltà non sia un lavoro che richiede grande fatica fisica, esso mi permette di assistere alla manifestazione di una vasta gamma di comportamenti umani che passano dallo sconcertante all’assurdo. Oggi vi voglio parlare della settimana delle lauree. Come sappiamo, il giorno della laurea è un momento emblematico della vita dello studente. Nel mio passato scout i miei capi erano soliti dire che è durante le faticose ore della camminata ininterrotta che emerge il vero carattere della persona: c’è quello che si lamenta così tanto che alla fine vorresti solo buttarlo giù dalla montagna, quello che per competizione deve essere in testa, avanti a tutti gli altri e quello che si fa gli affari suoi, cammina e tace. Ecco, penso che la stessa constatazione possa valere anche per il momento della discussione della tesi di laurea. In questi pochi attimi che precedono una delle più grandi difficoltà che l’universitario affronta, non la fatica, ma l’ansia mette lo studente nelle stesse condizioni dello scout sfinito. Parallelamente, anche in questo contesto, emerge il nocciolo più intimo della personalità del laureando. Ecco allora che troviamo quello che arriva in facoltà e si lamenta perché l’aula fa schifo, perché la temperatura che avrebbe voluto essere tra 18 gradi e i 18 gradi e cinque invece è di 18 gradi e sette o perché la nonna, con due stampelle e un braccio ingessato, che porta le 7 copie della tesi di laurea, camminando lentamente lungo i 4 piani di scale, rovina alla star del momento l’ingresso in aula. C’è poi quello che non dice niente a nessuno della laurea e che però si stupisce se quegli infami dei suoi compagni di corso non si presentano. Infine c’è il tipo che ha talmente bisogno di dimostrare quanto è bravo che prima di entrare in aula non parla della tesi triennale che sta per discutere, ma propone ai presenti amici intellettuali, figurati se uno così non se li porta, il progetto di tesi di dottorato che ha partorito la notte stessa. In realtà non sono solo i laureandi a regalare emozioni, anche i parenti non vogliono essere da meno. C’è chi arriva in portineria chiedendo arrogantemente «dov’è che ci si laurea?» e scocciato perché ci si permette di chiedere informazioni sul nome dell’interessato, risponde sbagliando pure il cognome. C’è anche chi all’insaputa del povero ragazzo che sta per discutere prende iniziativa per iscriverlo alla cerimonia pubblica di laurea. Infine arrivano quelli che, pur sapendo già l’aula, per sicurezza chiedono conferma, non si sa mai che il laureando abbia finto per tutti quegli anni di studiare e abbia invece speso i soldi delle rette in serate alla Scaletta. Ovviamente questi sono, a mio parere i migliori, quelli che dimostrando la loro immensa fiducia riescono a sostenere i propri ragazzi anche nei momenti più importanti; non voglio immaginare come si comportano nei frangenti di vita quotidiana. Una lancia va però spezzata in favore di quei genitori che, per non deludere il buon nome di famiglia, arrivano in facoltà con talmente tanti mini frigo pieni di spumante che per le due ore consecutive a chi vuole lasciare la valigia offro un bicchiere di vino, nella speranza che prima o poi finisca.
Il lavoro da portinaia prevede, ahimè, anche degli ardui compiti che permettono a noi centocinquantaoristi sedentari di alzarci dalla sedia e compiere brevi attività ginnico-ludiche: mi sto riferendo alla caccia al venditore ambulante. Dovete sapere infatti che, quando vediamo entrare un venditore ambulante di rose, che attende il momento delle lauree come i cristiani attendono la fine della Quaresima, noi portinai siamo tenuti a interrompere la sua attività all’interno dell’edificio. Il tutto comincia con un gioco di sguardi che esprimono pensieri ben diversi: il venditore pensa «appena non guardi mi fiondo dentro» e il centocinquantaorista pensa «ti prego non fare un altro passo che altrimenti mi tocca alzarmi dalla sedia». Velocemente gli sguardi si trasformano in azioni e alla prima svista del portinaio il venditore entra in facoltà e inizia a proporre rose ai parenti dei laureati che, presi dal momento, non ne comprano una, ma per sicurezza ne prendono mezzo vaso. A questo punto il centocinquantaorista è tenuto a intervenire: con uno scatto il portinaio si alza e inizia a giocare a nascondino con il venditore che conosce talmente a fondo i posti meglio nascosti della facoltà da far concorrenza al più affezionato fuoricorso. Quando ormai il portinaio è esausto il venditore cede ed esce dalla facoltà e, come un circolo, si ritorna al gioco di sguardi iniziale.
In conclusione, sappiate che un portinaio è sempre attento, d’altronde “vedi tutto, quando il mondo non ti vede” (cit.)
La portinaia