La Grecia, dalla crisi alla rinascita

di Laura Santinato, redattrice della sezione Attualità

 

Il 20 agosto 2018 si è chiuso l’ultimo dei tre pacchetti di salvataggio per la Grecia. I creditori e il governo greco ritengono che le finanze pubbliche abbiano ottenuto un miglioramento tale da poter prendere di nuovo in prestito denaro dai mercati. La Grecia si è posta obiettivi ambiziosi, ma l’attuale ministro delle finanze, Euclid Tsakalotos, è sicuro che si riusciranno a liberare le risorse di bilancio, permettere maggiori investimenti e tagliare le tasse. A nove anni di distanza da quando sono stati rivelati gli inganni del governo greco, la crisi ellenica può dirsi conclusa, ma come si è arrivati a questo risultato?

Nel 2009 il Primo ministro, George Papandreou (PASOK, socialisti), annuncia che i conti della Grecia sono stati truccati dal precedente governo, attestando addirittura il rapporto deficit/PIL al 15,4%. Dal 2001, la Grecia paga diverse banche di investimento perché mascherino la quantità di denaro prestato allo Stato per finanziare il welfare state e questo produce un aumento del deficit; inoltre, nel 2004, il governo greco ammette di aver mentito per entrare a far parte dell’UE. Nessuno si accorge di quanto siano ampi il deficit e il debito pubblico e in poco tempo i titoli greci vengono diffusi e trasmessi a molte banche europee.

Nel 2010 viene istituita la Troika, cioè l’unione di BCE, FMI e UE, questa concede alla Grecia un piano di salvataggio da 110 mld di euro. Nonostante l’aiuto dalla Troika e il piano di austerità per ridurre corruzione, evasione fiscale e spreco di risorse pubbliche, nel 2011 diventa necessario un secondo prestito. A questo punto della crisi, vengono ridotte ulteriormente le pensioni, si stabilisce un piano di mobilità per 30000 statali e si ha il prolungamento della tassa sugli immobili fino al 2014. Papandreou tenta di sottoporre a referendum il piano di salvataggio, ma le minacce europee di sospendere gli aiuti economici gli impongono di retrocedere e annuncia le sue dimissioni.

In seguito, il neo-governo guidato da Lucas Papademos ottiene 130 mld di euro, approvati l’anno precedente, e il rischio di default viene rimandato. Alla fine del 2012 il ministero del tesoro effettua un’operazione di buy back sul debito stesso, ossia riacquista i titoli di stato per un valore di 45 mld al prezzo di 15, riducendo il debito pubblico di 30 mld. Nel 2014, l’economia greca torna a crescere dello 0,7% sul PIL e l’anno successivo diventa Primo ministro Alexīs Tsipras (SYRIZA, Sinistra Radicale), il quale indice un referendum sulle proposte di ristrutturazione del debito fornite dai creditori. La vittoria del “NO” con oltre il 60% dei voti porta a ipotizzare un rifiuto dell’austerità stabilita dall’UE e l’abbandono dell’euro, tuttavia Tsipras e i creditori riescono a raggiungere un accordo.

Attualmente, dopo anni di contrazione, l’economia greca sta finalmente crescendo. Il referendum del 2015 rappresenta un passaggio fondamentale per la Grecia e l’UE. Nel discorso in cui viene annunciato l’incontro referendario, Tsipras promuove l’idea di democrazia e di lotta contro le costrizioni europee a danno della Grecia. Il primo ministro mette in gioco la sua posizione e il futuro all’interno dell’UE al solo fine di mantenere la dignità e la libertà nel proprio Stato. Tsipras affermando che “un’Europa senza democrazia sarà un’Europa senza identità e senza bussola” (27/06/2015) ricorda all’UE le immense difficoltà affrontate dalla Grecia, ma anche la perseveranza nel combattere contro la depressione economica, tenacia che ha permesso di arrivare alla conclusione della crisi.

Nell’autunno 2019, dopo le elezioni europee, la Grecia andrà ad elezioni e lo scontro tra la sinistra di Syriza e la destra di Nuova Democrazia si prospetta durissimo, in particolare sul tema economico.

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