«Da nessuna parte»: Erewhon e la satira distopica di Samuel Butler
di Paolo Vanini
Prototipo e modello di riferimento del genere distopico, Erewhon è un romanzo inglese pubblicato da Samuel Butler nel 1872. Siamo in piena epoca vittoriana e positivista, ma Butler compone una satira del progresso, dell’imperialismo e della cultura occidentale che sfrutta l’immaginario utopico del “mondo alla rovescia” per denunciare, in controluce, che quello al contrario è il mondo europeo.
Le satire di Swift non sono certo lontane; tuttavia, la peculiarità e la novità di Erewhon risiedono nel modo in cui Butler gioca con la strategia umoristica del rovesciamento fino al punto da farla diventare dottrina. Erewhon, infatti, non è il racconto di un viaggio su un’isola volante abitata da giganti grotteschi o da selvaggi deformi, né la descrizione di un paese idilliaco in cui la proprietà privata è stata abolita per donare ai poveri la carnevalesca maschera dell’uguaglianza (Vanini 2018). Questi sono paradossi che scaturiscono dall’incontro con il mostruoso o con l’impossibile e che non potrebbero concludersi con la progettazione di un sistema sociale in sé stesso coerente e plausibile; cosa che accade invece in Erewhon, immaginato dal suo autore come una civiltà inesistente ma possibile, poiché coerentemente e razionalmente organizzata in ogni sua parte (Drudi Demby 2004).
Al modo di uno Zenone intento a dimostrare che la giustizia non esiste, Butler postula l’esistenza di una nazione in cui la salute è una virtù e la malattia un crimine, in cui le accademie universitarie insegnano l’arte dell’irragionevolezza, in cui le istituzioni religiose funzionano come fondazioni assicurative e in cui la tecnologia è stata abolita per salvaguardare la specie umana. A partire da queste premesse, egli deduce il modello di società che ne potrebbe logicamente derivare; una società capace di garantire la massima felicità al maggior numero dei suoi abitanti nell’esatta misura in cui ha saputo anteporre il benessere comune ai diritti degli individui improduttivi, inefficienti e disfunzionali al sistema. Una società, insomma, che ha fatto dell’esclusione dei marginali il principio fondativo del proprio concetto di giustizia, poiché è giusto tutto ciò che permette all’ingranaggio sociale di procedere con la minor quantità tollerabile di errori, costi e imprevisti. Purtroppo, se l’epilogo di questa deduzione assomiglierà in modo inquietante al mondo esistente ma impossibile dell’Europa ottocentesca, sopraffatta dalla rivoluzione industriale e dalle ineguaglianze economiche da essa provocate, è per la precisione matematica con cui Butler struttura la propria inversione distopica; un genere di precisione che, sia detto per inciso, ritroveremo nei romanzi novecenteschi di un Huxley o di un Orwell (Battaglia 2006).
Per Butler non si tratta più di capovolgere, bensì di estremizzare il tipo di logica e morale che ha consentito al modello originale (l’Inghilterra e l’Europa cristiana) di affermarsi storicamente come la civiltà dominante, a dispetto delle innumerevoli ingiustizie e contraddizioni che tale affermazione ha comportato. Per questo motivo, in quanto narratore, Butler procede con il rigore metodologico di uno scienziato che vuole proporre un esperimento mentale atto a dimostrare che il rovesciamento ipotetico messo in scena dalla sua finzione letteraria si rispecchia perfettamente nelle deformazioni diagnosticabili – qui ed ora – nel “verso dritto” della realtà. In altri termini, il rovesciamento della finzione ritorna senza residui nelle inversioni surreali della realtà, ed è una corrispondenza comprovata con sguardo teoretico nel corso dell’intero racconto (Ruyer 1988). Ma in che modo?
In ossequio alle convenzioni utopiche, Butler presenta il suo romanzo come il resoconto in prima persona di un viaggio su un continente inesplorato, nel corso del quale il protagonista (di cui non ci viene mai detto il nome) si dovrà confrontare con una realtà apparentemente incomprensibile e straniante: non per nulla il sostantivo Erewhon, letto al contrario, significa “Da-nessuna-parte” (“No-where”), cioè dalla parte opposta del Vecchio Mondo. Ciononostante, ci si accorge facilmente che non tutto in questo Nuovo Mondo è occulto, a partire dall’imponente catena montuosa in cui gli erewhoniani vivono nascosti e isolati da innumerevoli generazioni. Questo paesaggio montano evoca quello della Nuova Zelanda, una terra meta di missionari e coloni britannici in cui Butler – tra il 1859 e il 1864 – aveva vissuto come allevatore di pecore in una fattoria da lui stesso ribattezzata “Mesopotamia”, poiché ubicata tra due affluenti del fiume Rangitata (Bertolucci 2004). È proprio in quella fattoria che egli inizia a fantasticare di un paese estromesso non soltanto dallo spazio geografico, ma anche dal tempo storico della civiltà occidentale. Incastonato tra le vette rocciose come un’isola sperduta nell’oceano, Erewhon rappresenta infatti l’utopia negativa di un luogo incontaminato dal progresso, perché nei suoi confini, in seguito a una decennale guerra civile relativa all’uso delle macchine, è stata abolita qualsiasi tipo di tecnologia che non fosse vecchia di almeno tre secoli. Dalle informazioni del racconto, si intuisce che la tecnologia erewhoniana è rimasta bloccata allo stadio di quella tardomedievale europea, ragion per cui Butler dipinge questo paese come una nazione mercantile dell’Europa tre-quattrocentesca, il cui tenore di vita è ostentatamente borghese nonostante la borghesia non abbia evidentemente ancora fatto la sua comparsa (Battaglia 2007).
Incurante dell’incongruenza, e avendo a lungo viaggiato in Italia, Butler osserva che le cittadine erewhoniane assomigliano vagamente ai borghi settentrionali della Penisola, in particolare “a Domodossola o a Faido”, e che pure i loro abitanti sono tendenzialmente belli e affabili come gli italiani. Purtroppo, al pari degli italiani, gli erewhoniani hanno usanze arretrate ed espressioni difficilmente comprensibili allo sguardo di un missionario britannico in cerca di oro e indigeni da convertire. A dire il vero, appena giunto a Erewhon, il protagonista si convince di essere finito tra le perdute Dieci tribù di Israele e subito aspira alla gloria che gli spetterebbe qualora riuscisse a ricondurli sulla retta via della Croce. Non ci riuscirà, ovviamente, e la sua avventura nella terra promessa finirà con una fuga clandestina di cui parleremo più tardi.
Al momento, ci soffermiamo su un altro aspetto. Butler, pur essendo figlio di ecclesiastici puritani, in Nuova Zelanda non ci era andato per fare il missionario ma per accumulare abbastanza denaro per dedicarsi interamente alla pittura, alla musica e alla scrittura. Aveva anzi lasciato l’Inghilterra dopo aver troncato i rapporti col padre, il reverendo Thomas Butler, reo di avergli imposto un’intransigente educazione religiosa sin dall’infanzia e di aver così soffocato le sue aspirazioni artistiche (un’accusa di cui troveremo traccia in The Way of All Flesh, romanzo autobiografico del 1873). Il giovane Samuel, obbedendo alla volontà paterna e dopo essersi laureato a Cambridge nel 1858, si trasferisce presso la povera parrocchia di St. James a Piccadilly, dove si prepara alla carriera ecclesiastica facendo per un breve periodo l’assistente laico. Qui si accorge di un dettaglio apparentemente insignificante, capace tuttavia di stravolgere la sua intera esistenza: mentre insegna la Bibbia a un gruppo di ragazzi della parrocchia, Butler scopre che alcuni di loro non sono stati battezzati, nonostante la loro rettitudine morale non fosse in nulla inferiore a quelle degli allievi battezzati. Questa constatazione, per quanto banale, privava il battesimo del suo valore spirituale e implicava la possibilità che tutti i sacramenti fossero falsi. Non si trattava di un’intuizione eretica ma, ancora una volta, di una deduzione logica, in seguito alla quale Butler si “converte” allo scetticismo e decide di partire per la Nuova Zelanda (Bertolucci 2004).
Erewhon, dunque, può essere letto come lo spazio simbolico di questa conversione, la trincea utopica in cui la fede dell’autore si decompone nell’epifania di un disinganno. Si tratta di un cammino a ritroso verso il disincanto che, all’interno del racconto, si riflette nella diagnosi delle contraddizioni morali erewhoniane. Ad Erewhon, per esempio, i malati vengono rinchiusi in prigione, i truffatori portati in ospedale e i truffati giudicati dal “Tribunale della Fiducia Mal Riposta”, perché ad ogni essere razionale risulta palese che la malattia sia un peccato da condannare, la frode un eccesso da curare e la “cattiva sorte, di qualsiasi tipo, persino l’essere vittima di un’ingiustizia… una colpa contro la società” (cap. X, p. 71). In uno Stato in cui la produttività si configura come il cardine dell’etica, la malattia fisica, l’onestà intellettuale e la mancanza di malizia costituiscono necessariamente i vizi capitali da combattere, poiché sono fattori che diminuiscono l’ambizione individuale, l’egoismo e la capacità di capitalizzare. Per questo motivo il ladro va accudito e il derubato condannato, poiché soltanto il primo sa trasformare la disgrazia altrui in fortuna propria, cioè in potenziale occasione di commercio collettivo.
A tal proposito, Butler specifica che l’economia erewhoniana è fondata sulla coesistenza di due sistemi bancari: il primo composto da banche in cui si investe denaro materiale, mentre il secondo da fondazioni – chiamate “Banche della Musica” (cap. XV) – in cui si investe denaro immateriale. Queste Banche sono edifici antichi e imponenti, dove le persone si recano circa una volta a settimana per confidarsi in privato con i banchieri e cantare in coro alcuni versi simili al lamento del vento: per questo sono dette della Musica. Nome doppiamente opportuno, se si considera che la moneta qui coniata non ha valore commerciale, bensì spirituale, grazie alla quale chi accumula assegni musicali si garantisce il diritto di assicurarsi il premio assicurativo migliore quando, ogni trentamila anni, la Banca ridistribuisce gli utili calcolati sul valore delle azioni originarie. Per quanto questa moneta sia unanimemente considerata superiore rispetto al prosaico denaro materiale, i nobili e i commercianti preferiscono investire azioni a breve termine con le banche non musicali, dato che l’ultimo premio assicurativo delle Banche della Musica è stato distribuito duemila anni fa. In compenso, essi si preoccupano di donare una parte delle loro banconote non musicali nelle casse della Banche della Musica, le quali contraccambiano l’offerta stampando alcuni assegni musicali che certificano la santità del donatore.
Come si vede, il rovesciamento parodico del romanzo si riflette nel capovolgimento ipocrita della religione che era effettivamente accaduto nella tradizione cristiana (Almansi & Fink 1976). Tuttavia, Butler non polemizza soltanto con la religione ma anche con la cultura scientifica a lui contemporanea, accusata di aver ridotto la vita a un puro ingranaggio privo di qualsiasi scopo che non fosse la ripetizione meccanica di se stessa (o del proprio self-interest). Contrapponendosi all’evoluzionismo di Darwin, che aveva interpretato l’esistenza come un processo non teleologico, Butler afferma che in mancanza di un fine morale la vita dell’uomo non sia distinguibile da quella di una macchina; con la differenza che, disgraziatamente, in una società industrializzata la sopravvivenza di un motore è preferibile a quella di un meccanico (Battaglia 2008).
Butler aveva inizialmente esposto questa tesi in un saggio del 1863 intitolato Darwin among the Machines; saggio che viene riutilizzato per comporre i capitoli XXIII-XXV di Erewhon, nella famosa sezione intitolata “Libro delle macchine”. Nel romanzo, ci si immagina che questo libro sia stato scritto da un docente delle “Scuole dell’irragionevolezza”, il quale aveva teorizzato che la rapidità attuale dello sviluppo tecnologico avrebbe consentito alle macchine, nel giro di alcune generazioni, di sviluppare una coscienza infinitamente superiore a quella degli esseri umani, che sarebbero stati infine ridotti in schiavitù. L’astuzia delle macchine, sosteneva il professore, consiste nel fatto che esse “servono per comandare” sugli altri uomini solo a patto di essere servite e continuamente perfezionate dagli uomini medesimi, fino al punto che esse diventeranno troppo perfette per poter essere contrastate in qualsiasi modo. Da qui deriva la scandalosa proposta del professore di abolire la tecnologia, in seguito alla quale sarebbe scoppiata la guerra civile menzionata sopra e conclusasi con la vittoria dei “non macchinisti” contro il partito dei “macchinisti”.
Quando il nostro protagonista arriva ad Erewhon, la guerra civile è terminata ormai da molto tempo, eppure egli viene incarcerato a causa dell’orologio (abominevole innovazione tecnologica) trovato in suo possesso. Questo stesso orologio, dopo la sua scarcerazione, finirà nel museo dei reperti tecnologici costruito in tempo di pace, nelle cui sale è custodita anche una vecchia mongolfiera, la quale, una volta restaurata, consentirà al protagonista di fuggire con la donna di cui si è nel frattempo innamorato.
Erewhon si conclude, dunque, con il ritorno in Inghilterra del personaggio principale, di cui scopriremo il nome – Mr. Higgs – soltanto nel 1901, quando, un anno prima di morire, Butler pubblica il suo ultimo romanzo: Erewhon Revisited. Qui Butler si immagina che Higgs, ritornato in incognito ad Erewhon in tarda età, realizza di essere diventato a sua insaputa il profeta di una nuova religione, il Solfiglionesimo. I corrotti teologi delle Banche Musicali avevano infatti spacciato la fuga in mongolfiera di Higgs come “l’ascesa in cielo di Figliodelsole”: un finto miracolo su cui essi riuscirono a costruire un culto rivoluzionario e uno stupefacente impero economico, innescati entrambi dalla rilegittimazione religiosa dello sviluppo tecnologico. Secondo i teologi, Figliodelsole (cioè Higgs) era risalito al cielo per insegnare agli erewhoniani che il loro paese doveva diventare come quel Vecchio Mondo industrializzato da cui egli giunse per portare il suo messaggio di salvezza.
Venuto a conoscenza dell’atroce impostura, Higgs vorrebbe rivelare al popolo la verità ma si accorge facilmente che non è più possibile distruggere il Solfiglionesimo senza provocare inutili conflitti e sofferenze ben peggiori di quelle attuali. Inoltre, quando la sua presenza viene scoperta dalle autorità locali, Higgs scende a patti con loro e baratta il proprio silenzio con la garanzia di un sicuro rientro in patria. Così, l’ultimo passaggio di Figliodelsole in terra erewhoniana si conclude con una menzogna colma di disincantata rassegnazione, perché sia da questa che dall’altra parte del mondo il compromesso è l’unica morale possibile, essendo il mondo il luogo ipocrita del “doppio gioco” e dell’inganno (Doppio e Giuoco sono, d’altronde, i nomi dei due più influenti teologi della nuova religione).
In questo viaggio, tuttavia, Higgs scopre di aver lasciato a Erewhon un figlio con il quale riesce a instaurare un rapporto fatto di amore, rispetto e reciproca compassione. E questo inaspettato legame, oltre ad evocare la sofferta relazione di Butler con suo padre, ci ricorda alcune pagine del romanzo del 1872 dedicate al mito dei non-nati (cap. XIX-XX). Secondo gli erewhoniani – raccontava allora Butler – la vita attuale è l’effetto di una scelta compiuta in una vita precedente e immateriale, quando, per l’appunto, non si era altro che anime non-nate. Alcune di queste anime, stanche della loro mancanza di corpo, bramano acquistarsene uno in questo mondo e, per riuscirci, importunano per mesi una coppia di sposi scelta a caso, finché questi due disgraziati – esasperati – non cedono alle molestie dello spirito.
Al fine di tutelare gli sposi, però, al quarto giorno di vita gli erewhoniani fanno firmare al neonato (per tramite di un tutore legale) un certificato di nascita, in cui egli esonera i genitori da qualsiasi responsabilità e promette loro obbedienza e lealtà fino alla morte. Questo certificato viene controfirmato dallo stesso ragazzo a quattordici anni, per quanto pochi siano i rampolli che non fuggano di casa al compimento della maggiore età. Un proverbio popolare – ripetuto da nonni, bisnonni e trisavoli – afferma invero che, nell’aldilà, i malvagi vivranno per l’eternità sotto lo stesso tetto dei genitori e dei suoceri: ragion per cui, in questa vita, bisogna comportarsi bene e traslocare in fretta. Eppure, accade talvolta che un figlio ami spontaneamente il padre e la madre e che essi, a loro volta, lo ricambino con altrettanto amore. Per queste rare eccezioni, il giorno in cui un genitore muore è altrettanto triste del giorno in cui un figlio nasce. Succede quando i figli perdonano a se stessi l’errore della loro scelta prenatale, e quando i genitori perdonano ai propri figli di non aver dato loro la possibilità di scegliere.
Del resto, nel mondo degli erewhoniani, le scelte individuali finiscono sempre per rivolgersi contro se stesse. Come se la libertà fosse un’illusione.
P.S.: A Erewhon, ci informa il signor Higgs, non esistono i gatti.
Bibliografia
Almansi, G. & Finsi, G. (1976). Quasi come: parodia come letteratura e letteratura come parodia. Milano: Bombiani.
Battaglia, B. (2006). La critica alla cultura occidentale nella distopia inglese. Ravenna: Longo.
Battaglia, B. (2008). “Samuel Butler e lo spirito della macchina”. Morus (4), 259-268.
Bertolucci, P. (2004). “Appendici”, in: Butler, S., Ritorno in Erewhon. Milano: Adelphi.
Butler, S. (2012). Erewhon. Milano: Adelphi.
Drudi Demby, L. (2012). “Introduzione”, in: Butler, S., Erewhon. Milano: Adelphi.
Ruyer, R. (1988). L’Utopie et les Utopies. Brionne: Monfort.
Vanini, P. (2018). Cioran e l’utopia. Prospettive del grottesco. Milano: Mimesis.