Il ruolo dell’attore
di Gianlorenzo Virdis
“L’attore è un bugiardo al quale si chiede la massima sincerità”: da questa frase del grande Vittorio Gassman si può intraprendere un ragionamento riguardo il ruolo dell’attore.
L’attore è colui che veicola un messaggio tramite l’arte della recitazione; ciò rende il contatto con pubblico assolutamente essenziale, essendo quest’ultimo il destinatario del suddetto messaggio. Questo legame, come è facile intuire, è andato evolvendosi nel corso degli anni. Partiamo dal principio: l’attore nasce insieme al teatro, che per gran parte della storia umana è stato il mezzo di espressione di scrittori e interpreti. Nell’antica Grecia l’interpretazione aveva un ruolo catartico; ciò era possibile solo grazie al pathos che lo stesso attore riusciva a suscitare nella rappresentazione. Il teatro greco aveva un intento morale: il pubblico doveva trarre dalla messa in scena un insegnamento utile per la vita all’interno della società. Pertanto, in quel periodo, il piano di relazione tra attore e pubblico risultava inevitabilmente sbilanciato verso il primo.
Situazione ben differente è quella della commedia dell’arte in Italia (XVI-XVIII secolo). Gli attori recitavano per strada, e non c’era né la necessità né la pretesa di veicolare una moralità in ciò che si rappresentava. L’unico fine utile della recitazione era quello di intrattenere il pubblico per ottenere una ricompensa; è ben evidente come il già citato piano “attore-pubblico” sia sbilanciato verso quest’ultimo. Era infatti il pubblico a determinare la riuscita o meno di una performance, a ricompensare le proposte più accattivanti e a rendere viva l’interpretazione.
Nel ‘900 avvengono dei cambiamenti radicali nel mondo della recitazione e nel rapporto attore-pubblico. Il dilemma principale riguarda il binomio fare-essere attore: in quest’ambito, le innovazioni europee sono state reinterpretate in Italia da Pirandello. Emblematico è il “metateatro” dell’autore siciliano: il teatro non deve essere più finzione e artificio, il collegamento attore-pubblico sparisce, e entrambe le parti vengono coinvolte in egual misura, poiché si deve rappresentare la realtà nuda e cruda. Tutto ciò risulta quanto meno difficile poiché il rapporto pubblico-attore si basa su una profonda finzione: tutto quello rappresentato in scena non è mai reale, è un compromesso che sia gli attori che gli spettatori accettano in modo più o meno inconscio. È dunque difficile pensare che ciò che viene rappresentato risulti reale, perché già dal momento della stesura della sceneggiatura la realtà viene plasmata.
Il dilemma della rappresentazione del reale viene poi posto, sempre in Italia, con l’avvento del cinema neorealista. Registi del calibro di Rossellini, De Sica e Pasolini avevano l’intento e la necessità di rappresentare la realtà. Ecco perché la figura dell’attore varia ancora una volta: egli, infatti, non doveva rappresentare un personaggio, ma essere la persona. Tuttavia, con l’avvento del cinema su larga scala, l’attore si è trovato sempre di più a diventare un idolo, posto su un piano superiore rispetto al pubblico, che di fatto si deve immedesimare e deve ammirare il personaggio carismatico (protagonista o antagonista). Poiché al giorno d’oggi ognuno di noi sente la necessità di non sentirsi solo, l’idea di immedesimarsi in qualcuno o in qualcosa risulta propedeutica per l’ego umano. La necessità moderna, dunque, non è più far affiorare tramite l’attore un messaggio morale, ma immedesimarsi nell’attore per sollevarsi e distrarsi. Tutto ciò per creare un’illusione, forse innocua, di non restare soli; ma in fondo cos’è la recitazione, se non proprio una semplice illusione?