Buon 1994!
Un uomo entra nell’inquadratura di una tv. È dietro ad una scrivania e alle sue spalle vi è una libreria con una foto sulla destra. L’uomo sistema alcune cartelline, si siede e appoggia le braccia sul tavolo. “L’Italia è il paese che amo, qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti” pronuncia con tono solenne e al contempo amichevole. La telecamera zooma sul viso dell’oratore, mostra una smorfia di dolore, e poi scende velocemente sul completo e rivela una ferita all’altezza del costato. No, non è Silvio Berlusconi l’uomo sulla scena, ma Leonardo Notte.
Se 1992 si apriva con l’arresto del socialista Mario Chiesa e 1993 con la pioggia di monetine su Bettino Craxi davanti all’Hotel Raphael, l’ultima parte della trilogia non poteva che iniziare con il discorso di discesa in campo di Berlusconi.
È giunta all’ultimo “ciak” la straordinaria produzione di Sky ideata da Stefano Accorsi, in grado di coniugare realtà e finzione e di avvicinare molti ragazzi della nostra età, non solo italiani, all’epoca oscura di Tangentopoli (alla faccia di chi sostiene che le serie italiane sono tutte da buttare).
Se siete giunti a questo punto e non avete ancora visto gli episodi avete due possibilità: rinchiudervi subito nella vostra cameretta e recuperare le prime due puntate o andare avanti con l’articolo noncuranti degli spoiler. A voi la scelta. In ogni caso, buon 1994!
Rispetto a 1992 e 1993, le prime due puntate hanno dedicato più spazio ai singoli personaggi, senza tuttavia tralasciare gli avvenimenti storici, raccontati con straordinaria lucidità e senza rendere la figura del fondatore di Forza Italia (interpretato da Paolo Pierobon) una caricatura.
Dopo l’incipit un po’ “sorrentiniano” (che Accorsi se la sia presa a male perché il regista napoletano non l’ha convocato per Loro?), ritroviamo Leonardo Notte (Stefano Accorsi), resuscitato dai morti dopo il tentato omicidio, durante il dibattito tra Occhetto e Berlusconi alla trasmissione di Mentana, Braccio di Ferro. È il solito Leonardo Notte tormentato dai suoi demoni e dalle sue vecchie ambizioni, afflitto da attacchi d’ansia che può calmare solo con le pillole, ma deciso a realizzare il suo progetto, far vincere le elezioni al Cavaliere e conquistare ciò che ama persino più delle donne che gli girano attorno: il potere.
L’evoluzione del suo personaggio riguarda proprio questo aspetto, che lo fa allontanare una volta per tutte dalla sua parte luminosa e morale per farlo diventare un uomo dell’ombra, immorale e libero di fare ciò che vuole (“A me non me ne frega un cazzo di fare il ministro, io li voglio decidere i ministri”).
Quella del personaggio di Veronica Castello (Miriam Leone) sarà invece una trasformazione in senso contrario. Da amante di diversi uomini politici e imprenditori milanesi ad aspirante Lorella Cuccarini, è riuscita finalmente a diventare una parlamentare e ha scorto nel potere la sua parte nobile; allo stesso tempo, tuttavia, si trova sempre sull’orlo del precipizio da cui vede la sua parte sgradevole, ambigua e soffocante, la stessa che le ha permesso di arrivare fino alla sua posizione. Per Veronica il potere è uno strumento che le ha permesso di essere amata e di sentirsi realizzata. La volontà di far approvare ad ogni costo il disegno di legge contro le molestie sessuali è un modo di riabilitazione della sua figura, più che una rivendicazione consapevolmente femminista.
È così dunque che si è aperto questo anno della Restaurazione, con la rappresentazione di due personaggi che non si possono né amare, né odiare, ma al massimo si possono compatire (nell’accezione latina del termine): perché in fondo Leonardo Notte e Veronica Castello siamo anche noi, né cattivi, né buoni, idealisti e disillusi allo stesso tempo, assetati di potere e spaventati da questo allo stesso tempo, così disperatamente italiani.