Sidival Fila: tessere il sacro
di Francesca Altomare
Dal 13 luglio al 4 novembre 2019 il Museo Diocesano Tridentino ospita una mostra monografica su Sidival Fila. La scelta di allestire la mostra su Sidival non è affatto casuale, spiega la direttrice del museo Domenica Primerano; dal momento che il Museo Diocesano Tridentino ha, fin dalla sua fondazione, reso evidente uno specifico interesse per la produzione tessile, la scelta di allestire la mostra è stata determinata anche dal desiderio di mantenere vivo il legame con il territorio e di creare un ponte tra tecniche di produzione artistica del passato e soluzioni contemporanee, dando così occasione di riflettere sull’utilizzo del tessuto come veicolo di espressione artistica.
Il percorso di Sidival Fila comincia nel 2006, quando, dopo anni di ricerca e di sperimentazione, sceglie il tessuto come mezzo di espressione. La “scoperta” del tessuto è l’esito di una progressiva ricerca di nuovi canali espressivi con i quali dare voce ad una lunga riflessione riguardo il ruolo, anche sociale, del gesto artistico nel comunicare il sacro. Sidival realizza le sue opere partendo da un’attenta selezione dei materiali, provenienti da abiti preziosi e usurati dal tempo, da stoffe consunte o da tessuti poveri; tessendoli, conferisce loro, punto dopo punto, nuova vita. L’atto artistico diventa, così, un atto creatore, capace di far risorgere la bellezza della materia proprio quando ci sembra sepolta e si lega indissolubilmente a quel gesto antico e quotidiano che è il cucito facendo della tessitura una metafora dell’esistenza. A questo proposito Riccarda Turrina, curatrice del saggio monografico dedicato a Sidival intitolato “Mondi Possibili” sostiene che per attitudine o per vocazione Sidival Fila pone al centro del proprio pensiero creativo il concetto di umanità, dove per “umanità” si intende quell’insieme complesso e composito di interconnessioni tra individui. Così facendo, mettiamo in luce uno degli aspetti fondamentali della poetica di Sidival: l’universalità del linguaggio artistico come punto di partenza per instaurare delle relazioni personali, interpersonali e ultra-sensoriali tra opera d’arte e artista, tra opera d’arte e osservatore e, idealmente, tra osservatore e artista.
Sidival ha scelto, assumendosene i rischi, di comunicare il sacro attraverso il linguaggio dell’arte contemporanea che, si sa, spesso non è di immediata comprensione. Per questa ragione l’osservatore che percorrerà gli spazi espositivi non si confronterà con opere di figurazione ma con opere astratte che comunicano il sacro non attraverso un’immagine ma attraverso un codice espressivo che può e deve essere apprezzato non in funzione di una minuta decifrazione dei suoi elementi compositivi ma, al contrario, in funzione dell’evocazione apparentemente illogica che questo è in grado di suscitare. Henri Focillon, nel suo saggio Vita delle Forme, sostiene che è inevitabile che l’osservatore cerchi nella forma altri sensi estranei alla stessa, e che spesso confonda la nozione di forma con quella di immagine, implicando quest’ultima la rappresentazione di un oggetto. Sarebbe utile, per comprendere il linguaggio dell’arte astratta, considerare che la forma ha un senso proprio, un valore personale e intrinseco che non deve essere confuso con quell’insieme di attributi e di significati che, volta per volta, le vengono attribuiti. Per entrare a fare parte della dimensione artistica di Sidival è necessario lasciare la mente libera da schemi interpretativi precostituiti e abbandonarsi alla visione di un linguaggio espressivo diverso da quello a cui siamo abituati. È importante, tuttavia, ricordare che quando si parla di processo di astrazione non ci si riferisce ad un annullamento della dimensione reale ma piuttosto ad un’interpretazione di essa. Il luogo verso cui si muove l’artista è quello della trascendenza, certo, ma di una trascendenza che parte e si articola in tutta la sua concretezza materiale nell’ininterrotta e vibrante rete di fili tesi e cuciti sulle tele senza alcun rapporto di consequenzialità. L’artista non parte da un’idea per raggiungere una forma ma l’operazione avviene in simbiosi: in altri termini, è lo spirito dell’artista a dare forma alla materia e contemporaneamente è la materia a ispirare l’animo dell’artista e a suggerirgli in che modo plasmarla. Ed è proprio in virtù di questo procedere all’interno di un’incessante connessione che non si può, nel caso di Sidival, parlare di un concetto artistico sotteso all’opera d’arte: esso è tessuto insieme ad essa. Lo stesso artista, nel raccontarsi, sostiene che il suo scopo non è quello di celebrare la vita nell’arte ma che l’arte è quella parte di me negata alla vita che diventa vita nell’arte. Con questa affermazione, ancora una volta, Sidival separa il gesto artistico da una specifica funzione esplicativa, sottolineandone la componente più istintiva ovvero la capacità di creazione. Nell’idea quasi arcaica di arte come manifestazione di un impulso spontaneo si potrebbe individuare, ancora una volta, l’eco delle parole di Henri Focillon che nel suo Elogio della mano sostiene che: la mano è azione; afferra crea, a volte si direbbe che pensi. In stato di quiete non è un utensile senz’anima, un attrezzo abbandonato sul tavolo o lasciato ricadere lungo il corpo: in essa permangono, in fase di riflessione, l’istinto e la volontà di azione e non occorre soffermarsi a lungo per intuire il gesto che si appresta a compiere.
Dopo aver fatto un breve accenno al significato che ha l’atto artistico nella poetica di Sidival, è opportuno cercare di spiegare in che modo, ovvero con quale processo creativo, l’artista plasmi i suoi lavori. La tensione lirica tra materia e sua evocazione è ottenuta esplorando parallelamente le possibilità espressive del colore e del materiale. L’artista obbedisce alle regole dettate dalla stessa materia, ovvero il tessuto, e la fa trionfare a partire dal suo attributo primario: il colore. Il colore reca in sé una capacità di evocazione potenziale, ovvero induce nell’osservatore la nascita di una sensazione che viene chiaramente percepita ma non può, nell’immediato, essere compresa. Si tratta di un processo di graduale e spontanea assimilazione di informazioni esperienziali che si verifica quotidianamente nella vita di ciascuno di noi; i colori ci appaiono continuamente in tutte le loro sfumature e non provocano in noi alcuna sensazione di estraneità: anzi, è proprio il colore che, molto spesso, ci rende più o meno familiare un oggetto. Il senso di straniamento, l’ispirazione provocata in noi dalle opere di Sidival deriva dal fatto che il colore non è legato da un vincolo di necessità ad un oggetto reale ma è lasciato libero di esprimersi per sé stesso. Il colore delle tele di Sidival, che imbeve ogni singola fibra di tessuto, reca in sé, quindi, la traccia di una comunicabilità assoluta che si tramuta in maniera incostante in piani diversi di percezione perseguendo un processo di intermittente rivelazione. Ed ecco che quegli accordi cromatici, che ci appaiono del tutto casuali, plasmano, senza mai cadere nella serialità, una rete così compatta e armonica di sovrapposizioni tonali che una qualsiasi variazione, anche se impercettibile, incrinerebbe l’armonia raggiunta nella tela. A questo processo di saturazione cromatica, si lega un processo analogo in relazione al tessuto che mira ad un’assolutizzazione della forma attraverso la materia: la forma ci appare nel suo essere una non-forma ovvero vediamo qualcosa che non è riducibile ad un oggetto reale e non è esprimibile in un termine specifico ma che, tuttavia, percepiamo come forma a tutti gli effetti, autonoma e visibile. La lacerazione, la fenditura, la cucitura della tela rivelano la volontà dell’artista di posizionarsi al confine tra la superficie reale della tela e la superficie ideale che si rivela attraverso di essa. La scelta di utilizzare materiali poveri, riciclati o logorati dal tempo risponde alla stessa idea di ri-semantizzazione del materiale; i tessuti che hanno perso la loro funzione originaria ma che mantengono in sé il segno di un ciclo di vita passato, vengono lentamente resuscitati in tutta la loro potenza comunicativa diventando materia artistica autonome e indipendente. L’artista giunge a questa ri-semantizzazione senza studiarla precedentemente ma accogliendola come se accogliesse un imprevisto. Ed ecco che la sutura, la stoffa rattoppata, il filo teso e ricucito si mostrano per quello che realmente sono ovvero degli elementi figurativi propri della composizione e non dei segni simbolici.
Il successo della mostra è stato garantito da un altro elemento fondamentale: l’allestimento delle sale espositive, realizzato da Gianni Faccini e Arturo Kuer. Esso è il momento in cui si stabiliscono le modalità di fruizione delle opere in relazione all’ambiente in cui sono inserite, traducendo visivamente le relazioni reali esistenti tra le opere d’arte e le relazioni potenziali che le opere instaureranno con l’osservatore. L’allestimento ha, quindi, una duplice funzione: sottrarre le opere d’arte dalla loro comune realtà percettiva inserendole in un contesto ideale e creare le migliori condizioni di fruizione stabilendo anticipatamente un percorso ideale con cui guidare il visitatore nella lettura delle opere senza ostacolarne la libertà di interpretazione. A questo proposito l’allestimento delle tre sale ripercorre idealmente l’evoluzione artistica di Sidival isolando e mettendo in piena luce i diversi piani espressivi che ne caratterizzano l’operato. L’osservatore, una volta entrato nella prima sala, si troverà di fronte a grandi tele monocrome, solcate da profonde fenditure armonicamente ricucite e non potrà che rimanere esterrefatto, straniato, quasi confuso. In questa sala ad emergere è la volontà di Sidival di mettersi a confronto diretto con il linguaggio espressivo dell’arte contemporanea. I riferimenti ai Tagli di Lucio Fontana o ai Sacchi di Alberto Burri sono evidenti e mettono ancora di più in evidenza il desiderio di Sidival di trovare una propria strada da percorrere. A differenza dei suoi celebri predecessori Sidival non affronta la materia, ma cerca di instaurare un rapporto di amore con il tessuto. Il suo non è un atto di sfida ma di amore e riconciliazione con la materia.
Proseguendo il percorso espositivo si giunge nella seconda sala. dedicata alla Via Crucis: quattordici piccole tele disposte in ordine consequenziale fino ad una grande tela centrale in cui compare un Cristo crocifisso sorretto e allo stesso tempo ingabbiato da una fitta rete di fili bianchi. Le piccole tele traducono idealmente le fasi attraversate da Cristo durante la salita al Calvario fino a giungere all’esito tragico del percorso, ovvero la Crocifissione. La Via Crucis conduce l’occhio dell’osservatore lungo un percorso di crescente pathos fino a raggiungere il grado di massimo lirismo nella figura del Cristo morente. Con questa opera Sidival si stacca nettamente dalla tradizione figurativa dell’arte sacra e propone un’esperienza spirituale alternativa. A differenza delle opere della prima sala, nelle tele della Via Crucis l’evidenza delle cuciture, dei rattoppi, del tessuto in tensione serve a rendere ancora più vivido il senso di lacerazione, di sofferenza, di angoscia che si avverte quando si è davanti ad una scena come quella della Salita al Calvario. Le tele della Via Crucis non hanno cornici, trascendono lo spazio ideale fondendosi con i muri e gli intonaci e facendo dell’intera sala un’opera d’arte. La scelta di dedicare un ambiente espositivo raccolto, intimo, che idealmente riproduce quello di una cappella liturgica è funzionale alla volontà di ricreare all’interno del museo un’area dedicata alla contemplazione.
La terza sala, quella che conclude il percorso espositivo, raccoglie le opere forse più intimiste di Sidival ovvero quelle che si dichiarano esplicitamente come un elogio del tessuto. Le tele sono realizzate utilizzando preziosi tessuti ricavati da antichi abiti liturgici che hanno perduto la loro funzione originaria e ai quali Sidival, rimarcando la sacralità del gesto arcaico della tessitura, conferisce una nuova vita e una nuova funzione, quella di essere delle opere d’arte.
Per apprezzare le opere di Sidival Fila è, quindi, necessario liberarsi da qualsiasi precondizione estetico-filosofica che rende miope la nostra visione, liberarsi dalla necessità di trovare, nell’immediato, un significato all’opera e concentrare l’attenzione sulle opere d’arte in sé e sulla bellezza che esse esprimono nella loro materialità.
BIOGRAFIA
Sidival Fila nasce in Brasile (Stato del Paranà) nel 1962. Da adolescente si trasferisce a San Paolo dove comincia a coltivare la sua passione per la storia dell’arte. Nel 1985 si trasferisce in Italia alla ricerca di un’identità artistica e spirituale che lo conduce a Roma dove nel 1999 entra a far parte dell‘Ordine dei Frati Minori di San Francesco d’Assisi. Sidival coltiva la sua vocazione presso il Policlinico Agostino Gemelli di Roma e presso il carcere di Rebibbia e conduce la sua vita tra il Convento di Vitorchiano e quello di Frascati abbandonando, in questi anni, l’attività artistica. Solo nel 2006, dopo diciotto anni di assenza, la vocazione artistica torna nuovamente nella vita del frate che, con una più matura consapevolezza, intraprende un percorso artistico e allo stesso tempo spirituale durante il quale si misura con tecniche, materiale e possibilità espressive differenti fino a trovare il mezzo che meglio esprime il suo essere frate e artista: il tessuto.
APPROFONDIMENTI (riferimenti bibliografici)
Sidival Fila, Opere, catalogo della mostra a cura di Domenica Primerano e Riccarda Turrina
Vita delle Forme, Henri Focillon
Burri e l’estetica, Mario Perniola
LUOGO
Museo Diocesano Tridentino, Piazza Duomo 18, 38122 Trento
www.museodiocesanotridentino.it
Orari di apertura: tutti i giorni dalle 10.00 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 18.00 eccetto il martedì (giornata di chiusura). Domenica 6, 13 e 20 ottobre saranno organizzate delle visite guidate. La mostra è visitabile dal 13 luglio fino al 4 novembre 2019
Costi: Il costo del biglietto è di 2,00 €.