Una rivoluzione nella rivoluzione

Sono disposte in file ordinate, indossano tute militari e portano i capelli raccolti in trecce e code; sono desiderose di imparare in fretta per andare a combattere il prima possibile. Alcune sono poco più che bambine, altre poco più che adolescenti, abbandonano le loro case e le loro famiglie per costruire un futuro migliore. Le foto le rappresentano in gruppo: sorridono e sono armate, armi che stridono con i visi giovani e puliti, da cui traspare speranza. Si sentono in dovere di impugnare le armi, si sentono in dovere di contribuire: sono ragazze normali con dei sogni e delle aspirazioni, ma per il momento li hanno messi da parte per il bene comune della loro nazione. Ricordano le partigiane della Resistenza Italiana, le nostre bisnonne. Cambiano il periodo storico e la localizzazione, ma la motivazione che le spinge è sempre la stessa: ottenere la libertà. Sono le guerrigliere curde.

In Siria e Iraq sono presenti circa 15.000 donne volontarie, che hanno scelto di arruolarsi nei gruppi combattenti curdi, fra cui il Partito dei lavoratori del Kurdistan (Pkk) e l’Unità di protezione delle donne (YJP), ala femminile dell’Unità di protezione popolare (YGP). Queste donne sono spinte da un duplice scopo: da una parte proteggere il territorio della loro nazione, minacciato dall’Is prima e dai turchi ora, dall’altra emanciparsi dalla cultura maschilista ancora presente nella loro società. Infatti, nella tradizione curda, la figura della donna non ha valore, l’unico scopo nella vita di una donna è quello di sposarsi, procreare e occuparsi delle faccende domestiche. Quando una donna curda si sposa diventa proprietà del marito, perdendo la sua libertà: essere una moglie o una figlia significa non essere una persona a pieno titolo.

“Da quando combatto ho imparato il vero significato di parità, le donne possono difendersi da sole e combattere. Questa è la vera libertà per una donna, fare ciò che desidera.”

Le donne volontarie decidono di sfuggire a questo destino arruolandosi nelle milizie, dove diventano donne libere, libere di combattere per quello in cui credono, libere di scegliere e agire secondo la loro volontà. Infatti, esse hanno il pieno rispetto degli uomini con i quali combattono fianco a fianco.

“Se vuoi proteggere te stessa e vivere libera, non puoi ambire ad un matrimonio tradizionale. La schiavitù ha inizio all’interno della famiglia. Se inizi a seguire la mentalità per cui dovresti sposarti e diventare madre ad una certa età, allora scegli di vivere in una gabbia.”

Le guerrigliere curde provengono perlopiù da famiglie povere ed hanno un’età compresa fra i 18 e i 25 anni, anche se non mancano alcune ragazze minorenni che decidono di non proseguire la loro educazione scolastica per entrare a far parte dei gruppi armati. Una volta all’interno delle milizie, le volontarie devono seguire un addestramento della durata di un mese: dall’alba fino alla sera si susseguono le esercitazioni pratiche e teoriche che le renderanno pronte al campo di combattimento. Una volta pronte alla battaglia, le partigiane curde vanno incontro a grossi rischi: le donne catturate dai gruppi jihadisti vengono legate per i capelli alle auto e trascinate per le strade e finiscono col diventare schiave sessuali, subendo stupri e torture. Perciò, essere prigioniera è fuori questione: ogni guerrigliera porta con sè un proiettile destinato ad essere usato nel caso il peggio arrivasse. Nonostante ciò, le partigiane affermano di non avere paura dei pericoli in cui incorrono, perchè la loro motivazione è quella di creare un futuro migliore per il loro popolo, un futuro che ad oggi non esiste.

Grazie all’entrata delle donne all’interno delle milizie, è diminuita la distanza sociale fra i due sessi che è presente all’interno della società curda. Prima della creazione delle unità di combattimento femminili, era impensabile che uomini e donne potessero lottare alla pari, fianco a fianco. Ora, le cose stanno cominciando a cambiare e alla fine di ogni giornata di addestramento, donne e uomini ballano, cantano e ridono assieme, andando contro ai preconcetti della società. Così, le donne curde stanno facendo sentire la loro volontà e stanno alzando la voce, una voce che terrorizza i militanti dell’Is, per ottenere i diritti che spettano loro. Per un jihadista, una delle cose peggiori che può accadere sul campo di combattimento, non è essere ucciso, ma essere ucciso da una donna; se questo succede, pensano che finiranno dritti all’inferno. Pur di non incorrere in questo pericolo, quando vedono una guerrigliera, i miliziani dello stato islamico preferiscono scappare, piuttosto che rischiare di morire per mano loro. Questi stessi jihadisti, sconfitti dalle forze di combattimento, ora stanno venendo reclutati dalla Turchia per combattere nuovamente contro i curdi, con il fine di indebolirli e lasciare spazio libero all’esercito. Nella regione del Rojava, nel nordest della Siria, tre giorni dopo il ritiro delle truppe statunitensi dal territorio siriano è infatti scattata la campagna militare turca volta ad acquisire il controllo del territorio per crearvi la “zona sicura”, una zona cuscinetto dove ricollocare i profughi siriani precedentemente accolti dal paese di Erdoğan.

Il futuro della popolazione curda è del tutto incerto: le milizie, dopo aver combattuto per la libertà del loro popolo e del mondo intero, si ritrovano abbandonate contro lo stato turco. Dimenticando le forze curde, sono state dimenticate le migliaia di volontarie che combattendo hanno attuato una rivoluzione nella rivoluzione. Nonostante tutto, il loro coraggio e la loro forza non si sono spenti, e le donne curde sono pronte a difendere il proprio popolo e territorio da chi vorrebbe strapparglieli senza nessun diritto.

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