Cambiare il mondo una storia alla volta: arriva a Trento il teatro civile de ‘Il Muro’
“Immaginatevi al volante della vostra automobile. Mettete in moto e guidate per dieci chilometri. Chi lo ha mai visto un muro lungo dieci chilometri? Non esiste, ovvio che non esiste. Però arrivato al decimo tiri fuori la testa e guardi fuori e il muro prosegue e tu non ne vedi la fine. Il muro di Berlino era lungo 156,4 chilometri. Non puoi arrivare in fondo, perché il fondo non esiste”
Questo hanno raccontato Marco Cortesi e Mara Moschini, protagonisti dello spettacolo ‘Il Muro’ che domenica scorsa, trent’anni dopo la caduta del muro di Berlino, ha fatto tappa al Teatro Sociale di Trento. Quello di Cortesi e Moschini è un teatro civile, basato sulla centralità di tematiche sociali di attualità. I due giovani attori girano il mondo da anni alla ricerca di storie vere, con un solo obiettivo: “Vogliamo cambiare il mondo una storia alla volta. Suona ambizioso, vero? Lo è.”
Il desiderio di autenticità della coppia è apparso chiaro fin da subito alla platea del Sociale. ‘Il Muro’ infatti non si presenta come un tripudio di sfarzose scenografie e luci, anzi. Riesce a raggiungere gli spettatori grazie alla genuinità delle storie che racconta, attraverso mezzi semplici: due attori in costumi neutri su un palco vuoto. Sono i personaggi e la quotidianità dei loro sentimenti e delle loro azioni a rendere lo spettacolo un successo. Proprio in questo sta l’efficacia de ‘Il Muro’, che Cortesi descrive come uno spettacolo che “non parla di muri, ma parla di noi”.
Cortesi e Moschini hanno deciso di raccontare la caduta del Muro di Berlino attraverso diverse storie, in cui trionfa l’aspetto familiare e non quello che conosciamo grazie ai giornali e ai libri di storia. ‘Il Muro’ è la storia di Peter, ragazzo di appena diciotto anni follemente innamorato della fidanzata Katrin, del loro amore e di come questo, nel corso di una sola notte, da semplice e tenero sia destinato a diventare shakespeariano. Perché a dividere Peter e Katrin non ci sono Capuleti e Montecchi ma un ostacolo, se possibile, ancora più insormontabile: il Muro. È la storia della dura decisione di Hans, autista di autobus che, indagato dalla Stasi, si vede costretto a mettere in pericolo la moglie e i due figli nel tentativo di varcare il Muro in maniera insolita. Decide infatti di prendere spunto dagli anni di servizio militare per convertire l’autobus che guida in un vero e proprio panzer. È l’umanità di questi e dei molti altri protagonisti de ‘Il Muro’ a toccare le corde più profonde del cuore degli spettatori.
Ha quindi lasciato a bocca aperta Cortesi quando, a spettacolo terminato, si è rivolto al pubblico chiedendo: “Vi sembra che tutto questo serva a qualcosa? Domani ci saranno meno guerre o meno muri? La verità è semplicemente questa: questo spettacolo non serve a niente, è tutto inutile”. Queste infatti erano le domande che tormentavano l’attore al termine del proprio viaggio in Germania, al momento di intervistare l’ultima persona, la numero 53. Fu Holger, professore di matematica ormai in pensione che aveva perso il figlio negli anni del Muro, a dargli una risposta: “Das Strich”, il trattino. Holger riuscì a trovare la forza della memoria nel trattino che si trova sulle lapidi, in mezzo alla data di nascita e quella di morte: quel segno infatti rappresenta la nostra vita, l’unico fattore che possiamo influenzare. È grazie a quel segno, a quel trattino, che Cortesi ha capito perché è importante ricordare.
“Quella notte su quel piccolo divano a Berlino io non penso al muro. Penso a un’altra cosa. Penso ai mille e mille sogni che vorrei realizzare. Penso ai ti voglio bene e ai mi dispiace. Penso a tutto quello che vorrei fare e non ho mai fatto. Alla fine di questa storia è tutto molto più chiaro: la paura è il vero muro.”