Manifesto per un diritto eclettico: una conversazione con Guido Calabresi
L’insigne giurista italoamericano Guido Calabresi è stato l’ospite d’eccezione della lezione conclusiva del XVI anno del dottorato in Studi Giuridici e Comparati, portando a Trento un incredibile bagaglio di saggezza e competenza, nonché delle idee ancora attualissime.
Il personaggio
Nato a Milano nel 1932, a sette anni Calabresi è costretto a trasferirsi negli Stati Uniti al seguito della famiglia, a causa della militanza antifascista del padre. Questa migrazione forzata sarà la sua fortuna, perché risparmierà al piccolo Guido, di origini ebraiche, gli orrori della guerra. La sua condizione di migrante gli fornirà, inoltre, una visione più ricca del mondo, proprio grazie ad una prospettiva che lui stesso definisce “straniata”.
Dopo le lauree in Economia e in Giurisprudenza a Yale, inizia a lavorare come consulente legale per il giudice associato della Corte Suprema Hugo Black. Nel 1959, a ventisette anni, diventa il più giovane professore della Yale Law School, di cui sarà preside per un decennio tra il 1985 e il 1994, anno in cui Clinton lo nomina giudice presso il Secondo Circuito della Corte d’Appello federale. L’ambiente aperto e interdisciplinare che caratterizza da sempre l’università di Yale sarà il terreno ideale su cui innestare la sua leadership intellettuale.
Il pensiero
Il Professor Calabresi, insieme a Ronald Coase, è universalmente riconosciuto come il fondatore della corrente “Law and Economics”, una locuzione che siamo soliti tradurre, un po’ impropriamente, con “analisi economica del diritto”. Da dove proviene l’audace suggestione che, da giovane studioso negli anni Sessanta, lo portò ad accostare due discipline tradizionalmente considerate rivali?
Calabresi spiega che già all’inizio del secolo scorso si era affermata la necessità di ripensare il diritto vigente, fino ad allora considerato immutabile, in ottica riformista. Per dare inizio ad una critica radicale, però, il grimaldello doveva provenire da una disciplina estranea alle scienze giuridiche e proprio l’economia si era presentata come lo strumento più adatto per questo scopo, consentendo un arricchimento reciproco tra gli studiosi dell’una e dell’altra materia.
Uno dei traits d’union tra diritto ed economia, infatti, sono i valori. Mentre il diritto risponde a cambiamenti nella scala valoriale della società, e talvolta li anticipa, gli economisti affermano di assumere i valori come già dati. Una dichiarazione sicuramente suggestiva ma fallace, perché anche gli economisti scelgono attentamente a quali valori rispondere primariamente nel corso della propria attività (non è, forse, il profitto uno dei valori prediletti dagli economisti?). Parlare di valori, dunque, è necessario anche per l’economia. Per chiarire questo concetto poniamo, a titolo esemplificativo, che ne esistano soltanto due: “più è meglio di meno” e “l’uguaglianza è preferibile alla diseguaglianza”. Il diritto fa in modo di convincere la gente in questa direzione mediante incentivi positivi o negativi. Aggiungiamo, a questo punto, un altro valore: la creatività. Tra le azioni creative con ricadute economiche – anche se indirette – possiamo annoverare l’educazione dei figli, i quali, per non contraddire il principio di uguaglianza che abbiamo deciso di perseguire come valore, devono essere accuditi da entrambi i genitori. Al diritto spetta il compito di creare leggi ad hoc per massimizzare il beneficio senza sacrificare i valori scelti. Quest’esempio mostra bene come i vari campi del sapere debbano intersecarsi continuamente e contaminarsi per costruire una società migliore.
A supporto di questa convinzione, Calabresi racconta che, quando fu chiesto a John Stuart Mill chi fossero gli intellettuali più importanti del secolo passato, egli rispose che uno era di sicuro Bentham, il quale guardava tutte le idee come fossero stranieri. Quando esse si rivelavano incoerenti con la sua teoria, le bollava come non-sense e le scartava. Ma talvolta non erano le idee ad essere inadeguate, bensì la teoria stessa. Perciò, quando ci si accorge che un’analisi storica, filosofica o economica guarda al diritto senza spiegarlo in modo coerente, non si può subito pensare di cambiare le leggi, ma bisogna prima provare a riformare la teoria. Deve crearsi un rapporto bilaterale di scambio, non di dominio di una disciplina sull’altra.
Un ambito di riflessione importante per l’analisi economica del diritto riguarda la valutazione dei costi morali che ogni società deve affrontare. Proprio il sistema giuridico contribuisce a plasmare nei cittadini la percezione di questi costi, affiancandosi all’economia nel decidere come essi vadano gestiti. L’obiettivo è, ovviamente, limitarli al fine di tenere sotto controllo la diseguaglianza sociale. È giusto, per esempio, investire nel digital welfare state? Chi progetta e chi gestisce questa tecnologia? Poiché non possiamo rispondere con valutazioni astratte, ma dobbiamo ancorarci all’esperienza, va data grande attenzione all’interazione tra mercato e regolamentazione, perché l’analisi del primo può suggerire alla seconda se un certo sistema di incentivi sia efficace o meno.
L’approccio economico è solo uno dei possibili modi di rivolgersi alla scienza del diritto ed è senza dubbio importante per raggiungere una maggiore comprensione delle luci e delle ombre del nostro ordinamento. Ma l’impatto che questo metodo può determinare sulle regole e sui principi ha bisogno di linguaggi diversi a seconda che si tratti di scelte pubbliche o private? E’ utile distinguere tra giurista teorico e giurista pratico? In conclusione, abbiamo bisogno di adoperare strumenti diversi? Oggi le imprese ambiscono ad accrescere la loro capacità di profitto, ma anche a minimizzare i costi morali causati alla società, inter alia l’inquinamento. Quali strade dovrebbe percorrere un decisore privato che abbia come obiettivo un profitto sostenibile?
Rimangono ancora tanti interrogativi e Guido Calabresi, dall’alto dei suoi ottantasette anni, accoglie la standing ovation del pubblico con un sorriso sornione: sa che la sua carriera stellare, dopo oltre cento articoli e quaranta titoli di laurea onorifici, non può ancora dirsi conclusa.
Alcuni suggerimenti di lettura
Some Thoughts on Risk Distribution and the Law of Torts, Yale Law Journal, 1961
The Costs of Accidents: a Legal and Economic Analysis, Yale University Press, 1970
Property Rules, Liability Rules and Inalienability: one view of the Cathedral, Harvard Law Review, 1972
Tragic Choices, con Philip Bobbitt, New York, W.W. Norton & Company, 1978