Al di là del Muro, trent’anni dopo: la Storia, le storie
Secondo le stime ufficiali, le vittime del Muro di Berlino furono centotrentotto. Nello spazio onirico racchiuso tra la materialità del Muro e la mobilità del Confine si celano le storie di queste persone, uomini e donne proprio come noi, che morirono sognando la Libertà.
La prima a perdere la vita fu Ida Siekmann, il 22 agosto 1961. Appena dieci giorni dopo l’erezione del Muro, la donna si lanciò dalla finestra del suo appartamento in Bernauer Straße, adiacente alla barriera. Sperava di riuscire a raggiungere i parenti nella zona occidentale per festeggiare con loro il suo cinquantanovesimo compleanno, ma i piumoni che aveva gettato al suolo prima di saltare non furono sufficienti ad attutire la caduta e le ferite riportate si rivelarono letali. L’ultima vittima, invece, fu Winfried Freudenberg, morto l’8 marzo 1989 mentre metteva in atto un rocambolesco tentativo di fuga a bordo di un pallone aerostatico.
Se oggi, a Berlino, decidete di unirvi ai turisti e seguire la folla nel suo vociante pellegrinaggio attraverso il centro della città, dopo aver costeggiato per un po’ la striscia di porfido che marchia il tracciato del Muro raggiungerete con facilità una delle attrazioni principali della capitale tedesca: il Checkpoint Charlie, un punto di passaggio fondamentale nella Berlino divisa, divenuto un simbolo della Guerra fredda. Se, dopo aver scattato la foto di rito, vorrete proseguire, poco più avanti, in Zimmerstraße, la vostra attenzione sarà senz’altro catturata da una stele di basalto posta a commemorazione della ventisettesima vittima del Muro. Il suo nome era Peter Fechter e il memorial sorge proprio nel punto in cui fu fucilato dalle guardie della DDR, ad appena diciott’anni, il 17 agosto 1962.
Il piano del ragazzo consisteva nel nascondersi in una falegnameria vicino al Muro e, una volta lì, saltare dalla finestra verso quella che oggi è tristemente nota come ‘’striscia della morte’’, attraversarla di corsa e arrampicarsi sul secondo muro di cinta – alto soltanto due metri ma coperto da filo spinato – per ricadere infine a Kreuzberg, un quartiere di Berlino Ovest. L’amico Helmut Kulbeik, che scavalcò per primo, riuscì nell’impresa. Peter invece fu colpito al bacino dai proiettili delle guardie di frontiera sovietiche e si contorse a terra per più di un’ora, agonizzante, senza che nessuno andasse a soccorrerlo. Il giovane e sventurato muratore di Mitte, così, non poté mai rivedere Katrin, la sarta per amore della quale aveva cercato di lasciare l’Est.
Questa vicenda, così drammatica, testimonia come ogni muro rappresenti sempre anche il pretesto per affermare il suo opposto: il confine diventa, paradossalmente, lo scenario ideale per protestare contro le divisioni. È lungo i muri che la sofferenza supera se stessa e si trasforma in reazione animata da nobile coraggio. Oggi la stele in Zimmerstraße sottrae il sacrificio di Peter all’oblio del tempo e ci ricorda che, accanto alla Storia che separa e ferisce, esistono tante altre storie, con l’iniziale minuscola e il numero plurale, che uniscono e affratellano. E’ a queste ultime che dovremmo dare spazio sabato, durante le celebrazioni per il trentesimo anniversario della caduta di Die Mauer, senza dimenticare che nei giorni successivi a quell’incredibile 9 novembre, mentre la gente in strada urlava Europa subito, Europa adesso, iniziava anche una seconda età dei muri: oltre il 75% di quelli attuali, infatti, è stato costruito costruito dopo il 1989.
Come scrive Carlo Greppi nel suo saggio L’età dei muri – Breve storia del nostro tempo, edito da Feltrinelli nel gennaio 2019, “L’età dei muri è opera – finora – di una generazione cresciuta al fronte e che dal fronte ha imparato solo a distruggere o, al massimo, a creare per dividere, e questo know-how l’ha trasmesso alla generazione successiva. E quelli che sono arrivati dopo se lo sono infine trovato tra le mani senza neanche più ricordarsi perché, senza sapere come fare i conti con il dolore da cui è scaturita questa capacità di separare, l’eterna e arbitraria divisione tra noi e loro”. Il sottotitolo del libro di Greppi chiarisce subito come lo sguardo dell’Autore non sia rivolto al Novecento, ma alla realtà contemporanea. L’età dei muri non è forse la nostra?