Egisto: tra tradimento e dispotismo
EGISTO: «Ora guardo in me stesso e vedo che sono più morto di Agamennone. […] Ah! Darei il mio regno per versare una lacrima!» (SARTRE, Le Mosche, 1943)
Traditore, assassino, tiranno, cane, verme. Sono questi gli epiteti che solitamente accompagnano il nome di Egisto, figura spesso associata all’assassinio del Re Agamennone, evento succeduto dall’instaurazione di un regime tirannico. In occasione della messa in scena dell’Orestea di Eschilo presso il Teatro Sociale di Trento a cura della compagnia teatrale Anagoor, vorrei dirigere l’attenzione su un personaggio che viene solitamente relegato -purtroppo- al ruolo di mero antagonista: Egisto.
L’assassinio di Agamennone può essere inteso come il naturale epilogo della sua esistenza, iniziata con la violenza: la madre Pelopia viene infatti stuprata dal padre Tieste, ed Egisto è frutto di questo incesto. Cresciuto da Atreo, fratello dello stupratore, il giovane viene a sapere più avanti la verità sui suoi natali; ciò lo porterà ad abbracciare il destino di odio che avvolge i Pelopidi organizzando con la complicità di Clitemnestra, sua amante e moglie di Agamennone, l’omicidio del Re.
Diversa è invece la versione di lui offertaci dall’Agamennone, prima tragedia dell’Orestea di Eschilo, seguita dalle Coefere e dalle Euminidi. Egisto, terzo figlio di Tieste, viene cacciato in esilio da Atreo con suo padre quand’è ancora bambino, e ritorna per vendicarsi e prendere il potere. È quest’ultimo fattore che caratterizza il personaggio nella trattazione eschilea: non è lui ad eseguire l’omicidio, ma la regina. Egisto usurpa il potere subendo così la vendetta di Oreste e Pilade, entrati nella reggia travestiti da mercanti, ma non agisce concretamente al fianco di Clitemnestra.
Sembra crearsi quindi un rapporto di dipendenza tra i due amanti, in cui a prevalere è la donna che, nella sua statuaria violenza, commette prima l’adulterio e poi l’omicidio, permettendo la penetrazione dell’estraneo nelle dinamiche del nucleo familiare e, più ampiamente, del regno.
In quasi tutta la drammaturgia classica, Egisto è un personaggio muto, il cui corpo compare, esposto, eccezionalmente per il teatro greco, nelle Coefere di Eschilo, già morto; il suo omicidio per mano di Oreste viene raccontato ad un’entusiasta Elettra, figlia di Agamennone. Solo nell’Elettra di Sofocle, al Re, qui vero autore dell’omicidio, sono riservate poche battute, prima che Oreste muova il pugnale su di lui come ha appena fatto con la madre:
EGISTO:Perchè là in casa andar mi fai? / Se bella Quest’opra è pur, come del bujo ha d’uopo,/E ad uccidermi qui presto non sei? / ORESTE:Non commandar; va’ dove morte hai data /Al padre mio; là tu morir pur devi. /[…]/ Andar tu devi inanzi. /EGISTO. Perchè via non ti fugga? /ORESTE. Perchè morte /Non abbi quale aver t’aggrada: io deggio /Anco a te questo procurar d’acerbo. /Giusta pena ad ogni uomo esser dovrebbe, /Che oltrepassa le leggi, incontanente /Morir; sarebbe il mal oprar non tanto.(Sofocle, Elettra trad. di F.Bellotti)
L’arroganza amplificata dall’usurpazione del potere contraddistingue Egisto nella fase conclusiva dell’Elektra di Hofmannsthal: l’uomo entra nella stanza dove Elettra, ormai divorata dall’odio, lo attende illuminata dalla luce di una fiaccola, volta a renderne l’aspetto ulteriormente sinistro; il patrigno ha saputo della morte di Oreste e cerca conferma attraverso Elettra: «E recano davvero la notizia che è morto, e lo annunciano così che non resta dubbio alcuno?». L’interessamento di Egisto è determinato solo dalla bramosia di mantenere il ruolo raggiunto: Hofmannsthal non definisce i contorni, le caratteristiche profonde, lasciando che sia solo la volontà di comando a definire il personaggio.
Tuttavia è da considerare come lo stesso Egisto agisca, nelle riscritture più moderne, in una totale indipendenza rispetto all’amante: nell’ Elettra di Giraudoux, anzi, è la donna a diventare completamente succube dell’amante e poi marito, al punto di esortare la figlia a non opporsi a lui, affermando in questo modo anche la particolarità dell’uomo di essere, nella sua ottica, l’ago della bilancia che divide dall’anarchia totale e dall’autodistruzione della città stessa. Come afferma lo stesso Egisto :
«Riconosci che, se sposo Clitennestra, la città si calma e gli Atridi si salvano? Se no sarà la rivolta, l’incendio?»
Il potere assoluto su Argo è la caratteristica-guida anche dell’Egisto delineato ne Le Mosche di Sartre; qui però il personaggio appare calato in una dimensione di stanchezza e solitudine, che lo porta a invidiare i morti, in particolare Agamennone, a cui – Egisto ne è consapevole – andrà tutta la gloria del ricordo, tanto da istituire una festività a loro dedicata. Nella versione sartriana il re è quindi «un guscio vuoto» a cui «una bestia ha mangiato quello ch’era dentro», annoiato dalla vita stessa, che giace intorpidito dal ruolo di potere del quale si è investito alla morte del re precedente.
La morte, quindi, per l’Egisto del filosofo francese appare, in linea anche con la corrente dell’esistenzialismo, come l’unica alternativa, tanto da essere accettata, consapevolmente e liberamente.
In maniera analoga l’immagine di un Egisto pensoso si ripresenta nell’Elettra o la caduta delle maschere di Marguerite Yourcenar: il re, dinnanzi, al cadavere della moglie, uccisa in questa versione dalla figlia, confessa d’essere il vero padre di Oreste. La rivelazione non spinge solo Oreste alla consapevolezza di aver pianto per dodici anni un falso padre, ma soprattutto ad una trasformazione dei rapporti familiari e di forza all’interno del nucleo; l’uomo non è uno spietato tiranno ma un padre, desideroso di evitare l’onta dell’illegittimità all’erede, che finalmente ritrova il figlio e che gli propone di recuperare il tempo perduto. La confessione non basta a salvare la vita ad Egisto, che viene pugnalato proprio da Oreste, ma conferisce un valore assolutamente nuovo alla vendetta, trasformando il rapporto tra i due, anomalo rispetto alla tradizione.
Ciò che nella classicità è considerato tragico, nella modernità diventa spesso patologico e la grandezza della sventura non è che la sublimazione del conflitto familiare, conflitto privo delle ragioni che lo avevano animato in origine. Oreste vendica infatti l’assassinio di un uomo che non è suo padre, pertanto la motivazione politica della successione al potere scema; lo stesso rapporto tormentato con la madre smette di avere significato poiché la morte di Agamennone non turba le dinamiche familiari, né i rapporti di sangue e, soprattutto, non rappresenta un tradimento da punire. Nella versione dell’autrice francese, quindi, il vero turpe delitto non è l’assassinio di Agamennone ma è il parricidio poiché è, paradossalmente, la concretizzazione effettiva della menzogna che ha circondato la vita di Oreste fino ad allora; cioè, come afferma la stessa Yourcenar, è il momento in cui «i volti hanno divorato le maschere» e i personaggi, spente le ipocrisie, devono affrontare in se stessi dilemmi probabilmente irrisolvibili.
Nella rappresentazione dell’Orestea a cura di Anagoor, in gran parte fedele al testo di Eschilo, il personaggio di Egisto, a cui sono riservate poche battute sul finire del primo tempo, si pone in netto contrasto con la sua amante. Se, infatti, quest’ultima rivela, con calma e compostezza, come la ragione dell’omicidio del marito sia il sacrificio della figlia Ifigenia, che appare a tratti anche comprensibile, l’uomo indica come movente l’omicidio dei fratelli e il successivo allestimento del banchetto cannibalico. Torchiato, però, dalle accuse della corifera, il figlio di Tieste svela un linguaggio scurrile, sintomo di un infantilismo radicato, fattore reso visibile in scena dalla differente età dei due amanti.
Egisto è, perciò, da intendere non come esclusivamente antagonista – sia come succube della regina, sia come dotato di propria volontà – ma calato nella sua dimensione genealogica di violenza che, inevitabilmente, lo porta all’omicidio e a essere ucciso. Paradossalmente, quindi, l’amante di Clitemnestra è il vero personaggio tragico della vicenda: mentre, infatti, alla regina è riservata una possibilità di vendetta, attraverso l’appello alle Erinni, nelle già citate Eumenidi di Eschilo, a Egisto spettano solo l’oblio e il silenzio.