La filosofia di Mad Max: Fury Road
“It’s the end of the world as we know it” recita un verso di una canzone dei R.E.M.
È la fine del mondo per come l’abbiamo conosciuto. Il mondo è morto. Tutte le narrazioni apocalittiche (o post-apocalittiche) si impegnano a mostrare questa caduta: la fine delle certezze, il crollo dei paradigmi. Il film capolavoro Mad Max non è da meno.
Il mondo di Mad Max: Fury Road è decaduto e in esso non vale più nessuna razionalità (non a caso è mad, pazzo). È senza leggi, il paesaggio è ciò che rimane dei brandelli del tessuto sfilacciato del senso. Ciò si rispecchia anche nell’organizzazione della società: non esiste più la città, come luogo di aggregazione sociale, come polo della ragione, come concentrato di umanità. Il mondo è sepolto sotto le ceneri della sua antica gloria e si è trasformato in un deserto senza punti di riferimento dove tutto si ripete sempre uguale a sé stesso.
Il deserto è l’abisso di Nietzsche, il vuoto lasciato aperto dal leone che ha divorato e abbattuto gli idoli, che ha ucciso Dio, che si è disfatto di tutte le finzioni dietro cui l’uomo si nascondeva. È il luogo della perdizione e della follia, dove ci ritroviamo soli, sperduti, nel delirio del non senso. Vogliamo disperatamente che qualcuno riempia quel vuoto, che qualcuno risani il mondo che il leone ha lacerato. Lo stesso leone lo vuole. Tutti desideriamo stabilità, assolutezza, definizione. Tutti vogliamo adorare un dio, cedergli la responsabilità delle nostre decisioni, rimettere a lui la volontà di scegliere dove dirigerci. Il deserto, paradossalmente, è il luogo perfetto dove far nascere un nuovo mondo, un nuovo culto, una nuova divinità. Nel non-mondo delirante di Mad Max, colui che si carica del peso dei peccati della massa, che esaudisce il desiderio delle persone di tranquillità e assolutezza, è Immortal Joe, un re-dio a cui cedere la propria libertà dopo averne percepito il peso troppo opprimente.
È quello che fanno i Figli della Guerra, gli adepti della nuova “religione del deserto”, pronti a morire per un inganno quando spinti alla follia dall’ombra proiettata da Immortal Joe. Dopo la caduta abbiamo bisogno di qualcuno che ci guidi, che ci salvi dalla incessante sensazione di essere inutili, dei corpi che si dimenano e arrancano nella sabbia fangosa cercando di sopravvivere. Il nuovo culto di Immortal Joe è la dimostrazione della schiavitù a cui sono destinati gli assassini di Dio, coloro che hanno messo in atto la Morte di Dio. Un culto folle, un’adorazione infondata e assurda che serve proprio a sopprimere il senso di vuoto che ci asfissia dopo aver perso i punti di riferimento tradizionali. Nietzsche chiama “morale degli schiavi” questa assurda illusione che porta i fedeli a cedere la libertà di fronte al non-senso dell’esistenza. Ma non esistono solo schiavi oppressi o leoni distruttori di senso.
Dalle ceneri del mondo, attraverso la sabbia del deserto serpeggia una risata, anche se tenue, mascherata, opaca. Furiosa e Max, i due protagonisti della pellicola, prendono su di loro la responsabilità, si caricano della libertà, non cercano di rifugiarsi nella finzione di una nuova religione, ma ammettono e accettano l’insensatezza tragica della vita. Sono loro due i veri trasvalutatori dei valori, coloro che smettono di cercare il senso intrinseco delle cose, che si affannano alla ricerca di una verità nascosta, essenziale, radicale, profonda, quella che credono di aver trovato i Figli della Guerra in Immortal Joe. I due protagonisti si lasciano alle spalle ogni finzione, ogni idolo, ogni verità assoluta, si incamminano sulla Fury Road, al di là di ogni certezza, al di là del bene e del male, alla ricerca di un nuovo senso. Sanno che non devono trovarlo nel mondo, ma costruirlo dal nulla, contando solo sulle loro forze.
L’uomo reagisce all’assurdo in due modi diversi:
- Chi cerca la consolazione nell’illusione;
- Chi vive ammettendo l’assurdità dell’esistenza e si impegna per metterle ordine.
Furiosa è la vera protagonista del film perché realizza totalmente e radicalmente la missione dell’oltreuomo, del superamento dell’uomo che sceglie di consolarsi nelle illusioni. Lei è doppiamente gettata nell’abisso dell’assurdità: da una parte perché si trova a dover affrontare un mondo post-apocalittico e post-umano, dall’altro perché anche la sua ultima e sfilacciata illusione, quella che le ha dato una ragione per continuare a vivere- ovvero il sogno di trovare un luogo della bellezza, un’oasi di sollievo dove poter vivere in pace con le sue sorelle- si rivela una menzogna. Ma nonostante questa doppia perdita di senso, continua a impegnarsi per creare senso.
L’oltreuomo, alla fine, sa che è lui stesso a dover creare una bellezza che è sempre di là da venire, che non è mai già data. È questa la rivoluzione messa in movimento da Nietzsche e che in Mad Max emerge in modo così dirompente: Nietzsche chiarisce che la verità non ha niente a che fare con la realtà e ci dice che l’oltreuomo è colui che sa accettare questa sfida. La verità non è mai già data ma è sempre da guadagnare e da costruire. Questo significa che la verità non esiste come un dato inscritto nel mondo e che il pensiero e l’arte non sono atti di disvelamento della verità. Il pensiero è un continuo atto di creazione della verità e della realtà stessa. La verità non sta nel realismo, in ciò che già esiste, che è già istituzionalizzato dalla ragione, ma nella creazione della rottura. Nella rivoluzione.