Agricoltura biologica, pesticidi e Trento bio-distretto.
Ormai da parecchi anni si parla di pesticidi, dei loro effetti sulla salute umana e del loro impatto sull’ambiente: è un tema caldo, che magari resta quiescente per qualche tempo, per poi comunque tornare alla ribalta e al centro dell’interesse dell’opinione pubblica. Ed è anche giusto che sia così, considerando le conseguenze che il loro utilizzo ha sulla nostra vita.
“Pesticida” è, in realtà, la traduzione del termine inglese “pesticide”, che in italiano verrebbe meglio reso con “prodotto fitosanitario”. In generale, pesticida è qualsiasi microrganismo o sostanza chimica utilizzato in agricoltura per uccidere parassiti o altri organismi nocivi o per prevenire i danni che questi ultimi possono provocare durante la produzione, lavorazione, conservazione, trasporto e commercializzazione di cibo, di derrate alimentari, di legname e derivati, di alimenti zootecnici o altre sostanze destinate agli animali (definizione della FAO).
Perché i pesticidi possano assolvere il loro compito – uccidere organismi nocivi che possono danneggiare le colture – essi devono intervenire sulle strutture o sulle funzioni degli organismi “bersaglio”. Il problema è che alcune di esse sono presenti anche in altre specie, incluso l’uomo. Il rischio, insomma, è quello di colpire specie indesiderate e, in secondo luogo, cagionare danni alla salute degli uomini. Quindi, se è vero che non bisogna demonizzare i pesticidi (ricordiamoci che grazie ad essi si sono riuscite a debellare alcune gravi malattie, come la malaria, la malattia del sonno e la febbre gialla), in ogni caso è certo che non bisogna abusarne e che essi portano con loro effetti collaterali.
Nello specifico, il problema maggiore è legato all’elevata quantità di residui che l’impiego di fitofarmaci produce e, in particolare, il c.d multiresiduo – cioè la presenza di più di un residuo di un pesticida ritrovato nel medesimo prodotto. Come denuncia Legambiente, il problema sta anche nella legislazione europea che non considera, nell’ambito del monitoraggio dei residui dei fitofarmaci, il cumulo di più sostanze nocive derivanti dai pesticidi, ma la quantità del singolo elemento. Così, se ogni singolo elemento resta entro limiti fissati dalla legge non si pongono le basi per un intervento interdittivo dei pesticidi, seppure – come molto più spesso capita – la reale nocività dipende dalla combinazione di piccole quantità di più e diversi residui dei pesticidi.
Insomma, tutti questi residui li ritroviamo nella nostra frutta e verdura e possono provocare parecchi danni alla nostra salute: dai danni alle difese immunitarie a patologie più gravi, fino a tumori.
Le ripercussioni dei pesticidi si registrano anche sugli animali: anzitutto, le stesse carni potrebbero essere contaminate a causa dell’alimentazione dell’animale. Inoltre, quelle stesse sostanze sono in grado di uccidere anche api e altri animali che, invece, sono fondamentali per il mantenimento dell’equilibrio ambientale.
Accanto ai residui, all’eliminazione di altri piccoli animali fondamentali per il nostro ecosistema e per la preservazione della biodiversità ambientale, è chiaro che problematica è anche l’interazione con i pesticidi: questo coinvolge soprattutto gli agricoltori che anche nei giorni successivi all’utilizzo di queste sostanze respirano un’aria pregna di gas nocivi.
Per questa ragione, già nell’estate 2019 in Trentino è partito un iter per fare della Provincia un “bio-distretto”. L’obiettivo è quello di creare un ambiente favorevole per la riduzione fino alla soppressione dell’uso dei pesticidi nel territorio della provincia di Trento, incentivando i produttori della zona a utilizzare mezzi di produzione sostenibili e a rispettosi della biodiversità. Il progetto non coinvolge solo gli agricoltori locali, ma anche gli allevatori, i quali saranno incoraggiati a valorizzare le razze autoctone.
Lo scopo è di presentare un referendum propositivo, il cui quesito è stato approvato il 27 dicembre e recita:
«Volete che, al fine di tutelare la salute, l’ambiente e la biodiversità, la provincia autonoma di Trento disciplini l’istituzione su tutto il territorio agricolo provinciale di un distretto biologico, adottando iniziative legislative e provvedimenti amministrativi, nel rispetto delle competenze nazionali ed europee, finalizzati a promuovere la coltivazione, l’allevamento, la trasformazione, la preparazione alimentare e agroindustriale dei prodotti agricoli prevalentemente con i metodi biologici, ai sensi dell’articolo 13 del decreto legislativo 228/2001 e compatibilmente con i distretti biologici esistenti?»
Dal 28 dicembre, il comitato promotore – il cui presidente è Fabio Giuliani e di cui fanno parte molti agricoltori locali, cittadini comuni e cooperative (tra cui anche la cantina sociale e la cantina Ferrari) – ha 90 giorni di tempo per raccogliere 8000 firme.
Si vuole così creare un’area geografica dove gli agricoltori, i cittadini, gli operatori turistici, associazioni e amministrazione pubblica possano accordarsi per una gestione sostenibile delle risorse locali, partendo dal modello biologico di produzione e consumo. Il bio-distretto è uno strumento per difendere biodiversità ed ecosistema: grazie alla rinuncia all’utilizzo dei pesticidi, infatti, si tutelano non solo la salute umana ma anche le specie animali che non dovrebbero costituire target dei pesticidi ma ne risultano, cionondimeno, vittime.
A poter firmare sono i cittadini italiani maggiorenni e con residenza a Trento per almeno un anno ininterrotto. Qui il manifesto del bio-distretto trentino.