La Repubblica di Weimar, tra innovazione e problematicità
La Germania degli anni ‘20 del secolo scorso è ancora provata dalle ferite del primo dopoguerra, alle prese con i primi e ancora inefficaci tentativi di conciliazione e stabilizzazione politica. Al momento dell’armistizio la tensione è palpabile: gruppi rivoluzionari, consigli degli operai e soldati sono padroni delle città, occupano aziende e sedi di giornali e requisiscono viveri da distribuire alla popolazione. Il governo legale è esercitato dal Consiglio dei Commissari del Popolo presieduto dal democratico Ebert (Spd) e composto esclusivamente da socialisti.
I socialdemocratici, favorevoli ad una graduale democratizzazione del sistema politico e ad un tentativo di conciliazione con la vecchia classe dirigente, in particolare con i capi dell’esercito, incontrano presto resistenze alla loro politica riformista. Lo scontro è inevitabile: le correnti più radicali del movimento operaio tedesco, l’Uspd, ed i rivoluzionari della “Lega di Spartaco” organizzano nel 1919 un’insurrezione a Berlino, duramente repressa da squadre volontarie dello Spd, i Freikorps, formati da soldati smobilitati e inquadrati in corpi di orientamento nazionalista.
I comunisti sono dunque i grandi assenti il 19 marzo, giorno delle elezioni per l’Assemblea Costitutente. I socialdemocratici ottengono la maggioranza ma non quella assoluta, e sono dunque costretti ad accordarsi con le altre forze politiche: cattolici, liberali e conservatori. Da questo accordo viene costituita la Repubblica “contrattata” di Weimar, a capo della quale è eletto presidente Ebert. Il testo della nuova Costituzione, dalla forte impronta democratica, prevede il mantenimento della struttura federale dello Stato, il suffragio universale, un presidente della Repubblica direttamente eletto dal popolo. Tuttavia né l’elezione del nuovo presidente né la nuova Costituzione valgono a riportare la tranquillità nel Paese: in primavera nuovi disordini sconvolgono Berlino e la Baviera. Alla minaccia rappresentata dai comunisti si aggiunge quella proveniente dall’estrema destra, dai militari inquadrati nei corpi franchi e dagli stessi capi dell’esercito.
Proprio quei generali che nell’autunno del ’18 avevano sollecitato una rapida conclusione dell’armistizio iniziano a diffondere la leggenda della “pugnalata alla schiena”, secondo cui l’esercito tedesco sarebbe stato ancora in grado di vincere la guerra se non fosse stato tradito da una parte del paese. La leggenda riesce a gettare discredito sulla neonata Repubblica di Weimar. Nelle elezioni del 1920 i socialdemocratici registrano una bruciante sconfitta e sono costretti a cedere la guida del Paese ai cattolici del Centro.
L’esperimento della repubblica, sebbene fonte di ispirazione per tutti gli altri Paesi Europei, deve fare i conti con una serie di debolezze: la frammentazione dei gruppi politici, la diffusa diffidenza nei confronti del sistema democratico da parte dei capi della vecchia classe dirigente, e anche della piccola e media borghesia. A ciò si aggiunge, nel 1921, la fissazione di un’esorbitante cifra di riparazione che la Germania sconfitta doveva versare in 42 rate annuali. L’annuncio dell’entità della riparazione suscita subito una catena di proteste: i gruppi di estrema destra (tra cui l’ancora piccolo Partito nazionalsocialista guidato da Hitler), scatenano un’offensiva terroristica contro la classe dirigente, durante la quale cadono vittime l’allora ministro delle Finanze e il ministro degli Esteri. Segue lo scoppio di una crisi finanziaria, che produce un rapido effetto inflazionistico dovuto all’aumento della stampa di carta moneta e alla conseguente svalutazione del marco, il cui potere d’acquisto risulta polverizzato.
Nel frattempo Francia e Belgio, traendo pretesto dalla mancata corresponsione delle riparazioni in natura, inviano truppe nel bacino della Ruhr, una delle principali fonti di risorse produttive della Germania. Il governo tedesco incita la popolazione alla resistenza passiva: operai e lavoratori abbandonano le fabbriche e rifiutano una qualsiasi collaborazione con gli occupanti. Solo nel 1923 il governo di grande coalizione guidato dal leader popolare Streseman ordina la fine della resistenza passiva nella Ruhr e riallaccia contatti con la Francia. Reprime il complotto di Monaco organizzato dal Partito nazionalsocialista e capeggiato da Hitler e cerca di porre rimedio al caos economico. Viene emessa una nuova moneta, il Rentmark, avviata una politica deflazionistica che costa ai tedeschi ulteriori sacrifici, ma consente il ritorno alla normalità monetaria.
Nel 1924 è avviato il piano di finanziamento Dawes, basato sull’elargizione di prestiti a lunga scadenza da parte degli Stati Uniti affinché la Germania possa rimettere in sesto il proprio apparato produttivo e far fronte ai propri impegni. Nonostante i successivi tentativi di stabilizzazione politica, la crisi della Ruhr e l’inflazione del ‘23 mettono a dura prova la stabilità della Repubblica di Weimar e evidenziano la crescente difficoltà a controllare i gruppi sovversivi, sia quelli dell’estrema destra militare e conservatrice sia le nuove forze nazionaliste che iniziano a raccogliere sempre più consensi tra la popolazione, quelle che porteranno nel 1933 alla fine della Repubblica stessa.