Il punto sul coronavirus in Africa

Sono ormai più di 20.000 i casi confermati di coronavirus nel continente africano. I paesi stanno continuando con le misure di contenimento, per evitare la diffusione del virus: ma la situazione peggiora di giorno in giorno e sembra ormai difficile evitare il disastro.

«Se il virus arriverà in Africa, mezzo continente scomparirà» aveva avvisato padre Bruno Gilli, missionario trentino in Togo.
Misure preventive erano già state applicate fin dai primi giorni dell’arrivo del virus: Ciad, Congo, Mozambico avevano chiuso chiese, moschee e scuole e annullato manifestazioni in cui erano previsti grandi numeri di persone. Ma certamente non era, e tutt’ora non è possibile applicare le stesse restrizioni di movimento dell’Italia: non in paesi dove non esiste il concetto di stipendio fisso, di strutture previdenziali, di pensioni, di cassa integrazione. Come ha spiegato il delegato del Centro missionario diocesano di Trento, don Cristiano Bettega: «Smettere di lavorare significa semplicemente morire di fame». Anche la richiesta di lavarsi spesso le mani è impraticabile in territori in cui l’acqua pulita scarseggia, come lo è mantenere le distanze di sicurezza, data l’alta intensità abitativa di molte città.

L’Africa Center for Strategic Studies, l’istituto di ricerca del Pentagono, ha individuato i nove principali fattori che rendono i paesi africani particolarmente vulnerabili al virus: il sistema sanitario, i conflitti, l’alto tasso di sfollamento, la densità urbana, la popolazione urbana, l’esposizione internazionale, l’età media della popolazione, la trasparenza del governo e la libertà di stampa.

Molti di questi problemi purtroppo sono già noti, come i servizi sanitari lacunosi (per fare un esempio, nella Repubblica Centrafricana, in cui vivono quasi 5 milioni di persone, sono disponibili in tutto solo tre ventilatori per chi contrae il Coronavirus in maniera grave). Ci sono tuttavia anche altri fattori che dovrebbero essere presi in considerazione come le malattie già esistenti, la malnutrizione e i disastri climatici. Come ha sottolineato Bruno Abarca, professore associato di Sanità pubblica alla George Washington University e tecnico salute di Azione contro la fame: «È più probabile che l’emergenza si faccia più seria in luoghi in cui la malaria, la tubercolosi e altre malattie infettive sono presenti. E forse l’impatto di COVID-19 risulterà anche più grave nelle persone già colpite dalla malnutrizione.»
Diverse alluvioni inoltre stanno colpendo il continente: nel solo mese di marzo hanno coinvolto Zambia, Burundi, Congo, Angola, Malawi, Ruanda, Namibia e Zimbabwe, lasciandosi alle spalle distruzioni più o meno gravi.

Paradossalmente, però, sono proprio le misure di restrizione applicate dai paesi a preoccupare di più al momento: i blocchi sanitari stanno intaccando la già scarsa disponibilità di cibo. In almeno 33 paesi essi hanno impedito agli agricoltori di fornire cibo ai mercati e stanno minacciando le consegne di alimenti nelle zone rurali. In Zimbabwe, la polizia ha confiscato e dato fuoco a 3 tonnellate di frutta e verdura lasciando a mani vuote i contadini che avevano infranto le restrizioni imposte sulla mobilità. La disperazione ha portato migliaia di persone nella baraccopoli di Kibera, a Nairobi, a radunarsi in un punto di distribuzione di aiuti alimentari, scatenando una reazione dalla polizia. In questa situazione di emergenza gli aiuti umanitari, che dovrebbero portare soccorso, in alcuni paesi trovano i confini chiusi.

La Banca Mondiale teme che possa crearsi una grave crisi della sicurezza alimentare in Africa: a 65 milioni di bambini, ad esempio, manca il pasto quotidiano che veniva loro fornito dalla mensa scolastica con l’aiuto del WFP, perché le scuole sono chiuse.

Stando ad Africanews, i contagiati sarebbero più di 20.000 e i morti più di mille. La cosa spaventosa non è solo che si tratta di numeri destinati a crescere, ma che questi sono probabilmente “falsati”, in quanto potrebbero essere almeno cinque volte più alti. É difficile infatti fidarsi dei dati forniti da governi con bassi livelli di democrazia e poca trasparenza delle amministrazioni, senza considerare che in molti casi mancano proprio i mezzi per eseguire i test. Al momento, il Lesotho e l’Unione delle Comore rimangono gli unici due paesi senza alcun caso segnalato, mentre tra quelli ufficialmente più colpiti ci sono Egitto, Sudafrica, Marocco e Algeria, tutti con più di 2000 casi ciascuno.

Il Sudafrica, invece, è stato uno dei paesi a fare più tamponi: il 4 aprile erano oltre 50.000. Inoltre, è anche uno dei pochi paesi sub-sahariani con un sistema sanitario sufficiente per affrontare l’epidemia e, al contrario di altri, non presenta immensi campi profughi, dove migliaia di sfollati vivono ammassati gli uni accanto agli altri, in condizioni igienico-sanitarie pessime.

A fronte di tutte queste e di molte altre problematiche, Oxfam crede che, se non verrà portato aiuto nel continente, la lotta alla povertà potrebbe tornare indietro di circa 30 anni. Per la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale, l’Africa ha ancora bisogno di 44 miliardi di dollari per combattere la pandemia, mentre la Commissione economica delle Nazioni Unite per l’Africa (l’Uneca) avverte che, se non verranno adottati gli strumenti necessari per porre fine alla diffusione del virus, potrebbero morire tre le 300 mila e i 3,3 milioni di persone.

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