Un nuovo approccio alle materie: cosa togliere, aggiungere o capovolgere
di Valentina Failla ed Elisa Mazzocato
Dopo ormai due mesi di incertezza, ma anche di sperimentazione e innovazione, tutto il mondo della scuola è in fermento. Noi non vi parleremo di didattica online – tema di certo urgente e dibattuto, ma dietro al quale si cela una fragilità strutturale che necessita di una riflessione più profonda. Per questo giungiamo all’ultima delle tre proposte, formulate in tempi non sospetti, per un rinnovamento del sistema educativo italiano, che da decenni era necessario ed oggi appare inevitabile.
Abbiamo parlato di nuovi approcci: alla scuola come istituzione e comunità, che ha bisogno di diventare più aperta e dinamica; all’insegnante, che deve essere riconosciuto nel suo status di professionista dell’educazione e adeguatamente formato come tale. Il compito dell’insegnante è infatti quello di educare, oltre che istruire, le nuove generazioni di cittadini. Ma che cosa comportano esattamente questi due compiti? In che modo e in che misura la scuola dovrebbe assolverli?
L’istruzione è servizio d’interesse sociale: chi, se non la scuola in quanto istituzione dello Stato, dovrebbe dare ai giovani i mezzi per comprendere e agire attivamente sulla realtà che li circonda, come cittadini informati e consapevoli?
“Nell’ordinamento italiano l’istruzione è considerata un servizio ‘d’interesse sociale’”, si legge inequivocabilmente nell’Enciclopedia Treccani online alla voce “istruzione”. Dare ai giovani i mezzi per comprendere e agire attivamente sulla realtà che li circonda, realizzandosi come individui autonomi e cittadini informati e consapevoli: chi altri, se non la scuola in quanto istituzione dello Stato, dovrebbe rispondere a questo dovere, nonché averne l’interesse?
Eppure a diciott’anni, all’uscita dalla scuola dell’obbligo, i giovani italiani si trovano spesso catapultati senza preavviso nel “mondo reale” – fino all’esame di maturità accuratamente tenuto al di fuori del piccolo mondo (irreale) della scuola. Questo impatto con la realtà non può che risultare difficile e frustrante se manca una buona parte del vocabolario minimo necessario a compiere la più basilare azione di cittadinanza “adulta”: informarsi.
Com’è possibile, senza aver mai ricevuto nemmeno i rudimenti dell’economia, della finanza, del diritto, della storia contemporanea, leggere un qualsiasi articolo di giornale che vada oltre la cronaca spiccia?
Insistendo ancora una volta sulla preoccupante quantità di analfabeti funzionali che vanta il nostro Paese, ci chiediamo: com’è possibile, senza aver mai ricevuto nemmeno i rudimenti dell’economia, della finanza, del diritto, della storia contemporanea, leggere un qualsiasi articolo di giornale che vada oltre la cronaca spiccia? Le dinamiche economiche e geopolitiche del mondo in cui viviamo diventano sempre più complesse, interrelate a livello transnazionale, spesso oscure anche ai più esperti. Non può stupire, perciò, che l’utente medio di Internet preferisca affidarsi alla semplicità e immediatezza dell’ultimo complotto, piuttosto che cercare di informarsi meglio prima di ricondividere una notizia su Facebook, scegliere di acquistare un certo prodotto, oppure andare a votare.
Cos’è una banca? Che significato ha il denaro? Quali tasse devo pagare da comune cittadino, quali se decido di aprire anche solo una piccola attività in proprio? In qualità di membro del G8, l’Italia possiede una ricchezza che, per quanto mal distribuita, ha pochi rivali al mondo; eppure lascia l’educazione finanziaria dei giovani completamente in mano alle famiglie – a quelle, cioè, che hanno i mezzi per assicurarla. Ancora più gravi sono le lacune in termini di diritto, pubblico e privato: se non capisco il funzionamento delle istituzioni, è probabile che io vada a votare senza sapere bene davvero per cosa o che non voti affatto. Infine, è ben nota l’annosa questione del programma di storia: appesantito da inutili ripetizioni, esso si ferma spesso alla seconda guerra mondiale, tralasciando così proprio gli ultimi settant’anni, senza i quali gli eventi e le dinamiche dell’oggi risultano incomprensibili.
Per riuscire ad educare al senso critico, alla riflessione, al pensiero olistico e flessibile la scuola necessita di un approccio radicalmente nuovo alle materie umanistiche.
Per quanto importanti, tuttavia, le nozioni non bastano: l’obiettivo più arduo della scuola, ma anche il più elevato, è quello di educare. E per raggiungerlo essa necessita oggi di un approccio radicalmente nuovo. Sia alle materie scientifiche, le quali, per essere utili alla vita, non dovrebbero solo fornire conoscenze teoriche, ma partire dall’esperienza concreta del mondo naturale che ci circonda. Sia – forse, soprattutto – a quelle umanistiche.
Esse soltanto, infatti, sono in grado di far sviluppare il tanto invocato senso critico, il quale, lungi dall’essere una vuota formula retorica, rappresenta per il cittadino del ventunesimo secolo una necessità assoluta. É l’unica arma a nostra disposizione per non cadere nell’insidia delle narrazioni, l’unico scudo contro informazioni false e ragionamenti capziosi. Ed è tramite lo studio della storia, della letteratura, dell’arte e della filosofia (ma perché non anche della psicologia, dell’antropologia o della danza) che si dovrebbe apprendere a riflettere sul senso delle cose, ad approfondire la conoscenza di sé e degli altri, a pensare in maniera olistica e flessibile, a interpretare e gestire la complessità. Si dovrebbe, al condizionale; perché nemmeno questo è automatico.
Conoscere perfettamente la storia della letteratura italiana, saper collocare un pittore all’interno di un movimento artistico o un pensatore nella sua corrente filosofica, fa davvero di noi persone “più colte”? Di certo la conoscenza del passato è la base indispensabile per poter sviluppare una riflessione critica sul presente; ma la conoscenza in sé non è sufficiente, se il suo contenuto resta per lo studente qualcosa di astratto, slegato dalla propria realtà, e perciò privo di senso, oltre che di utilità.
Per questo sono in molti, oggi, a proporre di adattare la didattica ai bisogni reali degli studenti e abbandonare l’approccio tradizionale alle materie umanistiche, che appaiono sempre più aride e fini a sé stesse in un mondo in continua e sempre più rapida evoluzione. Già da diversi anni Mauro Piras, ad esempio, si batte per abolire la storia della filosofia nei licei, ed Elisabetta Cassese suggerisce un metodo misto tra quello concettuale e quello cronologico per l’insegnamento della storia, oltre che metterne in discussione la prospettiva nazionale (come già fece, moltissimi anni prima, Don Lorenzo Milani). Un buon inizio potrebbe essere, ad esempio, farla studiare a partire dall’attualità. Capovolgere le discipline, con l’intento di arricchirle e ancorarle alla vita degli studenti, quella presente tanto quanto quella futura.
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Contatti (per condividere idee, critiche e proposte):
valentina.failla@studenti.unitn.it
elisa.mazzocato@studenti.unitn.it
Per approfondire (sitografia dell’articolo):
- M. Ciani, Analfabetismo funzionale, articolo su EPALE, 2018
https://epale.ec.europa.eu/it/comment/16949#comment-16949
- M. Piras, Abolire la storia della filosofia, articolo su claudiogiunta.it, 26 novembre 2013
http://www.claudiogiunta.it/2013/11/abolire-la-storia-della-filosofia/
- E. Cassese, Come insegnare (e studiare) la Storia?, articolo su Educazione Globale, 22 settembre 2013
https://www.educazioneglobale.com/2013/09/come-insegnare-e-studiare-la-storia/
Articoli precedenti nella stessa rubrica:
#1 Perché abbiamo bisogno di una rivoluzione della scuola
#2 La scuola serve ancora a qualcosa?
#3 Dobbiamo studiare meno, per studiare meglio?