Intervista a Mario Consorte, dirigente d’azienda gentiluomo.
MARIO, DOVE E QUANDO COMINCIA LA SUA STORIA?
Naturalmente a Cappella Maggiore, provincia di Treviso, il 3 giugno 1940, data della mia nascita dopo mio fratello Angelo (1928) e mia sorella Anny (1930). E’ una storia divisa in due tempi che si svolge fino al 1961 nell’ambito della mia famiglia e della sede dei miei studi, e dopo in Sardegna ad Alghero per la mia attività lavorativa
CI RACCONTI QUALCOSA DELLA SUA FAMIGLIA, DELLE SUE ORIGINI.
La mia famiglia, che risiedeva in via Roma, era composta da mio padre Augusto (1900) che esercitava l’attività di falegname e da mia madre Giuseppina Zanette (1903) donna eclettica e di forte carattere, che nel ruolo di casalinga seppe evidenziare, oltre a grandi doti umane, una attitudine alla buona e variegata cucina ed una collaudata abilità di sarta, professione esercitata da quando era ragazza. Il mio avviamento al lavoro avvenne con un insegnamento a tutto campo: dall’esecuzione di serramenti, alla plafonatura di soffitti eseguita per mascherare le travi in legno del solaio (che una mutata considerazione estetica negli anni più recenti ne ha operato il recupero, riportandole in bella evidenza ). La bottega era sovente frequentata da collaboratori professionisti e da ragazzi apprendisti, con i quali condividevo qualche piccola attività.
Di mio fratello Angelo, che non volle seguire l’attività di nostro padre, ricordo l’ammirazione che ho sempre avuto per la sua innata capacità di risolvere ogni problema con ingegno e creatività. Dopo la scuola tecnica professionale a Vittorio Veneto venne assunto dalla storica azienda Carnielli, fabbrica di biciclette, e a 25 anni partì per Caracas, in Venezuela, dove collaborò all’impianto di uno stabilimento di produzione di mattonelle in ceramica. A 30 anni rientrò e si dedicò in una propria officina alla realizzazione, per alcune importanti società, di prototipi di macchinari di automazione di processi produttivi, rivelando la sua attitudine all’inventiva. Mia sorella Anny, dopo un periodo di lavoro nel celebre biscottificio Colussi di Vittorio Veneto, e dopo un accurato corso di preparazione professionale, aprì un’attività di parrucchiera esercitata nella casa paterna
QUALI SONO I RICORDI PIU’ BELLI E IMPORTANTI DELLA CAPPELLA MAGGIORE DELLA SUA GIOVENTU’?
Il ricordo più ricorrente della mia infanzia è legato al “brolo” del nonno, un piccolo appezzamento di terreno di fronte alla nostra casa, piantato prevalentemente a vigneto ma ricco di tante altre piante da frutto. Ma la pianta che attirava maggiormente la mia attenzione era un melo che portava dei frutti enormi da noi chiamate “pomazze” che , per il loro peso esagerato cadevano a terra ai primi temporali estivi di giugno, non ancora mature, per cui finivano sempre cotte in forno.
La vita tra i sei e gli otto anni all’interno della comunità di Cappella Maggiore riaffiora come caratterizzata da una buona presenza in parrocchia, con partecipazione al catechismo ed alle altre attività connesse alle pratiche religiose. La presenza come chierichetto al servizio della messa avveniva con regolarità ma raramente a quella di prima mattina, per cui a fine anno la liquidazione delle spettanze relazionate ai diversi orari delle messe mi vedeva penalizzato, motivo che mi induceva a richiedere di essere pagato totalmente in tagli da una lira cosicché lo spessore dell’emolumento non segnalasse ai compagni l’esiguità dell’ importo percepito.
Durante gli anni di frequenza delle elementari e successivi il ricordo è quasi totalmente occupato dalle principali attività che condividevo con gli amici del borgo: Romano Altoè, Edoardo e Francesco Dalle Coste, Lucio Maso e suo fratello Alvise. I mesi estivi erano dedicati ai bagni nel torrente Carron, quelli di fine anno all’allestimento del grande falò dell’ Epifania del nostro borgo che ci vedeva occupati nel reperimento (meglio sarebbe dire furto) dei mannelli di canne del mais che abbondavano nelle campagne vicine. I mesi invernali, nelle serate più rigide erano dedicati al trasporto di grandi quantità di acqua sulla sommità della “carrettuzza “ la strada di campagna che, per la forte pendenza, rappresentava una volta formato il ghiaccio una incomparabile pista per i nostri slittini. Ancora del periodo estivo ricordo il mese di agosto che trascorrevo in montagna, nella favolosa cornice del Cansiglio, a Spert o alla Crosetta, punti di partenza per lunghe escursioni alla ricerca di funghi ed alla raccolta di lamponi. Più tardi l’attenzione venne catalizzata dalla presenza in albergo di due ragazze, Tullia e Paola, che ogni anno arrivavano da Roma grazie al padre nativo di Polcenigo, per trascorrere un mese durante il quale la mia vacanza, e degli amici, si arricchiva di un ritmo diverso.
L’estate era segnata anche dall’abituale evento dell’arrivo da Milano del pittore Erminio Soldera (nativo di Cappella Maggiore), con la sua compagna Maria, per trascorrere un periodo di vacanza nella sua casa, sul colle di fronte alla nostra. Ricordo le rituali visite della mia famiglia, le comode poltrone in vimini nel giardino dove avveniva l’incontro e la sua lunga barba bianca che alimentava l’ immagine di un uomo eccentrico, di un apprezzato artista, come soleva dire la sorella Luigia, di cui aveva riempito la casa di tante opere.
QUALI SCUOLE HA FREQUENTATO DOPO LE ELEMENTARI?
La scuola media a Vittorio Veneto e la scuola di Enologia Gianbattista Cerletti a Conegliano.
HA AVUTO PROFESSORI CHE HANNO SEGNATO LA SUA FORMAZIONE?
Del periodo di frequenza della scuola media ricordo la figura del professor Favaro, un illuminato docente che aveva ottenuto l’incredibile (per quei tempi) autorizzazione ad un corso sperimentale di una “scuola attiva”, che consisteva in un percorso dell’ultimo anno completamente svincolato dalle procedure rituali, quali i risultati trimestrali, e dall’obbligo di una presenza in aula di tipo continuativo. I tempi ed i temi dell’ insegnamento e le differenti dislocazioni dello stesso venivano scelti dall’insegnante. La valutazione finale era oggetto di un accurato esame effettuato da una speciale commissione che avrebbe dovuto verificare la risposta complessiva della classe in relazione alle altre, condotte con il sistema tradizionale. Il risultato estremamente positivo venne a coronare il coraggioso ed impegnativo metodo voluto da un professore che sarebbe rimasto a lungo nel ricordo e nella gratitudine di chi ha potuto vivere l’eccezionale esperimento, che per me è stato altamente formativo. Di quel periodo voglio ricordare alcuni passaggi: il contatto-intervista a Diego Valeri sul treno da Conegliano ad Udine, la frequentazione di Maria Fogazzaro, ospite alla casa San Raffaele di Vittorio Veneto, per la conoscenza della vita di scrittore del padre, la lettura di alcuni libri di narrativa dell’Ottocento francese e russo, le visite ai musei di Venezia, Treviso e Padova, le frequenti consultazioni della enciclopedia Treccani messa a disposizione dal padre del nostro amico Franco Rossi, nella villa di Anzano, dove la governante Maria “ la longa “ci faceva trovare l’ immancabile cioccolata calda.
LA SUA PASSIONE PER LA VITE E IL VINO: UN AMORE A PRIMA VISTA O UNA PROFESSIONE CULMINATA IN PASSIONE DI VITA?
La scelta dell’indirizzo di studi successivi alla scuola dell’obbligo fu determinata al termine di una discussione in famiglia dove la decisione sembrava propendere per l’Istituto di ragioneria vescovile Dante Alighieri di Vittorio Veneto quando, fortunatamente, venni a conoscenza della scuola di Enologia Cerletti di Conegliano. La visita all’Istituto e la presa in visione dell’articolato ciclo sessennale di studi in un ambito meno arido di quello dei numeri, lo sbocco verso attività legate all’ambiente da poter vivere all’aria aperta, e la bellezza dell’importante sede dei miei futuri studi, mi convinsero verso la nuova scelta. Il coinvolgimento verso la vite ed il vino avvenne in maniera rapida e con un crescente interesse.
QUANDO SI E’ TRASFERITO IN SARDEGNA LA PRIMA VOLTA, E PERCHE’ PROPRIO AD ALGHERO?
La scuola è stata il tramite della mia avventura in Sardegna. Alla direzione era pervenuta da parte dell’avvocato Edgardo Mosca, titolare di una importante azienda vitivinicola sarda di Alghero, la richiesta di segnalare un giovane neodiplomato con il quale avere un colloquio nella sua villa di Biella, volto a conoscere la disponibilità ad una possibile assunzione in un ruolo tecnico, dopo un periodo di prova di sei mesi da trascorrere in azienda. Era l’estate del 1961, e la proposta venne da me accettata per la possibilità di una esperienza intrigante, per l’ambiente non conosciuto della Sardegna. L’inizio della mia esperienza sarda avvenne con un disappunto per la constatazione che al mio arrivo ad Alghero mi ero reso conto che la ferrovia non aveva una prosecuzione, alimentando la spiacevole sensazione di essere finito in capo al mondo. Fortunatamente l’ambiente nel quale mi stavo per inserire rivelò ben presto numerose positive attrazioni. L’introduzione al lavoro in realtà non fu dei migliori in relazione alle mie aspettative. Fui destinato a sostituire il ragioniere Melis, entrato in pensione, nelle mansioni contabili relative alla compilazione delle giornaliere di lavoro degli oltre duecentocinquanta dipendenti agricoli, con minuziose descrizioni delle diverse operazioni svolte. Il voluminoso report aveva una cadenza settimanale e serviva, oltre alla retribuzione degli operai, anche ad evidenziare all’avvocato Mosca l’andamento delle attività e la approfondita conoscenza degli uomini e delle loro professionalità. Dopo i primi due mesi, chiesi di essere dedicato al ruolo che mi competeva per la mia formazione, lasciando il posto ad un ragioniere di nuova assunzione.
AVREBBE MAI IMMAGINATO CHE LA SARDEGNA SAREBBE DIVENTATA LA SUA NUOVA “CASA”?
Inizialmente pensavo che “l’avventura sarda” sarebbe durata il tempo necessario a maturare una importante esperienza per il mio curriculum, ma il coinvolgimento sui grandi progetti che l’azienda voleva effettuare, dopo la morte dell’avvocato Mosca, furono determinanti nella scelta di rimanere, con le inevitabili conseguenze sulla mia futura vita.
QUANTO SPESSO RIUSCIVA A TORNARE IN VENETO ALL’INIZIO DEL SUO TRASFERIMENTO? E OGGI INVECE?
Nei primi venti anni il mio rientro a casa è sempre avvenuto per il periodo natalizio. Altre brevi permanenze erano legate ai frequenti viaggi, per motivi di lavoro, che mi portavano in Veneto o in altre regioni vicine, occasioni favorevoli che non mancavo di cogliere per un semplice saluto ai miei familiari. Oggi la mia famiglia è saldamente radicata ad Alghero, ed il mio nucleo famigliare originale in Veneto si è purtroppo ridotto ad una sorella, alla quale faccio visita una, due volte all’anno, ed alle nipoti Mara e Paola figlie di mio fratello Angelo.
SELLA E MOSCA, DUE COGNOMI DAVVERO IMPORTANTI…
L’ingegner Erminio Sella ed il cav. Vittorio Sella appartenevano ad una grande ed importante famiglia biellese, attiva nella gestione delle proprie industrie tessili e proprietaria della omonima banca. Nipoti del grande statista Quintino Sella, avevano raccolto l’invito dello zio, che della Sardegna si era occupato come ingegnere minerario e presidente della commissione parlamentare dello sfruttamento delle risorse dell’isola, ad intraprendere attività agricole in quella regione. Coinvolsero nel loro progetto anche l’avv. Mosca, amico e parente, che con determinazione e pragmatismo condusse l’azienda per sessant’anni con grande professionalità, acquisita nel mondo viticolo attraverso gli studi compiuti in Francia, e completati con attività pratica. Un uomo da me conosciuto ed ammirato, purtroppo nel breve periodo della sua finale esistenza.
COME SI PRESENTAVA LA TENUTA AL SUO ARRIVO? AVREBBE MAI IMMAGINATO CHE SAREBBE DIVENTATO POI AMMINISTRATORE DELEGATO PER MOLTI ANNI DI QUESTA AZIENDA LEADER DEL SETTORE VITIVINICOLO?
Nel 1961, al momento del mio arrivo ad Alghero, l’azienda Sella e Mosca si presentava come una grande realtà vitivinicola estesa su circa 350 ettari, sicuramente all’avanguardia nel passato, ma in quel momento sofferente per un mancato rinnovo dei vigneti coltivati con il vecchio sistema ad alberello, poco produttivi, e con impianti ed attrezzature enologiche che non avevano conosciuto le evoluzioni che il settore aveva introdotto già negli ultimi vent’anni, con una struttura commerciale che si limitava al solo territorio della Sardegna, nel quale il vino veniva venduto quasi esclusivamente sfuso. Era il quadro di una conduzione che, dopo essere stata esercitata per sessant’anni in maniera brillante, stava soffrendo per una trascuratezza negli investimenti e per la mancanza di una visione di prospettiva, con lo spirito rivolto al futuro, che aveva sempre caratterizzato l’attività dei tre fondatori.
L’aspettativa, all’atto della mia assunzione, non mi faceva certo immaginare la possibilità di poter raggiungere, sia pure dopo tanti anni, la posizione di direttore generale e di amministratore delegato, ben lontana anche dalla più fervida immaginazione di un ventenne.
COME HA LASCIATO L’AZIENDA AL TERMINE DELLA SUA CARRIERA LAVORATIVA?
Dopo cinquant’anni di un lavoro continuativo, esercitato sia pure attraverso il cambio di alcuni assetti proprietari, la Sella e Mosca è stata totalmente rinnovata ed inserita nel novero delle più grandi ed attive aziende vitivinicole italiane, e presentava le seguenti caratteristiche:
– un corpo di vigneti di insolita grandezza (550 ettari) realizzati con forme di allevamento moderne adatte alla meccanizzazione delle più importanti ed onerose operazioni colturali (potatura e vendemmia);
– cantine di vinificazione, elaborazione ed imbottigliamento di oltre 100.000 ettolitri, considerate di assoluta avanguardia;
– un centro aziendale totalmente rinnovato, con un’attenta preservazione delle parti storiche ed integrato con un’enoteca, un auditorium, due musei di storia aziendale e del ritrovamento della necropoli neolitica di Anghelu Ruju, la piazzetta dedicata ai fondatori, una chiesetta dedicata alla Madonna dell’uva, un’area ospitality con otto camere, un ristorante, aree relax, un grande parco con tante essenze botaniche, e che recentemente è stato inserito nel circuito di eccellenza dei “Grandi Giardini Italiani”.
Un’azienda a tutto tondo, forte non solo nelle strutture produttive ma attenta a creare intorno ad esse quella cornice di ambiente, di storia, di cultura, di eventi e di relazioni che i numerosi visitatori, clienti o turisti, continuano ad apprezzare.
La crescita è avvenuta contemporaneamente anche a carico delle attività commerciali che con i nuovi vini prodotti dalle rinnovate strutture vitivinicole hanno reso possibile ampliare la presenza della Sella e Mosca su tutto il territorio nazionale ed in molti Paesi esteri. I bilanci aziendali, risanati e portati ad una buona redditività, hanno consentito l’acquisizione di nuove realtà produttive in Piemonte, in Toscana, in Francia ed una importante joint-venture in Cina, nella provincia dello Shandong, con 200 ettari di vigneto ed una cantina perfettamente equipaggiata. Con queste aggiunte la Sella e Mosca del nuovo millennio , uscita dagli angusti confini della Sardegna ha potuto offrire una gamma di prodotti più articolata con la quale creare un maggior legame con la propria clientela. Oggi, dopo il passaggio di proprietà alla Campari, le performances si sono affievolite perché la grande azienda di liquori, totalmente coinvolta in tutt’altro business, non ha saputo capire le peculiari caratteristiche di un’attività non conciliabile con una mentalità solamente industriale.
UNA CARRIERA PIENA DI IMPEGNI MA ANCHE DI SODDISFAZIONI…
Nel periodo 1996-2007, con la Sella e Mosca che navigava in acque tranquille grazie ad un ben affiatato team di collaboratori, ho potuto dedicarmi attivamente all’Associazione degli Enologi, di cui facevo parte da tanti anni, ricoprendo la carica di presidente nazionale e dando un fattivo contributo alla sua crescita in armonia con il valente direttore generale, l’amico Giuseppe Martelli. Degne di segnalazione sono le due occasioni di presenza al Quirinale nel 1999, Presidente Oscar Luigi Scalfaro e nel 2004, Presidente Carlo Azeglio Ciampi: la prima per presentare l’Associazione, la sua finalità e le sue attività , la seconda per rappresentare la complessità del settore più importante e più esportato dell’agroalimentare italiano, avvenuta con il coinvolgimento del Ministro dell’ Agricoltura Alemanno e di tutte le associazioni ed istituzioni politiche, economiche ed accademiche del mondo del vino. Al termine della prima presentazione sono stato insignito della onorificenza di Commendatore della Repubblica in un piacevole colloquio con il Presidente al termine dell’evento, mentre alla fine della seconda la consegna delle insegne di Grande Ufficiale della Repubblica Italiana è avvenuta con la rituale formalità “coram populo”.
Nel 2008 dall’ università di Sassari, in riconoscimento dei meriti acquisiti per l’opera di rifondazione della Sella e Mosca, mi è stata conferita la laurea Honoris Causa in “Produzioni vegetali e difesa in ambiente mediterraneo” con la lectio magistralis: “La vitivinicoltura della Sardegna tra le produzioni del nuovo mondo, le tentazioni del mercato globalizzato, i valori e le resistenze della tradizione”.
MA LA SARDEGNA NON E’ STATA SOLO “LAVORO” PER LEI….
E’ vero. La Sardegna ha finito col diventare nel tempo la mia “casa”, avendo deciso di accettare un lavoro che si sarebbe protratto a lungo nel tempo, e a distanza di dieci anni dal mio arrivo ad Alghero la casa si è sostanziata in una famiglia. Caterina, mia moglie, era la più bella ragazza di Alghero, sembrava irraggiungibile: laureata in lettere, ha saputo conciliare l’attività di insegnante con la crescita e la formazione culturale e di vita delle due nostre figlie, Adriana (1973) e Valeria (1974), entrambe con esperienze di intercultura negli USA , e successivamente di master in Francia e Stati Uniti, laureate la prima in giurisprudenza, in lingue e letterature straniere la seconda, completando la formazione con un anno in Publitalia. Attualmente Adriana lavora in un ente regionale della Sardegna nel comparto agricolo e Valeria nel marketing della multinazionale Procter& Gamble a Roma, con precedenti lunghi periodi a Stoccolma e Ginevra. Il parco dei nipoti è composto da Bianca di anni 8, Davide di anni 6, di Adriana, e da Azzurra di anni 9 ed Anna di anni 5, di Valeria. Di tutti loro sono nonno a tempo moderato, con una presenza più alta durante il periodo estivo quando ai nipoti stanziali di Alghero si uniscono i cugini di Roma, ma molto più di me è coinvolta mia moglie.
“COLTIVA” DEGLI HOBBY NEL TEMPO LIBERO?
Il tempo libero di cui ora dispongo, dopo la cessazione del rapporto di lavoro, lo trascorro nell’esercizio di piccole attività agricole, nell’entroterra di Alghero in prossimità del mare, in una nostra proprietà di campagna ricca di centenarie piante di olivi che si snodano in collina ai margini di una bella macchia mediterranea.
Uno spazio importante lo dedico alla lettura di autori riguardanti temi sociali ed altri, contemporanei e non, di storia d’ arte e di archeologia, materia quest’ultima per la quale nutro un particolare interesse. Dopo un passato ricco di pubblicazioni, relazioni, prevalentemente a soggetto vitivinicolo o di politica nazionale e comunitaria, presentate in numerosi eventi e prolusioni ai vari congressi nazionali dell’ Associazione Enologi Italiani, ho cessato questo tipo di produzione, salvo richiamare dalla memoria in qualche occasione temi già abbondantemente trattati ed ancora attuali.
LA SCRITTURA: CI PARLI DEL SUO NUOVO LIBRO “IN VINO VERITAS”, SCRITTO CON NINO MONTI E PUBBLICATO A SETTEMBRE 2019 DALLA DELFINO EDITORE.
Con Nino Monti, amico e collega in Sella e Mosca, abbiamo voluto al termine del nostro percorso di lavoro lasciare una testimonianza del nostro vissuto aziendale negli ultimi cinquant’anni, dei centoventi che nel 2019 ha compiuto l’azienda. Ovviamente la narrazione si raccorda con i precedenti sessant’anni, che hanno visto come protagonisti i tre pionieri piemontesi, perché il lettore possa avere un quadro completo e più comprensibile nella successione degli eventi e possa trarne una conclusione sugli attori economici che si sono alternati in un secolo alla guida di una delle più importanti aziende vitivinicole italiane. Durante la stesura del libro nella sua parte lontana ed in quella più recente, è emersa la visione di una grande moltitudine di persone, uomini e donne che hanno attivamente partecipato alla vita della Sella e Mosca, contribuendo in ogni tempo alla sua crescita e ad una continuità di successi. A tutti loro abbiamo voluto dedicare il nostro racconto.
AD APRILE 2019 IL GRUPPO GIOVANI “NUOVA VOCE” DI CAPPELLA MAGGIORE HA DECISO DI ASSEGNARLE PERSONALMENTE IL PREMIO ANNUALE “CAPELLAM DE YGO”, ATTRIBUITO A PERSONALITA’ ILLUSTRI DEL TERRITORIO COMUNALE: COSA HA SIGNIFICATO PER LEI?
E’ stata per me una grande emozione la notizia pervenutami dell’assegnazione del premio da parte del gruppo giovani di Cappella Maggiore per due motivi: il primo, che si era costituita nel mio paese d’origine una associazione che non era partitica, confessionale, professionale, nostalgica, ma di persone giovani organizzatrici di un evento originale ed unico nel suo genere, di cui non ricordo analogie. Il secondo: venivo richiamato alla memoria, dopo mezzo secolo di forzata latitanza, non dai superstiti compagni di scuola per una comprensibile “rimpatriata”, ma da persone che fino ad allora non mi conoscevano, se non altro per comprensibili differenze anagrafiche.
Il grande significato che la proposta ha avuto in me, manifestatami dall’allora presidente Daniele Mercadante a nome del gruppo, è stato il reinserimento nella mia comunità di appartenenza, la riappropriazione di uno stato che nel tempo si era sbiadito.
La conoscenza di Nuova Voce di Cappella Maggiore e della mission dei suoi componenti è stata per me una indimenticabile opportunità di apprezzamento di una realtà animata dalla volontà di partecipazione attiva ed onesta alla vita sociale della comunità, nella quale si sente inserita.
QUALI CONSIGLI SI SENTE DI DARE AI GIOVANI D’OGGI?
Sono cresciuto in un tempo in cui alla formazione di una propria famiglia si perveniva rigorosamente dopo l’acquisita sicurezza di essere entrati nel mondo del lavoro e questo avveniva in tempi relativamente brevi. Oggi la situazione occupazionale, decisamente più problematica rispetto al passato, stravolge questo tranquillo iter, e l’approccio al problema di soddisfare il naturale desiderio di una vita in comune passa spesso attraverso soluzioni provvisorie, come la convivenza, in attesa dell’approdo ad una situazione economicamente sicura e con la formazione di un vero nucleo familiare. Mi è oltremodo difficile, quindi, esprimere consigli e meno ancora insegnamenti di vita nell’attuale realtà, per la differenza generazionale che divide il mio vissuto da quello dei giovani d’oggi.
Un atteggiamento comportamentale da me adottato, e dal quale credo di essere stato ben ripagato, è l’aver praticato nel lavoro e nella vita l’ambizione del volere e l’umiltà del fare.