Romanzi e ricette. ‘Peperoncino fresco a colazione’
Ad Hastings, nel Minnesota, non c’è nemmeno uno Starbucks. Se abitassi lì e avessi voglia di un frappuccino al caramello senza panna e con latte di soia dovresti andare nella vicina cittadina di Cottage Grove, a undici chilometri. Hastings è solo un minuscolo puntino sulla gigantesca mappa degli Stati Uniti, che, invece, di Starbucks ne vantano oltre quindicimila. Però è proprio questo puntino nel Midwest, città natale di J. Ryan Stradal, ad avergli dato l’ispirazione per Peperoncino fresco a colazione (Mondadori, 2016). Stradal, in diverse presentazioni del suo libro d’esordio, facilmente reperibili su YouTube, scherza su come negli anni ‘80 ad Hastings la comunità letteraria fosse pressoché inesistente e afferma che il suo avvicinamento alla lettura sia avvenuto grazie ai genitori e alla piccola biblioteca locale. L’autore ricorda ancora l’emozione di ricevere una risposta ad una lettera che aveva scritto al suo autore preferito. Fu una cosa che lo lasciò a bocca aperta soprattutto perché, da piccolo, non si aspettava che gli autori fossero persone vere con cui poter entrare in contatto: “Per me i libri erano qualcosa da un altro pianeta. Un pianeta di cui volevo far parte”, dice sempre Stradal ad un evento tenuto dalla sua casa editrice nel 2015 in occasione del tour per promuovere il romanzo, diventato ormai un bestseller.
Cosí in Peperoncino fresco a colazione, tra scene di pesca sui grandi laghi e gare di pasticceria in occasione di fiere paesane, Stradal ci porta in un viaggio attraverso il Midwest americano. Un viaggio che – lo vediamo già dal titolo originale del romanzo, Kitchens of The Great Midwest – è segnato dai gusti e dai profumi dei piatti tipici della zona, luogo natale non solo dell’autore ma anche della sua protagonista, Eva Thorvald. Stradal sceglie una tecnica del tutto particolare per raccontare la storia di Eva: in ogni capitolo del romanzo, rigorosamente intitolato con il nome di un piatto, scopriamo di più sulla vita di Eva tramite i racconti che condensano il punto di vista di personaggi più o meno legati alla protagonista.
Così, nel primo capitolo, uno squarcio sulla vita di Eva ci viene dato da suo padre, Lars, che affronta numerose peripezie per trasmettere l’amore per la cucina alla figlioletta, che non è ancora nata. La più bizzarra è quella in cui Lars va da un pediatra per informarsi su quali cibi la bambina potrà mangiare e rimane allibito quando, mostrato il menú che vuole offrire ad Eva e in cui sono elencati diversi piatti sfiziosi, tra cui spalla di maiale e torta di carote, il medico gli comunica che ci vorranno anni prima che la bambina possa iniziare a mangiare manicaretti simili. Il climax si raggiunge nell’ultimo capitolo, dove i vari personaggi, che fino a quel momento ci hanno parlato di Eva, si siedono a tavola per gustare una cena preparata proprio dalla protagonista che, nel frattempo, è cresciuta ed è diventata una chef di fama internazionale.
Eva, di certo non cresciuta ad omogenizzati, ma, semmai, a torte di carote e altre leccornie, ha sviluppato fin da bambina un palato sopraffino, tanto che già adolescente viene notata da uno chef locale e invitata a collaborare nella sua cucina. La cucina è un tema fondamentale nel romanzo e lo capiamo soprattutto nell’episodio finale che racconta della cena a cui partecipano gran parte dei protagonisti della storia. In Peperoncino fresco a colazione Stradal ci parla del fenomeno dei ristoranti pop-up o underground, ristoranti temporanei sempre più diffusi a partire dai primi anni 2000. Questi, in cambio di conti altissimi, offrono cene a menú fisso in location improbabili. Così chef emergenti possono farsi pubblicità tagliando sulle spese, di molto ridotte trattandosi di eventi sporadici e non dovendo preoccuparsi di affittare locali a lungo termine. L’idea sembra piacere anche agli ospiti che, grazie ai media, possono informarsi sugli eventi e prenotare un esclusivissimo tavolo, facendo invidia ai propri follower su Instagram. Oggi i ristoranti pop-up sono molto diffusi e spesso le idee più folli diventano virali.
La più recente è quella di una coppia svedese che, per rispettare le norme di distanziamento previste a causa del Covid, ha deciso di aprire un ristorante che servisse una persona alla volta. L’ospite di Bord For En (‘Tavolo per uno’), locale che rimarrà aperto solo fino ad agosto, dopo aver prenotato online, può recarsi alla location del ristorante: un prato a trecento chilometri da Stoccolma. Così, nella quiete della natura, può gustarsi il pranzo indisturbato e in completa sicurezza dal virus. A Bord for En non ci sono camerieri e le portate vengono servite tramite un cestino che viene collegato al tavolo con un sistema di carrucole. Una volta terminato il pasto, il cliente sceglie la cifra da pagare e, riposta la somma nel cestino, questo viene recapitato nella cucina ai proprietari.
I ristoranti pop-up, con i loro prezzi esorbitanti (la cena di Eva Thorvald nel romanzo, composta da cinque portate, viene fatta pagare cinquemila dollari), si rivolgono a una clientela ristretta, quella dei foodies, gli amanti della cucina che non esitano a mettere mano al portafogli per una cena esclusiva. Insomma quelli disposti a farsi chilometri prima di lavoro solo per gustarsi un frappuccino di Starbucks. Noi dell’Universitario non possiamo offrirvi una cena a cinque portate su una canoa in mezzo a un torrente o in cima a una scogliera – colpa del Covid, non nostra -, ma vi proponiamo la videoricetta della torta di carote di Lars.