Coincidenze storiche nell’epoca dei social network: ISIS, valdesi e Donald Trump

di Alberto Frigo

Credo sia nota a tutti l’affermazione “eh, ma erano altri tempi” che inevitabilmente si sente quando si affronta la problematica dei soprusi delle autorità religiose o civili nel passato. Non è un mistero che la storia sia, in buona parte, una storia di sangue versato, di oppressione, di repressione e di guerra. Insomma, un vero e proprio homo homini lupus. Se quindi da un lato sminuiamo i soprusi passati, dall’altro quelli contemporanei – sempre quando non ci voltiamo dall’altra parte – ci appaiono nel migliore dei casi degli atti contingenti, occasionali, del tutto passabili o trascurabili. Alla peggio, invece, diventano motivo di accanimento contro un nemico del popolo, o della democrazia. Non stupisce, quindi, che durante la rivolta afroamericana di Minneapolis ci sia chi si indigna per il fatto che Walmart sia stato incendiato.

In un’epoca come quella contemporanea in cui siamo letteralmente bombardati da informazioni, da tutte le parti e in ogni momento, c’è una facoltà molto importante che si va perdendo: quella del pensiero diacronico, ossia la facoltà di mettere in relazione eventi passati e presenti in maniera storicamente ordinata ma soprattutto sensata. Sui nostri dispositivi giungono incessantemente improbabili miscugli di notizie di cronaca, annunci pubblicitari, notifiche e messaggi. Ci ritroviamo, così, letteralmente oberati di informazioni, al punto tale da convincerci di sapere qualcosa del mondo in cui siamo. Ecco, allora, che i social network pullulano di opinionisti improvvisati, politici e storici dell’ultimo minuto che si incalzano vicendevolmente in dispute che, almeno esteriormente, sono paragonabili per lunghezza solo alle disputationes teologiche medievali. Che però, inevitabilmente, non portano a nulla.

Apparentemente quindi, la repressione dei valdesi nel XVI secolo e i miliziani ISIS che tagliano la gola ai giornalisti occidentali non hanno assolutamente nulla in comune. Due epoche diverse, due territori diversi, due religioni diverse, due sistemi politici ed economici diversi e via discorrendo. Tutto indubbiamente vero, ma pare di sentire già due personaggi discutere più o meno in questo modo:

 “Questi terroristi islamici sono davvero terribili, come è possibile che una religione del genere possa venire tollerata!”

 “Sono sicuramente cose deplorevoli, ma mi sembra eccesivo accusare la religione in sé, e di conseguenza tutti i praticanti dell’Islam, per tali azioni.”

“Beh ma mi pare evidente che il problema sia l’Islam, guarda caso questo cose da noi non succedono.”

“Forse ti sfugge che la Chiesa cattolica in passato ha compiuto veri e propri massacri? Sai che cos’era il tribunale dell’Inquisizione?”

“Eh…ma quelli erano altri tempi….”

Eccoci al punto cruciale: “quelli erano altri tempi”. Che importa. Guardiamo il presente. Loro sono i cattivi, noi i buoni.

Bene, facciamo qualche passo indietro negli “altri tempi”. Quando la Congregazione del Santo Ufficio fallì miseramente nel tentativo di convertire al cattolicesimo i valdesi nella Calabria del 1560, il vicario generale di Napoli Giulio Pavesi ordinò “l’esterminio se non de tucti, almeno d’alchuni”. Il risultato fu una breve guerra in cui molti valdesi furono uccisi in battaglia. Dei superstiti, i cosiddetti “relapsi” (recidivi) vennero direttamente giustiziati, gli abiuranti furono costretti a condizioni di vita al limite della sopravvivenza e il villaggio di San Sisto fu bruciato. In dieci giorni morirono più di 2000 persone, altrettante vennero condannate per eresia. In particolare, una testimonianza risulta estremamente familiare anche ai giorni d’oggi: lo sgozzamento sistematico di 88 uomini bendati, con un coltello, uno in fila all’altro1. Ricorda qualcosa?

È evidente che cambiano i contesti ma non la sostanza. Un potere che, seppur organizzato attraverso strumenti istituzionali più o meno complessi, impone – in maniera più o meno diretta – uno specifico modus vivendi, qualora non riesca o non voglia farlo pacificamente, lo fa con la violenza.

Gli esempi sono molti, anzi moltissimi. Del passato (si pensi al colonialismo nelle  Americhe e in Asia), ma anche del presente: non solo ISIS che vuole imporre il califfato, ma anche la polizia statunitense che spara sugli afroamericani, o Duterte che nelle Filippine  fa uccidere i tossicodipendenti per strada, la polizia corrotta dai cartelli della droga nell’America centrale e chi più ne ha più ne metta. È interessante osservare come l’analitica del potere foucaultiana2, che smentisce nell’epoca moderna un’impostazione rigidamente verticistica e repressiva del potere, sembri vacillare di fronte ad affermazioni di Donald Trump, più simili a quelle di un feudatario del XIV secolo intenzionato a sedare una rivolta contadina che a quelle di un leader di uno stato democratico. “If the soothing starts, the shooting starts”.

Gli eventi recenti, infatti, ci insegnano che non serve andare molto lontano per vedere i risvolti sul presente della storia passata e il modo in cui essa si declina nell’oggi. Che vogliamo vederlo o meno, noi ci siamo dentro fino al collo, anche e soprattutto noi occidentali che a lungo ci siamo ritenuti – e ancora ci riteniamo – paladini della giustizia, della libertà e dell’uguaglianza. Non ci rendiamo conto, immersi nel nostro etnocentrismo collettivo (ed ego-centrismo individuale), delle nostre responsabilità. Quello che di terribile accade oggi, in realtà è già successo mille volte e succederà, presumibilmente, almeno mille altre volte ancora. Diceva Hegel che la più grande lezione che ci perviene dalla storia è il fatto che impariamo poco o nulla da essa. Evidentemente aveva ragione. Soprattutto oggi ce ne laviamo le mani sia come futuri (o sedicenti) intellettuali, sia, soprattutto, come esseri umani.

Ma suvvia, sono altri tempi, no? Il Sessantotto è passato da un po’ e indignarsi è passato di moda. Oggi conta coltivare il proprio orticello, scalare le gerarchie sociali e attirarsi le grazie di chi sta più in alto, tuttalpiù scarabocchiare filosofie da rivista del benessere, tra un aperitivo e l’altro. Semplicemente, non ci tange la possibilità che nel futuro qualcuno risponderà, incalzato sul nostro attuale presente, dicendo: “eh, ma quelli erano altri tempi”. Chissà che non saremo noi, o non saranno i nostri figli, a fare la fine di quei valdesi un domani. Ma che importa alla fine?Un tizio su Facebook si è buttato in una piscina piena di sambuca!

Riferimenti bibliografici

  1. Tutti i riferimenti e citazioni storiche circa la vicenda valdese sono tratti da “A. Del Col, L’Inquisizione in Italia, dal XII al XXI secolo; Mondadori, 2006
  2. Michel Foucault, “La volontà di sapere” (trad.it di P. Pasquino e G. Procacci); Feltrinelli, 1978

Redazione

La redazione de l'Universitario è composta perlopiù da studenti dell'Università di Trento

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