Libri dal mondo: “Febbre bianca” di Jacek Hugo-Bader

In questo reportage le parole “morte”, “morire”, “uccidere” compaiono quarantaquattro volte. La parola “sparare”: diciotto, “fucile”: undici, “vodka”: quindici mentre “amore” peraltro infelice, una sola. Se non ti sta bene, non leggere.

Tutti vorrebbero festeggiare il proprio compleanno in modo memorabile ma nessuno batterà l’autore di questo libro, che per il suo cinquantesimo compleanno ha deciso di regalarsi un viaggio in solitaria a bordo di una jeep modificata attraverso la Siberia in pieno inverno. “Dovevo assolutamente assaggiare l’inverno in Siberia” dice, cosa cui sua moglie risponde con grande pragmatismo: “D’invernoooo? Se non torni per Natale, puoi anche non tornare più”. Febbre Bianca è una raccolta di 13 reportage che ci portano faccia a faccia con le realtà più scomode e difficili della Russia del 2007. Ognuno di questi è completato da citazioni tratte dal romanzo del 1957 “Reportage dal ventunesimo secolo“, scritto da due reporter della sezione scientifica di un giornale della Russia Sovietica, Michail Vasil’ev e Sergej Guscev. Era stato chiesto loro di descrivere la vita nella Russia Socialista del ventunesimo secolo, a novant’anni dalla Rivoluzione d’Ottobre. Le previsioni ottimistiche dei reporter si scontrano brutalmente con la realtà osservata da Hugo-Bader e hanno il sapore dolciastro di un sogno andato a male.

Ci si deve abituare in fretta a leggere di eroina, prostituzione, AIDS, spaccio, pestaggi, suicidi, ma è un libro molto ricco. Ci offre l’opportunità di parlare con la vincitrice di un concorso di bellezza riservato a persone con l’HIV, con un’alcologa e psichiatra indigena della Siberia orientale e addirittura di fare una chiacchierata in salotto con Kalashnikov (proprio lui, l’inventore del fucile). A fianco di Hugo-Bader scopriamo la cultura rap underground di Mosca, riusciamo ad avere un vis-à-vis con gli hippie degli anni ’70 che ci raccontano le loro peripezie dentro e fuori dai manicomi e facciamo un tour della comunità di vissarionisti in Siberia.

Febbre Bianca non è solo il titolo del libro ma anche di uno dei reportage, in cui l’autore racconta la tragica morte di ventuno pastori di renne, ovvero l’intera squadra della brigata Numero Uno. L’aspettativa di vita in quelle zone è di quarant’anni: “un cinquantenne è un patriarca (…) le donne che riescono a raggiungere la cinquantina sono affette da demenza senile.” La cosiddedda “Febbre Bianca” è il nome dato dagli evenchi al delirium tremens, la voce che spinge gli indigeni della Siberia nella maggior parte dei casi al suicidio. Le ubriacature, cui la febbre bianca segue, se le procurano con alcol etilico puro distillato in casa, mescolato talvolta a sedativi.

Una voce dice al pastore di renne di esprimere un desiderio. Questi chiede una cassa di vodka e la riceve. Dopo ne chiede una seconda. E poi un’altra ancora, perché quello è il suo terzo desiderio. “Scommetto che sei il pesciolino d’oro” balbetta il pastore. “No, vecchio mio. Io sono la Febbre Bianca.” E’ una barzelletta cattiva e meschina, al pari di quelle su forni, ebrei e camere a gas. Ma sono gli evenchi stessi a raccontarla e mentre lo fanno, si sganasciano dalle risate.”

Hugo-Bader ci racconta della scomparsa delle comunità indigene siberiane, di come le loro lingue e la loro cultura siano ancora oggi forzatamente soppiantate da quella russa- nelle scuole è proibito parlare altre lingue tranne quella. Ci fa scoprire i riti sciamanici che a fatica persistono, portandoci a contatto con dei veri sciamani e con le loro tradizioni. Racconta persino di come un amuleto, secondo le parole di una sciamana del posto, lo abbia miracolosamente protetto da un gravissimo incidente che ha avuto nella taiga. Di come la gente, se bloccata in macchina nella taiga, non conta mai su un passaggio da uno sconosciuto e sceglie sempre di rifugiarsi nella foresta, piuttosto che rischiare di incappare nei banditi.

Jacek Hugo-Bader è un reporter pluripremiato polacco, ma ha svolto una varietà di mestieri: dall’insegnante per ragazzi in difficoltà, al commesso in un negozio di alimentari, scaricatore di merci nei treni, pesatore in un punto vendita maiali, consulente matrimoniale, fin’anche a gestore di una società di distribuzione. Questa varietà di esperienze di vita emerge dalle domande che pone e da come riesce ad adattarsi a tutti i tipi umani che incontra sul suo cammino. Il suo sguardo è sempre pieno di rispetto per le esperienze di vita altrui, anche quando non le condivide; riesce a non essere mai crudo, anche se questi argomenti metterebbero in difficoltà chiunque. Non ha paura di porre domande scomode, senza però essere irrispettoso. E’ il compagno di viaggio perfetto per esplorare la quotidianità delle comunità più isolate, sia in Siberia che nella grande Mosca.

E’ un libro difficile eppure a suo modo piacevole, anche se le premesse dovrebbero già rendere chiaro che non sarà una passeggiata: dopotutto, è il resoconto di un viaggio in macchina in Siberia d’inverno. Personalmente ho adorato leggerlo; ogni reportage era un pugno allo stomaco – quando lascia la parola ai protagonisti, ti si mozza il fiato- ma ne è valsa la pena e lo consiglio assolutamente. Questa è un’estratto della conversazione che l’autore ha con una prostituta cui offre un passaggio verso Vladivostok.

“E perché sei così triste, Sasa?” “Me lo chiedono tutti. La mia faccia è fatta così” “Sei felice?” “Non so. Ma non mi sento triste.”

Rebecca Franzin

Studio a Trento, ma sono di Vittorio Veneto (tecnicamente Solighetto). Forse un giorno mi laureerò in Studi Internazionali; nel frattempo, se siete credenti, sentitevi liberi di includermi nelle vostre preghiere.

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