Una scuola irriformabile? Intervista a Claudio Giunta
Per la rubrica “Cara, vecchia scuola”, del collettivo Un’Altra Scuola
Mercoledì scorso, su Sanbaradio, è andata in onda la prima puntata di “Cara, vecchia scuola”: una rubrica con cui vorrei cercare di comprendere, e di spiegarvi, quali sono gli ostacoli che impediscono una riforma davvero strutturale e profonda del sistema scolastico italiano. Il mio primo ospite è stato Claudio Giunta, che probabilmente conoscete come docente di letteratura italiana a Trento e che oggi scoprirete anche in veste di attento critico dei problemi della nostra scuola. Ne ha scritto spesso sui giornali, soprattutto Internazionale e Il Sole 24 Ore, e in alcuni libri, come il saggio E se non fosse la buona battaglia? (2017).
La tesi da cui io sarei voluta partire è che in Italia non esista un’autentica “cultura della scuola”, una sensibilità collettiva nei confronti della scuola in quanto problema (e risorsa) sociale. Secondo Giunta, tuttavia, di scuola in Italia si parla fin troppo, e il problema a livello culturale sta semmai nell’atteggiamento di distacco che spesso abbiamo nei confronti della cultura scolastica e universitaria in generale, o nei confronti delle istituzioni.
Ma il vero problema della scuola si trova su un altro livello: è la mancanza di capacità ministeriale e di volontà politica per fare riforme in un ambito in cui, investendo oggi, si vedranno i risultati fra cinque, dieci o quindici anni. E’ un problema del sistema democratico italiano: con in media un anno di tempo davanti a sé, la consapevolezza che il governo successivo farà il contrario di quello precedente, la necessità di giostrarsi tra mille richieste corporative, piccoli problemi e piccole clientele, oggi nessun governo, in Italia, può più permettersi di prendere grandi decisioni.
Per questo si mettono sempre più cerotti, sempre più educazioni civiche, ambientali e digitali, ma nessuno ha la forza e la capacità di fare una riforma organica. Dei programmi, ad esempio; o dei cicli scolastici, condensando i tre differenti gradi delle scuole in un blocco di dieci anni, tagliando l’ultimo anno di scuola superiore. Riforme simili espongono a molti dubbi e polemiche: per questo nessuno vuole rischiare sulla scuola, scontentando famiglie e insegnanti e privandosi così di milioni di voti.
Lo stato della scuola, però, riflette anche lo stato degli italiani: secondo Giunta, più che di cultura scolastica, essi mancano “di civismo e di maturità”. Forse, suggerisco, si può proprio parlare di ignoranza: il famigerato dato dell’OCSE sull’analfabetismo funzionale ci restituisce l’immagine di un Paese in cui quasi un terzo della popolazione non ha le più basilari competenze di comprensione del testo. Per quanta prudenza si voglia giustamente usare nel prendere per buono il dato, esso resta abbastanza eclatante da permetterci di dire che, qualunque sia, un problema c’è, ed è è difficile non ricondurlo alla scuola.
“È un problema di contesto pubblico”, mi risponde Giunta, “e il contesto pubblico è anche e soprattutto riflesso della scuola. Se abbiamo cattivi giornali, una televisione mediocre e intellettuali pubblici spesso inadeguati, rispetto ad altri grandi Paesi, è dovuto anche alla scuola, oltre che ad alcuni problemi storici che ci portiamo dietro da decenni, se non da secoli”. La nostra scuola in realtà, mi ricorda, non produce solo analfabeti di ritorno ma anche ottimi ricercatori, apprezzati in tutto il mondo, ma questa è una percentuale molto piccola degli italiani. “Parlando di scuola”, osserva inoltre il professore, “si pensa sempre al liceo, al liceo classico soprattutto, frequentato forse dal cinque percento della popolazione: quello che non si fa è un’educazione umanistica o scientifica più approfondita anche negli istituti tecnici e professionali, segmenti scolastici spesso abbandonati a se stessi”.
Nonostante si dica per nulla ottimista per quanto riguarda la cultura degli italiani e le capacità della nostra classe dirigente, Giunta afferma di non essere tuttavia così pessimista da ritenere che non si possa fare nulla. Nulla di strutturale, forse, ma di certo qualcosa di buon senso: ripensare o eliminare l’esame di Stato, ad esempio, istituire finalmente dei concorsi seri per gli insegnanti, per “smetterla con le sanatorie periodiche che immettono nelle scuole persone spesso inadeguate”, e un efficiente sistema di formazione, oltre che di selezione, delle persone che andranno a ricoprire un ruolo “così importante per una nazione”.
Per gli insegnanti, sostiene Giunta, ci vorrebbe una riforma che da un lato migliori la selezione, dall’altro permetta ai selezionati di fare carriera. Chi entra nel sistema come professore, oggi, rimane semplicemente professore a vita, senza alcuno scatto stipendiale se non quello di anzianità. Tanti giovani, è vero, scelgono di insegnare anche se poco pagati, per passione, ma inevitabilmente le motivazioni ideali vengono meno quando non si hanno più trent’anni, ma cinquanta o sessanta.
“Inoltre, non credo che i giovani migliori siano tanto scoraggiati dalla mancanza di guadagno, quanto proprio dalla stupidità della macchina”: lavorare a scuola, oggi, vuol dire partecipare a riunioni e collegi docenti, compilare documenti illeggibili… In sostanza, sprecare il proprio tempo. Bisognerebbe tornare ad avere fiducia in docenti che siano ben selezionati ed abbiano il tempo di fare il loro mestiere, senza dover “rispondere a sciocche domande ministeriali che trasformano il lavoro dell’insegnante in una specie di vita da impiegato”. Non solo a scuola, ma anche al pomeriggio, quando l’insegnante dovrebbe studiare: “perché è un intellettuale, l’insegnante, e deve quindi avere una vita intellettuale e il tempo per coltivarla”.
E infine anche secondo Giunta “bisogna pagare di più” gli insegnanti: ma sostiene anche che sia inutile ripeterlo, se la politica non ha alcuna reale intenzione di investire sulla scuola. Bisognerebbe innanzitutto usare bene i soldi a disposizione, ad esempio per premiare e prospettare una carriera agli insegnanti più dediti alla causa. E sicuramente, per pagare tutti di più, prelevare le risorse necessarie da altre voci di spesa della fiscalità generale: togliere i soldi da Alitalia e metterli nella scuola, o toglierli dal reddito di cittadinanza o quota cento e darli agli insegnanti. “Serve un ragionamento generalissimo, non solo relativo alla scuola, ma relativo a ciò che vogliamo che sia la nostra società: non vedo tuttavia un governo o uomini politici in grado di fare un ragionamento del genere”.
Se poi la pandemia ci costringerà a spendere soldi per riformare gli ospedali, sarà difficile trovarne per la scuola. Per i prossimi cinque anni, almeno, secondo Giunta non sarà possibile fare nessuna riforma davvero costosa. Si possono, però, fare delle riforme “a costo zero: interveniamo sui criteri di selezione, semplifichiamo la macchina, rifiutiamoci di avere un ministero che sta a controllare ossessivamente quello che si fa nelle varie scuole, fidiamoci di più degli insegnanti e dei dirigenti scolastici”.
Il professore ha concluso la nostra chiacchierata citando Machiavelli. “Tutti i grandi pensatori politici, da Platone in poi, dicevano: voi datemi il potere e io risolverò i problemi. Machiavelli ha detto: ci sono alcuni problemi che non sono risolubili. E’ possibile mettere dei cerotti, spostare un problema da una parte all’altra, gravare un po’ di più su x e sgravare un pochino y. La scuola non è un problema: è un’enorme agenzia educativa, che è una cosa meravigliosa, ma che funziona come può funzionare in un Paese così vecchio e così in difficoltà com’è l’Italia. Funziona ancora abbastanza bene, per molti versi, per altri invece avrebbe bisogno di riforme. Credo che, per l’attuale sistema politico che abbiamo, per la crisi economica che stiamo attraversando e attraverseremo nei prossimi anni, non sia possibile pensare a una vera riforma. Forse la vedrà lei, fra vent’anni, ma io non credo che la vedrò nei prossimi dieci.” Questo e ciò che io, personalmente, non posso che augurare a me stessa e a tutti gli studenti.
Possiamo dire quindi che, secondo il professor Claudio Giunta, il motivo per cui non si riesce a fare una riforma veramente completa del sistema scolastico italiano è che, per ora, è semplicemente… impossibile. Meglio concentrarsi su riforme a costo zero, con risultati concreti, per migliorare il sistema un po’ alla volta, piuttosto che aspettare la grande riforma che, se non si comincia a preparare il terreno, non arriverà mai.
Potete ascoltare il podcast completo della prima puntata di “Cara, vecchia scuola” a questo link.