Il Segnalibro – cap. 1
Ero solo una bambina quando ho scoperto che i libri avevano un potere speciale. Non costituivano solo un modo piacevole di occupare il tempo, né un mero antidoto alla noia delle giornate estive. A circa sette anni scoprii che, sfogliando le pagine di un libro, ci si poteva sentire meno soli.
A fornirmi questa consapevolezza fu nello specifico un libro per bambini: Matilde, romanzo di Roald Dahl del 1988. La storia, divenuta celebre alcuni anni dopo la pubblicazione del libro grazie all’adattamento cinematografico diretto da Danny Devito, racconta di una bambina dall’intelligenza prodigiosa e dai poteri telecinetici. Matilde, costretta sin dalla prima infanzia a lottare contro l’ottusità degli adulti che la circondano, trova nella lettura un conforto e una passione in cui mi sono rispecchiata subito, pur non essendo io dotata né dell’intelligenza della protagonista, né dei suoi poteri straordinari. Ciò che mi ha fatto sentire subito una Matilde, infatti, è stato leggere del suo amore per la lettura. «Era così piacevole tener vicino una bevanda calda mentre leggeva e leggeva, nella sua stanzetta silenziosa» scriveva Dahl. «I libri le aprivano mondi nuovi e le facevano conoscere persone straordinarie che vivevano una vita piena di avventure.»
Crescendo ho scoperto che la magia non si sarebbe spenta, bensì era destinata a crescere insieme a me. Ho preso lentamente coscienza del fatto che questa connessione speciale accomuna chiunque ami davvero leggere e che è proprio l’amore stesso per i libri a crearne sempre di nuovi. Quindi ho imparato a riconoscere nei vari romanzi che sfogliavo questo prezioso messaggio implicito. In seguito, mi sarei ricordata spesso di Matilde, riscontrandola in tanti personaggi di altri romanzi.
Un altro esempio è fornito sicuramente da L’amica geniale (2011) di Elena Ferrante. Primo di una serie letteraria di quattro volumi, il romanzo è ambientato in un contesto che sembrerebbe non poter essere più distante da quello di Matilde. Protagonista del romanzo è Lenù, che vive in un rione della periferia di Napoli nei primi anni ’50. Il rione è un luogo dove povertà e violenza si sommano non risparmiando nessuno. Lenù conosce Lila tra i banchi di scuola. Lila è diversa, non solo da Lenù: è diversa da chiunque si sia mai visto nel rione. È sfrontata, sicura di sé, spesso cattiva. Senza alcuno sforzo riesce ad essere migliore di Lenù e di tutti a scuola, dove gli scolari vengono spesso fatti competere fra loro. Lentamente Lenù viene attratta dal fascino di Lila, e le due bambine diventano amiche. Un giorno, proprio come Matilde, scoprono nella letteratura la possibilità di una fuga dalla miseria, di una fuga dal rione. Ottenuta una piccola fortuna quasi per caso, un giorno decidono di comprare un libro, Piccole donne. Da allora si incontrano ogni giorno per leggerlo insieme, fino ad impararlo a memoria e recitarlo. Si innamorano della storia e dei personaggi. Lila scopre poi che l’autrice del romanzo è diventata ricca e famosa e decide che loro faranno lo stesso. Le due bambine si mettono in testa di scrivere un romanzo, diventare ricche, salvare le loro famiglie dalla povertà del rione. «Pensammo che studiare molto ci avrebbe fatto scrivere libri e che i libri ci avrebbero rese ricche. La ricchezza era sempre un luccicore di monete d’oro chiuse dentro innumerevoli casse, ma per arrivarci bastava studiare e scrivere un libro».
Anche il protagonista de Il gioco dell’angelo (2008), romanzo dell’autore spagnolo Carlos Ruiz Zafón, si apre con la descrizione di un’infanzia di miseria. Grazie al suo stile asciutto e ironico, l’autore racconta in oltre quattrocento scorrevolissime pagine la storia di David Martìn, nato nella cupa Barcellona dei primi anni del Novecento, abbandonato dalla madre e costretto a vivere in povertà con un padre reduce di guerra, analfabeta e completamente incapace di comprendere l’inclinazione all’apprendimento e la fame di conoscenza di suo figlio. David si rifugia nella lettura di nascosto, grazie al supporto di un gentile libraio che, in occasione di un Natale, fa al giovane Martìn il dono più prezioso di tutti: un romanzo. Grandi speranze. Il romanzo di Dickens aprirà per David una nuova, meravigliosa prospettiva sul mondo.
«Fu un autunno di piogge e giorni plumbei durante i quali lessi Grandi Speranze nove volte di fila, in parte perché non avevo altro da leggere a portata di mano, in parte perché non pensavo che potesse esistere un libro migliore e iniziavo a sospettare che Don Carlos l’avesse scritto solo per me. Ben presto ebbi la ferma convinzione che non desideravo altro nella vita se non imparare a fare quello che faceva quel tale signor Dickens.»
È grazie a questo primo incontro con la letteratura che David scopre di voler diventare uno scrittore e in questo senso la lettura non solo costituirà per lui una via di fuga dalla desolazione della sua infelice vita di bambino, ma determinerà il corso della sua vita da lì in avanti. Sebbene destinato a scontrarsi con una realtà ben più deludente di quella proposta dai romanzi di Dickens («Nel mio mondo, le grandi speranze vivevano soltanto tra le pagine di un libro») David si considererà per sempre in debito con il libraio per avergli fatto dono, senza nemmeno saperlo, della sua più grande passione.
Un altro personaggio la cui vita è determinata e plasmata da un incontro quasi casuale con la letteratura è sicuramente il protagonista di Stoner, romanzo di John E. Williams del 1960. Nato nel 1891 e figlio unico in una famiglia di contadini, Stoner dimostra fin da piccolo una speciale attitudine per lo studio. I genitori lo spediscono quindi all’università del Missouri perché studi agraria e torni ad aiutarli nei campi. Il percorso di scienze agrarie prevede un breve corso introduttivo di letteratura. Stoner inizia a frequentare il corso perché obbligato, e l’incontro con Shakespeare aprirà per lui una nuova, inaspettata strada, che lo porterà ad abbandonare gli studi scientifici all’insaputa dei suoi.
«L’amore per la letteratura, per il linguaggio, per il mistero della mente e del cuore che si rivelano in quella minuta, strana e imprevedibile combinazione di lettere e parole, di neri e gelidi caratteri stampati sulla carta, l’amore che aveva sempre nascosto come se fosse illecito e pericoloso, cominciò a esprimersi dapprima in modo incerto, poi con coraggio sempre maggiore. Infine, con orgoglio.»
Il protagonista di Stoner non è l’eroe di grandi avventure, non conduce una vita movimentata, non lascerà mai neppure il Missouri. La grandezza del romanzo sta proprio nella sua capacità di rendere speciale il racconto di una vita ordinaria. È impossibile per chi legge non provare per il protagonista un’empatia più vicina all’affetto sincero.
Jeffrey Eugenides, autore americano di origine greca, riproduce a mio parere magistralmente quanto detto sinora sulla letteratura, e grazie al suo La trama del matrimonio (2011) aggiunge un dettaglio ancora più sottile e rilevante. Eugenides ci racconta la capacità dei libri di scavare dentro di noi e raccontarci cose su noi stessi che non eravamo in grado di esprimere. Madeleine, protagonista del romanzo, è una studentessa presso la Brown University. Ha scelto di studiare lettere per il semplice e banale motivo per cui lo facciamo anche noi: perché ama e ha sempre amato leggere.
«Da bambina, quando entrava nella biblioteca con gli scaffali troppo alti, la presenza autorevole di tutte quelle parole potenzialmente leggibili la ipnotizzava. A volte rimaneva lì anche un’ora leggendo le coste dei libri (…). Ancora oggi, nei bed and breakfast e negli alberghetti delle località di mare uno scaffale pieno di libri derelitti non mancava mai di lanciarle il suo richiamo».
È quindi semplicissimo, sin dalle prime pagine, immedesimarsi nella protagonista, soprattutto grazie alla prosa acuta e scorrevole dell’autore. Durante un corso di semiotica, Madeleine si imbatte nella lettura di Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, e si rende subito conto di quanto profondamente il libro si adatti alla sua condizione di persona innamorata.
«Non fu soltanto perché quelle parole le sembrarono bellissime. Né perché già dalle prime righe Roland Barthes risultava comprensibile. Ciò che la fece sedere sul letto di scatto era qualcosa che si avvicinava di più alla ragione principale per cui leggeva e aveva sempre amato i libri: un segno che non era sola al mondo. L’espressione di ciò che fino ad oggi aveva provato senza riuscire a dirlo».
Questa breve rassegna di libri, che nel corso degli anni mi hanno colpita per la loro capacità di descrivere meglio di me la mia stessa passione, mi sembrava fosse un buon modo di cominciare questa rubrica. Sono convinta che, ancora meglio della lettura stessa, ci sia la possibilità di parlarne, condividere idee, impressioni, ragionamenti. Si tratta di uno strumento prezioso di osservazione del mondo e di confronto con gli altri. Quindi da oggi, l’ultimo giovedì del mese, pubblicherò una riflessione su libri letti soffermandomi su un aspetto che li accomuna o che mi ha colpito particolarmente. Con la speranza che questo primo capitolo vi abbia incuriositi e magari invogliati a leggere qualcuna delle proposte, vi do appuntamento al mese prossimo con una breve citazione di Proust:
“La lettura ci insegna ad accrescere il valore della vita, valore che non abbiamo saputo apprezzare e della cui grandezza solo grazie al libro ci rendiamo conto”.