Rompiamo lo “stigma della puttana”
Venerdì 23 ottobre, presso la Sala Falconetto di Palazzo Geremia, si è tenuta la conferenza Sex work: rompere lo stigma, inserita all’interno del ciclo di incontri organizzato da Uman Festival che quest’anno ha come tema comune l’educazione.
A parlare di questo argomento c’era Giulia Zollino, antropologa, educatrice sessuale, operatrice di strada e autrice presso la rivista Frisson magazine e il blog La camera di Valentina.
Il sex work è un’espressione che spesso viene associata alla prostituzione, ma che in realtà, come ha suggerito la relatrice, riguarda diversi campi tra cui, per esempio, anche l’industria pornografica. Al sex working sono rivolti giudizi per lo più vittimistici, allarmistici e pietistici dai media i quali influenzano anche la nostra percezione del fenomeno in senso negativo e alimentano lo stigma.
Partendo da questa riflessione l’operatrice di strada ha mostrato come il lavoro sessuale sia molto diverso da come le persone se lo immaginano, definendolo come uno scambio sesso-economico, che non sempre è di natura costrittiva o violenta e che riguarda diverse soggettività. Giulia Zollino si è soffermata proprio su quest’ultimo punto, mettendo in luce come in primis la denominazione dei soggetti crei il così detto “stigma della puttana” e come il linguaggio in questo contesto giochi un ruolo molto importante in senso morale. Il termine sex worker, coniato da Carol Leght negli anni ’70, ha proprio l’intento di discostarsi dal giudizio negativo morale che possiede il termine “puttana”, ma di focalizzarsi sul fatto che il lavoratore o la lavoratrice sessuale sono appunto dei lavoratori e come tali devono possedere dei diritti. Dall’altra parte femministe, come l’attivista argentina, Georgina Orellano, hanno rivendicato l’uso del termine “puttana”, proprio per dimostrare che nel lavoro del o della sex worker non c’è niente di cui vergognarsi, ma anzi di andare fiera di essere la figlia di una puttana.
Lo stigma della ”puttana”, come sottolineato da Zollino non è solo esterno, ma avviene anche internamente tra sex worker stessi. Esso dipende dall’essere uomo, donna, transgender e anche dalla provenienza.
Ma quali sono quindi gli effetti dello stigma? Esso non è solo un concetto astratto, ma può arrivare ad uccidere o comunque ad essere molto violento, simbolicamente, strutturalmente e istituzionalmente.
L’educatrice sessuale ha concluso sostenendo di voler essere un po’ ottimista e convinta che qualcosa si possa cambiare e che tutti possono fare qualcosa a tal fine. Giulia Zollino ha proposto dunque due pratiche di de-stigmatizzazione: la prima è la modificazione del linguaggio che è politico ed è una scelta, decidendo di utilizzare la parola ”puttana” non più in modo dispregiativo; la seconda è l’educazione non solo sul sex working, ma anche sulla sessualità, ascoltando tante voci diverse, per non incappare in una storia unica, ”perché normalizzando la sessualità forse un giorno riusciremo a normalizzare anche il lavoro sessuale”.