Adriano Tilgher e l’identità di un artista
Per molti il nome di Adriano Tilgher (Resina, 8 gennaio 1887 – Roma, 3 novembre 1941) è sconosciuto, eppure egli è stato un intellettuale molto attivo durante il Ventennio. Collaborò con diversi giornali come Il Mondo e il Popolo di Roma, molti dei quali in seguito furono soppressi dal regime fascista e fu autore di numerose opere politiche come La crisi mondiale (1921) e filosofiche di stampo idealista quali l’Estetica (1931) e La filosofia delle morali (1937). Il campo in cui è più forte il suo contributo è però la critica teatrale e letteraria. In particolar modo, Tilgher fu il primo a riconoscere le innovazioni a livello europeo del teatro di Luigi Pirandello negli Studi sul teatro contemporaneo del 1922. Qui, prima di tracciare un quadro del teatro dei primi decenni del Novecento, espose la sua concezione estetica nella Teoria sulla critica d’arte, già pubblicata in realtà nel 1913 sulla rivista La nuova cultura.
Quello che oggi voglio proporvi è la sua affascinante definizione dell’artista, un concetto forse negli ultimi anni troppo svalutato. L’idea di base della filosofia di Tilgher vede la contrapposizione tra la Vita, un flusso dinamico, inarrestabile e le Forme ovvero costruzioni mentali (la Morale, la Religione, etc.) in cui l’uomo cerca di imprigionarla in determinati momenti senza però mai riuscirci del tutto. Secondo Tilgher quindi, l’artista è un vero e proprio creatore. Egli deve riordinare il caos di forme in cui si espressa la Vita nel passato, ora prive di valore, in qualcosa di nuovo. Non fa altro che permettere alla Vita astratta di esistere concretamente nella veste di prodotti artistici. Per fare questa sintesi di forme però deve sperimentare su se stesso, in maniera concreta, la vita del suo tempo. Cosa significa? Egli deve trovare la soluzione ai problemi che gli si presentano davanti con uno spirito, una predisposizione d’animo, che rispecchi in tutto e per tutto il periodo storico in cui vive. Certo, chiarisce Tilgher, l’artista può benissimo scegliere per la sua opera un argomento vecchio (molti capolavori hanno uno schema tutt’altro che innovativo) ma lo stato d’animo, la modalità con cui lo affronterà deve essere assolutamente corrispondente al presente che lui vive. Questo garantirà l’originalità della sua opera perché ogni epoca storica è diversa dalle altre e dunque gli atteggiamenti umani con cui viene vissuta sono, per forza di cose, esclusivi di essa. Un artista che vive il tempo attuale con lo spirito del passato non è un artista, ma un semplice mestierante che si limita a manipolare quanto è già stato fatto dagli altri. I problemi di cui parla Tilgher, non sono quelli politici, sociali, economici etc. dell’attualità, anche se è normale che l’artista venga influenzato da questi fatti. Il suo problema è più profondo: come va interpretata la realtà? Qui entra in gioco la sua soggettività: ogni artista con le proprie risorse personali può provare a risolvere a modo suo il problema. Ciò spiega l’esistenza di gruppi di opere d’arte, nello stesso periodo, tutte riguardanti lo stesso tema ma ognuna con uno stile diverso ed un suo valore. Ovviamente, nello stesso momento storico non esiste un solo problema ma ogni cultura ha le sue regole ed interpreterà la realtà in modo diverso dalle altre così come, i problemi del presente sono in generale diversi da quelli dei secoli passati. Dante, Goethe e Shakespeare, per usare lo stesso esempio di Tilgher, sono artisti vissuti in epoche e culture così diverse che non si possono mettere a confronto. L’artista poi non deve essere limitato in un determinato campo: per sperimentare il problema del suo tempo, un letterato può ispirarsi ad un pittore o ad uno scultore e viceversa. Tutte le arti sono valide e sono collegate tra loro. In ogni caso, nel momento in cui egli sceglie un determinato ambito a cui dedicarsi (la pittura piuttosto che la letteratura ad esempio), egli deve avere una perfetta conoscenza di tutto quanto è stato realizzato prima: se non conosce le opere vecchie, come potrebbe mai produrre qualcosa di originale? Alla fine, più lo spirito dell’artista sarà attinente al tempo che sta vivendo, più il suo prodotto sarà innovativo e più esso si avvicinerà ad essere un capolavoro ovvero un’opera d’arte che nel suo ambito supera tutte le altre perché esemplifica alla perfezione lo spirito dell’epoca in cui è stata realizzata. L’artista dunque nelle sue mani mortali ha la possibilità di creare qualcosa di eterno! Le generazioni a lui successive, tramite i suoi capolavori, assaporeranno lo spirito di quegli anni ed entreranno così in contatto con il passato.
Nel complesso, il ritratto che Tilgher fa della figura dell’artista è quello di un individuo colto, un individuo che non si limita a sfogare le sue gioie e i suoi dolori ma fornisce al mondo intero una chiave di interpretazione della realtà che lo circonda tramite le sue opere. L’artista per Tilgher è una figura autorevole. Un’interpretazione molto complessa ma sicuramente ancora valida perché mette l’accento sulla coscienza di sé, sulla responsabilità che chiunque si appresta a consegnare ai posteri un prodotto artistico, al giorno d’oggi, dovrebbe avere.
Bibliografia:
A. Tilgher, Studi sul teatro contemporaneo, Roma, Libreria di scienze e lettere, 1923.