“Obiezione: Respinta” – sulla legge 194 e i suoi limiti
Sono ormai passati più di quarant’anni dall’entrata in vigore in Italia della legge 194, la quale tutela il diritto alla salute riproduttiva e garantisce l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. Tuttavia, nel corso di questo periodo non si sono mai spenti i tentativi di limitarne o ridimensionarne l’efficacia, in ambito sociale, politico, e troppo spesso anche medico. L’Italia si colloca infatti in cima alla lista dei Paesi con il maggior numero di obiettori di coscienza negli ospedali pubblici (circa il 70% dei ginecologi si dichiara obiettore), e le statistiche dimostrano come la legge soffra, in generale, di una non effettiva applicazione.
Giovedì 6 novembre 2020 si è svolta tramite diretta Zoom la conferenza “Obiezione: Respinta”, organizzata da UDU Trento con il contributo di Opera Universitaria. L’evento è stato intitolato simbolicamente alla piattaforma della rete transfemminista Non Una Di Meno, che fornisce una mappatura dell’obiezione di coscienza in Italia, e ha visto intervenire tre esperte in merito alla spinosa questione. Lucia Busatta, ricercatrice in diritto costituzionale e biodiritto presso l’Università di Trento, ha introdotto la legge 194 inquadrandone il profilo giuridico. In seguito, la professoressa Lorenza Perini, docente di politiche di genere all’Università di Padova, ha affrontato la questione delle troppe resistenze alla libertà di scelta dal punto di vista sociologico. Infine, Giulia Siviero, giornalista per Il Post, ha fornito alcuni esempi di come la libera scelta sia spesso ostacolata da gruppi organizzati, in Italia e nel resto del mondo.
Busatta ha ripercorso brevemente le tappe della complicata gestazione affrontata dalla legge 194, e ne ha indicato quelli che potremmo definire i talloni d’Achille. Il lungo periodo di preparazione alla legge è sicuramente da ricondurre alla grande sensibilità del tema, che in Italia è stato e continua ad essere estremamente divisivo. A dispetto però dei lunghi tempi richiesti dalla sua creazione, ad oggi questa legge è valutata giuridicamente in termini positivi, e nei suoi oltre quarant’anni di esistenza non ha mai subito dichiarazioni di incostituzionalità, nonostante sia stata portata a più riprese davanti alla Corte costituzionale. Quello che costituisce il suo maggiore punto debole, quantomeno dal punto di vista applicativo, è la previsione dell’obiezione di coscienza.
All’articolo 9, infatti, è prevista la possibilità da parte del personale sanitario di sollevare un’obiezione di coscienza, e di rifiutarsi quindi di effettuare gli interventi interruttivi. Benché questo articolo rispecchi la necessità comprensibile di tenere insieme nell’ordinamento giuridico anime diverse e comporre un vero e proprio conflitto di valori, ad oggi i suoi effetti si traducono in una carenza di risorse, e conseguentemente nella crescente difficoltà pratica, per le donne italiane, ad ottenere il servizio richiesto. Il ricorso all’articolo 9, infatti, non concerne solamente i ginecologi, ma anche farmacisti, anestesisti, e altre componenti del personale medico o sociosanitario.
Non a caso, il Comitato Europeo dei Servizi Sociali ha accertato per due volte la violazione, da parte dell’Italia, della Carta Sociale Europea, pur essendo il nostro Paese dotato di una legge potenzialmente funzionale. Questo fenomeno finisce inoltre per violare non solo il diritto alla salute della donna, ma anche il diritto al lavoro del medico non obiettore. Sebbene il Ministero si sia speso in un fitto monitoraggio della legge, non si sono trovate per il momento soluzioni concrete al problema: l’unica iniziativa positiva in questo panorama altrimenti desolante è stata l’estensione, introdotta dal Ministero nell’agosto del 2020, della possibilità di somministrazione della RU486 fino alla decima settimana di gravidanza (e non più fino alla settima).
Appare evidente, a conti fatti, che la via – forse non più rapida ma senza dubbio più efficace – ad un radicale cambiamento di questa situazione debba essere quella della rivoluzione culturale. Tale convinzione è confermata da Lorenza Perini, intervenuta a questo punto per ricordare anche l’importanza dei consultori, istituiti parallelamente alla legge 194. Si tratta di presidi territoriali importantissimi, che dovrebbero farsi veicolo di diffusione delle informazioni, di “alfabetizzazione” e prevenzione. Tutta quell’educazione, insomma, che dovrebbe passare attraverso le scuole o gli altri canali che consentono di raggiungere le persone sul territorio. Perini racconta delle statistiche raccolte lavorando sul campo, le quali fanno emergere cifre preoccupanti sull’obiezione di coscienza. «Ci sono intere aree del Veneto in cui risulta praticamente impossibile interrompere la gravidanza» sottolinea la docente. «Le donne sono costrette a spostarsi in altre regioni, se non all’estero». C’è un lavoro da svolgere sul campo che è davvero importante monitorare, e nell’analisi delle piccole realtà locali ci si rende conto non solo della grande inefficacia di molti consultori, ma anche dell’enorme quantità di pregiudizi che in essi si annidano. A questo proposito Perini documenta molte esperienze traumatiche vissute da donne intervistate, legate sempre più spesso all’infiltrazione nei presidi territoriali dei movimenti per la vita.
Sebbene la 194 abbia finora resistito agli attacchi, Perini esorta ad essere vigili e a non distogliere lo sguardo dai recenti avvenimenti della Polonia o degli Stati Uniti, esempi concreti di come il diritto alla scelta della donna resti fragile e sia continuamente in pericolo. L’aspetto internazionale della questione viene ripreso e approfondito da Giulia Siviero, che interviene ripercorrendo brevemente eventi svoltisi nel mondo durante le ultime settimane, a testimonianza del fatto che l’opposizione all’autodeterminazione delle donne può essere molto ben organizzata, e soprattutto finanziata. Dopo un rapido accenno ai molti tentativi di ostacolo alle leggi che consentono l’aborto in Polonia e negli Stati Uniti – si conta l’introduzione di 378 restrizioni in tutta la nazione americana solamente nei primi mesi del 2019 – Siviero ha esposto alcune delle ricorrenti strategie dei movimenti antiabortisti. Questi ultimi, che in un primo momento agivano in modo non radicale, intervenendo al livello delle coperture assicurative o complicando i regolamenti delle cliniche, dal 2018 tentano sempre più ostinatamente di traslare il discorso su un livello più alto e ottenere una modifica delle leggi federali.
Le vie di azione dei gruppi anti-scelta sono dunque infinite, e non risparmiano sicuramente il nostro Paese. In Italia, molti ricorderanno il Congresso Mondiale delle Famiglie, organizzato a Verona nel marzo 2019, che vide la partecipazione di gruppi antiabortisti e antifemministi. Al Congresso parteciparono associazioni ed esponenti politici della destra radicale, cristiana e integralista provenienti da tutto il mondo. Siviero descrive una rete ben finanziata, che continua ad avere un’influenza diretta sui governi dei vari Paesi. «Questa rete si serve di strategie comunicative molto precise: non utilizza più un linguaggio ideologico ma uno più edulcorato, patinato, quasi pubblicitario» afferma la giornalista. La strategia di questi gruppi prevede una retorica legata all’amore e alla bellezza della vita, rifacendosi a volte agli stessi toni dei movimenti femministi cui si oppone, per dare validità a teorie invece profondamente antidemocratiche e sessiste. In Italia questi gruppi sono molto attivi, e portano avanti ostinatamente un attacco alla libertà della donna, sfruttando i governi regionali e comunali. Questa guerra alla libertà di scelta si manifesta non solo tramite infiltrazione silenziosa nella sanità pubblica, a qualsiasi livello, ma anche attraverso la colpevolizzazione mediatica delle donne che scelgono di abortire.
Su questo punto, infatti, si è soffermata la riflessione finale dell’evento. In un clima culturale che pone continuamente in discussione l’autodeterminazione e la libertà di scelta della donna, è importante non stare ferme in silenzio, ad aspettare un intervento dall’alto. La dottoressa Perini esorta ad avvicinarsi ai movimenti femministi, i quali collaborano a livello internazionale e svolgono un lavoro instancabile. Come fa riflettere Giulia Siviero, il caso della Polonia ci insegna che i movimenti culturali e politici, seppure apartitici, possono portare a dei risultati concreti, e questo lo abbiamo già visto accadere negli anni Settanta. Prendere parte attivamente ad una discussione che rischia di essere monopolizzata da forze che, con ogni mezzo, si oppongono a delle libertà fondamentali, costituisce una militanza assolutamente necessaria, che bisogna intraprendere in ogni ambito possibile e a cui tutte e tutti siamo chiamati a rispondere.