Fumetto: un genere minore? Il graphic journalism di Takoua Ben Mohamed

Non ho mai letto molte graphic novels. Probabilmente perché, condizionata dal parere di alcuni professori e dall’opinione generale, pensavo che mentre leggere libri significava “aprirsi nuovi orizzonti” e “ampliare la propria cultura”… (aggiungi altri clichés a piacere), leggere graphic novels fosse una mera perdita di tempo. Solo recentemente, a mio malgrado, mi sono accorta di quanto avessi torto e di quante possibilità mi siano sfuggite per colpa dei miei pregiudizi. L’obiettivo di questa rubrica è proprio questo: rompere il pregiudizio contro il fumetto. Innanzitutto perché credo che da parte di professori ed educatori sia sbagliato insegnare che un genere così vario possa essere bollato negativamente in toto; e, in secondo luogo, perché ritengo che cercare di convincere una ragazzina che legge molte graphic novels a passare a un altro genere solo perché ritenuto più ‘serio’ può solamente portare a un disamoramento per la letteratura in generale. Un’ultima premessa prima di cominciare: come ho detto, non sono un’esperta di graphic novel, è un genere a cui mi sono avvicinata da pochissimo, e quindi l’obiettivo di questa rubrica non è insegnare a voi lettori, ma piuttosto di imparare insieme a voi ad apprezzare questo genere, che, nonostante la sua cattiva reputazione, rimane un medium fondamentale per divulgare temi importanti.

Ce lo dimostra sicuramente il lavoro di Takoua Ben Mohamed, che a settembre ha pubblicato il suo terzo libro “Un’altra via per la Cambogia’, in cui parla del suo viaggio con la ONG WeWorld nel sud-est asiatico. Nata in Tunisia, l’autrice si è trasferita nel 1999 a Roma per raggiungere il padre, esule nella capitale italiana a causa della dittatura di Ben Alì. Takoua vive in Italia da più di vent’anni e infatti si definisce, con accento romano, una ‘tunisina de Roma’, ma, nonostante ciò, non le è ancora stata concessa la cittadinanza italiana. Fin da piccola si è interessata alle tematiche sociali, interesse che è ancora evidente in molti suoi libri come nella sua prima pubblicazione ‘Sotto il velo’, libro in cui, riprendendo un po’ lo stile dei chibi e dei manga giapponesi, Takoua parla della sua esperienza di musulmana a Roma, soffermandosi sul tema del pregiudizio

Molti dei personaggi in ‘Sotto il velo’, infatti, sono volutamente stereotipati: a dirle di vergognarsi di indossare il velo è un uomo bianco e biondo, il tipico stereotipo dell’uomo occidentale che pensa che le donne musulmane vadano salvate dai padri e i mariti che le maltrattano; dall’altra parte della tavola Takoua disegna invece un uomo con una folta barba scura, che le dice di non truccarsi, caricatura dell’uomo musulmano che obbliga le figlie a indossare il velo e a rinnegare l’occidente. Takoua, con una vena ironica e molto frizzante, ci spiega che il pregiudizio è ovunque e, offrendoci scene di vita quotidiana vissute in prima persona da lei o da altre ragazze musulmane che ha intervistato, tratta con umorismo un tema così importante come quello dell’inclusione e del contatto tra culture diverse.

Un altro obiettivo di ‘Sotto il velo’, pubblicato con la casa editrice Becco Giallo nel 2016, è quello di creare empatia. Infatti, se non tutti possiamo dire di essere musulmani o capire cosa vuol dire indossare il velo, con i disegni di Takoua Ben Mohamed possiamo capire che, in qualche modo, i suoi problemi non sono così lontani dai nostri. In diverse strisce della graphic novel, Takoua ci parla del suo rapporto quotidiano con l’hijab, scherzando ad esempio su come in estate si abbronzi solo parzialmente, perché il velo le lascia il segno sulla fronte. Così, pur partendo da un’esperienza magari totalmente diversa rispetto alla nostra, Takoua riesce a farci immedesimare nel suo personaggio e, anche grazie alle espressioni in romanaccio, a strapparci qualche risata. 

Se è vero che in ‘Sotto il velo’ Takoua ci parla di aneddoti realmente accaduti, la sua indagine sul vero prosegue ancor di più nella sua più recente pubblicazione, ‘Un’altra via per la Cambogia’, libro in cui Takoua ci fa sprofondare appieno nel graphic journalism. Con questo termine si intendono le graphic novel che trattano temi non fittizi, ma che fanno giornalismo attraverso le immagini. Tornando alle premesse di questo articolo, il sottogenere del graphic journalism dimostra chiaramente la legittimità della graphic novel, che in questo caso permette agli autori di fare veri e propri reportage grazie al fumetto. In ‘Un’altra via per la Cambogia’, Takoua Ben Mohamed ci porta con se in un viaggio in Cambogia, dove per quindici giorni ha collaborato con gli operatori umanitari dell’ONG WeWorld, che, nata nel 2018, lavora in 27 Paesi per difendere i diritti di donne e bambini. Uno di questi Paesi è proprio la Cambogia, dove i volontari dell’organizzazione lavorano per salvare la popolazione locale dal traffico di esseri umani, che spesso è l’unica possibilità di sopravvivenza per lo strato più povero della società. Alternando tavole coloratissime in cui spicca il suo lato comico e autoironico dove Takoua corre da un aeroporto all’altro e riesce a prendere l’aereo solo per pochissimo, ad altre in bianco e nero in cui l’autrice riflette sulla tragicità delle condizione dei cambogiani, la graphic journalist riesce a trattare temi così delicati, seppur non trascurando – laddove ritiene sia opportuno – il proprio stile frizzante. 

Pur essendo una lettura che si riesce a portare a termine in una sola seduta, poiché il libro è di 150 pagine, ‘Un’altra via per la Cambogia’ ci fornisce un quadro completo della condizione dei cambogiani, anche grazie alla divisione in capitoli che ci permette di vedere la situazione dal punto di vista di diversi personaggi. I padri che, sedotti dai trafficanti che promettono una vita migliore per loro e per le loro famiglie, emigrano in Thailandia, dove vengono ingannati e forzati a lavorare anche diciotto ore al giorno; le madri che, dopo aver perso le tracce dei mariti partiti per la Thailandia in cerca di un futuro migliore, devono provvedere alla famiglia, per cui lasciano anche loro la Cambogia, finendo nel mercato della prostituzione; i nonni, a cui vengono lasciati i nipoti, sono spesso costretti ad abbandonarli in orfanotrofio, non avendo i mezzi sufficienti per prendersi cura di loro; i figli, che raramente possono permettersi un’educazione, sono così costretti a crescere e diventare adulti all’improvviso. Takoua Ben Mohamed ci parla quindi di migranti ‘diversi’ rispetto a quelli di cui siamo soliti sentire (e cioè quelli del Mediterraneo) e, come faceva già in ‘Sotto il velo’, anche qui, riprendendo il suo alter ego manga, riesce ad entrare nel cuore della vicenda facendo parlare proprio chi ne è al centro. Il punto forte di ‘Un’altra via per la Cambogia’ è quindi proprio il fatto che sia una graphic novel: da una parte è una lettura molto informativa e chiara, dall’altra ci lascia il desiderio di continuare ad informarci, grazie all’assaggio che Takoua ci dà di una situazione così complessa e poco conosciuta.

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