Eddi Marcucci e la difesa di un ideale che rende pericolosi
Il 12 novembre si è svolta a Torino l’udienza per l’appello contro l’applicazione della sorveglianza speciale nei confronti di Maria Edgarda Marcucci, maggiormente nota come Eddi. La vicenda di Eddi dovrebbe interessarci per diverse ragioni. Se accostata ad altre storie, come quelle non molto distanti cronologicamente di Nicoletta Dosio e Dana Lauriola, la riflessione principale cui dovrebbe indurci è la seguente: quale accoglienza è riservata in Italia, su tutti i livelli, alle donne che si battono con determinazione e tenacia per una causa che ai più sembra lontana e trascurabile, o che sovverte quella che è la concezione comune delle cose? L’udienza per la sorveglianza di Eddi si è conclusa con un nulla di fatto, il tribunale infatti si è preso quaranta giorni di tempo per decidere. Nell’attesa di una decisione in merito alla sua sorte, però, ritengo sia opportuno riflettere sulla sua storia, e sulle esperienze che l’hanno condotta nella situazione attuale.
Maria Edgarda è una studentessa romana che vive a Torino da fuorisede. Sensibile al tema della tutela ambientale dall’adolescenza, quando perde un’amica originaria della Terra dei fuochi a causa di un linfoma raro, inizia a fare politica negli anni dell’università, avvicinandosi al movimento No TAV e ad altri collettivi. I suoi studi vengono messi in difficoltà tra il primo e il secondo anno, a causa dei tagli ai fondi per il supporto allo studio da parte della regione Piemonte, così Eddi inizia a lavorare, e si riferisce a quel periodo, ironicamente, come ad un «susseguirsi di tappe caratterizzate da precariato e sfruttamento». Nel 2017 decide di partire per la Siria con una delegazione civile di giornalisti free-lance. Lo scopo del viaggio è fare reportage, portare solidarietà alle milizie curde e raccontare quanto sta accadendo. Una volta arrivata in Siria, Eddi si rende conto che c’è molto di più in corso della guerra all’ISIS. In Rojava, che in curdo significa “ovest”, una federazione di regioni è riuscita a costituire un progetto innovativo e funzionale: il Confederalismo Democratico. Il Rojava è la parte occidentale di una nazione senza stato, che si trova tra i confini di Siria, di cui fa parte geograficamente, Turchia, Iran e Iraq. Nel 2003 nasce un partito clandestino (PYD, Partito di unione democratica), che si batte per anni, attirando partecipazione dal basso, per costituire un’amministrazione giusta, che ambisce alla democrazia diretta, basata su sostenibilità ambientale, libertà di religione e di pensiero, ma soprattutto sull’uguaglianza tra i generi. Nel 2012 il popolo insorge e l’Amministrazione Autonoma si allarga e cresce, nonostante gli attacchi continui da parte dell’ISIS e della Turchia (quest’ultima invaderà il Rojava nel 2019, nel tentativo di spazzare via il sistema pluralista, laico e femminista che il confederalismo stava estendendo, attraverso l’adesione volontaria, anche oltre i confini del Rojava). Quando parla del Rojava, Eddi afferma: «Come fai a guardarti allo specchio, se è anche la tua battaglia ma la sta combattendo qualcun altro?». A quel punto decide di arruolarsi con l’YPJ (Unità di difesa delle donne), che insieme all’YPG (Unità di protezione popolare) forma l’ala armata della coalizione curda. Insieme alla milizia femminile Eddi partecipa a diversi combattimenti, tra cui l’operazione sul fronte di Afrin, e contribuisce a sconfiggere le armate jihadiste, comprese quelle finanziate ed armate dalla Turchia.
Una volta rientrata in Italia, a lei e altri quattro suoi compagni viene notificata la decisione del tribunale di Torino di sottoporli a sorveglianza speciale. Alla fine, la procura revocherà la decisione per tutti gli altri, ma non per Eddi, che è quindi sottoposta a sorveglianza speciale dal 17 marzo 2020. Questa misura di prevenzione, che ha origini risalenti al periodo fascista, comporta gravi limitazioni della sua libertà di espressione e comunicazione, ma anche di movimento e azione. Eddi, infatti, è privata da marzo del passaporto e della patente, e la sua carta di identità è stata invalidata per l’espatrio, quindi non può guidare né lasciare il comune di Torino. Le è vietato partecipare a riunioni con più di tre persone, deve restare in casa tra le 21 e le 7 e deve portare sempre con sé il libretto rosso, la “carta precettiva”, su cui vengono annotati tutti i suoi spostamenti.
Le ragioni della procura a favore della misura imposta a Marcucci si possono riassumere nella sua sospetta “pericolosità sociale”, in quanto durante la sua permanenza in Siria Eddi ha imparato a maneggiare le armi. Come spiegato nel documento, ad indurre il tribunale a imporre questa misura non sarebbero state dunque particolari azioni di Marcucci. Si parla, per citare letteralmente il documento, di un «percorso di vita costantemente orientato in tal senso, incline a violare senza remore i precetti dell’Autorità». La sua condotta, stando a quanto ribadito dal procuratore durante l’udienza, sarebbe stata quindi pericolosa ancor prima della sua partenza, e il suo arruolamento nell’YPJ costituirebbe solo un’aggravante. È presumibile che qui ci si riferisca all’attivismo e alla militanza di Eddi, alla sua partecipazione a presidi pacifici e a varie manifestazioni. In poche parole, Marcucci avrebbe dimostrato da sempre una mentalità anarchica e da soldato, ed essendo ora anche addestrata, costituirebbe un potenziale pericolo per la sicurezza sociale. Eddi attribuisce l’enorme incomprensione dimostrata dalla procura rispetto alla sua esperienza, alla profonda spaccatura che separa di norma società civile e Stato. Tale distanza ha la gravissima conseguenza di rendere la giustizia incapace di percepire ciò che muove realmente il tessuto sociale, e nel suo caso specifico ha portato la procura ad una decisione impopolare per molti. I valori che accompagnano Eddi da sempre, che l’hanno spinta a partire per la Siria, o a manifestare contro la fornitura di armi italiane alla Turchia, sono infatti condivisi da molte persone: a ridosso dell’udienza sono state numerose le dimostrazioni di vicinanza a Eddi, soprattutto da parte del mondo dell’arte. Una delle più interessanti, la vignetta pubblicata su Instagram da Zerocalcare, famoso fumettista, che con Marcucci condivide l’esperienza di un viaggio in Siria, documentato dalla graphic novel Kobane Calling. Eddi si è detta piuttosto sorpresa dall’accento molto forte che l’udienza ha posto sulla sua formazione militare, essendo per lei l’aspetto militare dell’esperienza nel Rojava del tutto marginale. «Ridurre l’YPJ a un addestramento militare più o meno specializzato vuol dire tralasciare la portata realmente rivoluzionaria di questa “unità di difesa delle donne”, che è prima di tutto la difesa di un progetto sociale» afferma Eddi dal suo profilo Instagram, spiegando come non vi sia un ambito militare che possa essere concepito come staccato dal processo politico e rivoluzionario che si porta avanti. «Certo, si combattono battaglie vere, ma il principio che porta ad ingaggiare tali battaglie è completamente distante da quello dell’esercito di uno Stato-nazione».
A questo punto le perplessità che sorgono spontanee sono molte. In primo luogo, resta poco chiaro il perché ad essere sottoposta a tali misure restrittive sia stata solo Eddi, mentre per gli altri compagni rientrati in Italia insieme a lei la decisione è stata presto revocata. Dovremmo desumere che, secondo la procura, una donna che impara a maneggiare le armi sia necessariamente più pericolosa di un uomo ugualmente addestrato? Inoltre, tutte le motivazioni esposte fanno pensare che non si stia cercando di punire Marcucci per sue azioni specifiche, bensì per qualcosa che in Italia dovrebbe essere sacrosanto: la difesa dei propri ideali. C’è da chiedersi se sia accettabile, in un Paese civile, che qualcuno venga posto sotto sorveglianza speciale e privato di tante libertà fondamentali a causa di una sua convinta adesione a principi che mettono in discussione l’ordinamento comune delle cose, adesione che Eddi ribadisce senza indugi dopo l’udienza, tramite i suoi profili social (che vengono prontamente oscurati).
Ritengo che la testimonianza di Maria Edgarda Marcucci possa fornire il punto di partenza per una riflessione su cosa sia concretamente la libertà, anche in un Paese teoricamente civile come il nostro. Viene anche spontaneo domandarsi in che momento esatto esprimere un’opinione contraria inizi a renderci pericolosi, e soprattutto pericolosi nei confronti di cosa e di chi. Perché, se siamo tutti d’accordo nel riconoscere nell’ISIS un nemico comune, la causa di Eddi non viene supportata e sostenuta a gran voce? E perché, se si parte e si muore sul campo di battaglia, come Lorenzo “Orso” Orsetti, ucciso in combattimento nel marzo 2019 sul confine con l’Iraq, si viene pianti e celebrati, mentre se si torna per farne testimonianza si viene privati di diritti e si diventa socialmente pericolosi? Forse perché l’attivismo di Eddi tocca nel vivo anche l’Italia battendosi, tra le altre cose, contro sfruttamento e disuguaglianza? Nell’attesa di una decisione definitiva sulla libertà di Eddi, è importante raccontare la sua storia e non voltarsi dall’altra parte, perché – se è vero che pochissimi tra noi imbraccerebbero mai un kalashnikov o si metterebbero in viaggio per la Siria – è altresì vero che la battaglia di Eddi è anche la nostra battaglia, e che se vogliamo rendere migliore il nostro Paese non possiamo voltarle le spalle oggi.