Quattro chiacchiere con Nicola: intervista a Selvaggia Lucarelli

Pronto?

Sì, buongiorno, sono Nicola.

Ciao, eccomi. Spero non cada la linea Nicola. Altrimenti mi richiamerai, in qualche modo faremo.

Ok, è andata, sto intervistando Selvaggia Lucarelli e… breve recap. Un pomeriggio di ottobre, cercando di scappare dallo studio delle imminenti provette che sarebbero arrivate da lì a poco, mi scontro nella mia bacheca Instagram con un post di Selvaggia e, come sempre, apro la sezione commenti e leggo un gran numero di commenti pieni d’odio. Perché? Cosa avrà mai fatto questa donna per meritarsi tutto questo?
IDEA. Ora le scrivo una mail chiedendole di intervistarla. Voglio capire come affronta queste battaglie, cosa prende d’ispirazione per scrivere i suoi articoli e anche come, tutto sommato, se la passa. Arrivata la sua risposta non esito a chiamarla per il giorno prestabilito e ne esce un’intervista molto ironica, attuale e piena di consigli.
Quindi? Quindi iniziamo.

Ok, allora quando vuole io inizio.

Certo, guarda, io sono in treno sotto una galleria e spero che regga la linea, altrimenti ti richiamo poi con più calma. Vai, dimmi tutto.

Volevo iniziare prima di tutto con tre domande a bruciapelo per rompere il ghiaccio. Prima di tutto: qual è il Suo colore preferito?

(Risatina) Direi… il verde.

E la prima parola che Le viene in mente in questo momento?

Meraviglia.

Si ricorda una particolare figura che ad oggi La fa ridere?

Alla presentazione di un mio libro che parlava di sentimenti, volevo dire che in quel periodo della mia vita cercavo un “porto” sicuro, ovvero un uomo stabile, una persona affidabile, e invece mi è uscito che cercavo un “porco” sicuro. (Risata)

(Risata isterica… Ok, sto veramente intervistando Selvaggia Lucarelli?) Sì, credo che questa sia da ricordare.

Sì, era circa luglio, me lo ricordo ancora. È stato un momento imbarazzante.

Quale libro era?

Che ci importa del mondo”, un mio romanzo.

Bellissimo, l’ho letto.

Grazie!

Allora, iniziamo con l’intervista vera e propria. Che ne dice?

Sì, perfetto.

Può presentarsi ai nostri lettori facendo un sunto dei Suoi studi e di quello che ha fatto nella Sua carriera?

Nella mia carriera ho frequentato un conservatorio teatrale tra i 20 e i 23 anni studiando teatro. Fino ai 28 ho fatto tournée come attrice e nel frattempo ho scritto alcuni spettacoli per cabarettisti e comici.
Nel 2002 nasce il mio blog e comincio a scrivere sul web, passando poi ai giornali cartacei e online, poi le tv. Ora scrivo su “Il Fatto Quotidiano” e “TPI” e ho un programma mattutino su Radio Capital. Inoltre, sono giudice di “Ballando con le stelle” e opinionista di “PiazzaPulita”.

Ora quindi sta andando in treno a Roma per…

…Sì esatto, per Ballando.

Ha una figura che considera un punto di riferimento nella Sua vita da cui prende ispirazione per scrivere alcuni pezzi, alcune storie?

Credo che intorno ai 20 anni la lettura di molti, anzi di tutti i libri di Stefano Benni mi abbia ispirato molto. Qualcuno diceva “Benneggi un po’…” leggendo le cose che scrivevo. Cercavo un po’, inconsciamente, di imitare la sua prosa, la sua ironia. Nel tempo lo ho assorbito e lo ho dimenticato; ora ho un mio stile, però credo che quell’ironia, quell’intelligenza, alle volte surreale, sia stata d’ispirazione… insomma Stefano Benni.

Oggi tutti conoscono lo stile di scrittura di Stefano Benni, pungente e ironico che però tocca sempre al cuore. Come il suo, d’altro canto.

Sì, sì… bellissimo, è veramente un genio. Forse pigro, dovrebbe produrre di più! (Risate)

Lei ha cominciato con il teatro aprendo poi il Suo blog “Stanza Selvaggia” ed è iniziato così il successo. Io ricordo il programma radiofonico “Stanza Selvaggia” in cui Lei chiamava alcuni utenti che La insultavano sul web usando epiteti sgradevoli. Al suono della Sua voce restavano muti come pesci. Qual è l’episodio che ricorda maggiormente tra queste chiamate?

Per me era più un esperimento sociologico. In quel periodo andavo in giro normalmente. Era il momento dei primi insulti e dei primi haters, dei primi gruppi organizzati. Mi rendevo conto che tutto quello che mi succedeva sul web, nella vita, non accadeva: non c’erano persone che mi insultavano al bar, non sentivo attorno a me quest’odio. Era presente unicamente online, quando aprivo il computer; non voleva dire però che queste persone non esistessero. Erano semplicemente individui che non valutavano le conseguenze, che ritenevano che quella realtà, quella virtuale, fosse qualcosa di alternativo e parallelo a quella di tutti i giorni, quella che ci vede confrontarci vis a vis. Volevo, in qualche modo, far comprendere che in realtà appartengono alla stessa dimensione. Li ho quindi chiamati e messi di fronte alle loro azioni. Ecco, quando c’era questo passaggio dal virtuale al reale, queste persone sembravano incredule, quasi sorprese, che quello che avevano scritto avesse delle conseguenze per cui bisognasse discutere con la persona offesa.

, da leoni… a pecore.

Sì, sì, ma soprattutto, ti ripeto, era l’incredulità il sentimento prevalente. Non c’era la rabbia, ma l’incredulità.
Mi ricordo di un leghista toscano, che fu uno, forse il primo politico che chiamai e che misi di fronte all’evidenza delle cose che aveva scritto. Mi aveva dato della puttana: mi ricordo che disse che per lui era uno scherzo e quindi che ero io poco ironica. Mi rimase impresso perché questo gli costò le dimissioni. (Risatina) Ecco, fu il primo che beccai dal punto di vista politico.

È mai successo che un commento Le abbia fatto più male degli altri e L’abbia portata a dire “Ora basta.”?

No, di dover smettere non lo ho mai pensato. Sarebbe una resa, e se l’alternativa a quella di resistere fosse soccombere, io non soccomberei.
Comunque, sai, mi fanno male non tanto gli insulti gratuiti ma la cattiveria, quella elaborata, quella che tiene conto del momento che stai attraversando nella tua vita. Per esempio, quando ci fu l’episodio di mia madre, quando si è persa per via dell’Alzheimer. Ricordo che mi colpì moltissimo, dopo il primo momento di solidarietà, che dopo qualche giorno il registro cambiò e usarono l’episodio per attaccarmi. C’era gente che mi scriveva “Hai perso il cervello come tua madre”, “Peccato che non ti sia persa anche tu”, “Sei rincoglionita come tua madre”. Oppure quando mi sono fidanzata con il mio attuale compagno, che è molto più giovane di me, i commenti erano tutti “Sembri una nonna”, “Sei vecchia”, “Sembra tuo figlio”. Ecco, questa cosa qui è davvero feroce, capisci che la gente cerca proprio di infilarsi in una piega debole della tua vita.

A proposito di Suo figlio, Leon, vedo che sotto ai suoi post è continuamente offeso. Criticano lui per colpire Lei. Cosa ne pensa?

Sì, d’altronde, parenti, amici, fidanzati… sono uno strumento facile per attaccarti, viene strumentalizzato tutto.

Ad esempio, l’ultimo episodio che lo vede coinvolto. Lei è stata accusata di aver mandato Leon in pasto a Salvini.

Sì, ma lì è un’altra storia. C’è stata proprio una strumentalizzazione politica della vicenda. Salvini ha fatto finta di essere indignato insinuando che utilizzassi mio figlio per screditarlo. Come se lo avessi mandato volutamente, come se io avessi bisogno di mio figlio per dirgli qualcosa: io ero lì e se avessi voluto dirgli qualcosa, lo avrei fatto direttamente. Quindi poi Leon diventa attaccabile, però sai, mio figlio ha sempre assistito a quella che era la mia battaglia contro l’odio in rete e dà agli insulti il giusto valore: conosce questo aspetto della vita, della società, della cattiveria umana e sa, allo stesso tempo, di non doverla seguire e non farsi condizionare. Lui ha un grande disincanto rispetto a queste cose, le ha capite fin da piccolo, quindi legge ma non si lascia scalfire. Sa in che caselle metterle, ecco.

Tra l’altro adesso anche lui si è dato al giornalismo…

No (risata), non direi proprio così…
Sai, dopo quello che è successo gli sono arrivate un po’ di proposte, di persone che avevano piacere a coinvolgerlo in testate…

Quindi lui cosa ne pensa? La vede come una possibile professione futura?

Non so in realtà se sinceramente abbia la vena giornalistica. Mi sembra più proiettato in un’altra dimensione: a lui piace disegnare, inventare storie, fare giochi da tavolo… insomma, direi che forse il suo mondo è un altro. Questa cosa, però, lo ha lusingato e credo che sia un’esperienza divertente e formativa.

Certamente.

Ci tengo a dire che non è un ragazzino che è una mia protesi, un mio prolungamento.

No, assolutamente.

Non credo che mi veda come un qualcosa da imitare, da scimmiottare. Credo che su questo abbia una libertà individuale assoluta. Anche questa presa politica non arriva da me, bensì da una dimensione scolastica. È legato a questo suo amico di nome Michel, un ragazzino di sinistra molto militante e questo lo ha influenzato.

Sì, certo. È giusto anche così: esiste sempre quel momento in cui ci stacchiamo dalle idee dei genitori per crearci le nostre.

Certo, certo. (Risata)

Si parlava dell’odio online. Una cosa che mi ha sempre colpito sono le donne che attaccano altre donne senza apparente motivo. Sotto i Suoi post mi capita di leggere cose come “Immagino già a chi l’ha data per arrivare dove è ora.”; mentre sotto i post riguardanti fatti gravi di cronaca nera, asseriscono: “Questa se l’è cercata!”. Cosa ne pensa Lei?

La cultura maschilista è purtroppo infestante e radicata. Le donne non sono satelliti (risata)… Sono persone che calpestano lo stesso terreno degli uomini: quando cresci in una famiglia che ha un’impostazione fortemente patriarcale, tu stessa tendi a ricalcare quegli schemi, quelle dinamiche. Non è mancanza di solidarietà; è, purtroppo, questione di omologazione a quel genere di pensiero e di cultura. È difficilmente sradicabile: se io avessi avuto un padre che mi dava un imprinting di quel tipo, è probabile che sarei stata anche io così. Le donne che hanno questo tipo di comportamento sono il risultato di un lavoro culturale che le condiziona, che ha fatto sì che interiorizzassero tutta una serie di questioni: patriarcato, sessismo…
Su quel genere di donne va fatto lo stesso lavoro che va fatto su quel genere di uomini, né più né meno.

Concordo. Secondo Lei perché c’è ancora una parte che ammira e appoggia il suo lavoro, mentre altri ancora non hanno capito la pericolosità di usare questo linguaggio online e non hanno ancora scisso la parte web dalla parte reale? Esempio lampante era “Sesso, droga e pastorizia” con il suo gruppo “Pastorizia never dies”.

Sì, ecco, adesso direi che è abbastanza detonato. Oggi non si può più parlare di questo gruppo come se fosse quello di tre-quattro anni fa.

Quello certamente, anche grazie alle Sue battaglie.

Sì, ho fatto chiudere quel gruppo due volte. Dopodiché hanno, forse, capito che non era nemmeno più neanche il tempo per fare quelle cose lì. Loro si erano infilati in un lasso temporale preciso, quello degli anni in cui, più o meno, si poteva fare tutto sul web. Si poteva contare sull’assoluta disattenzione degli “osservatori”, quindi giornalisti, adulti, tutta una serie di persone che non hanno sicuramente vigilato, ma credo più per distrazione che per superficialità.
Ne discutevo qualche giorno fa con mio figlio: per fortuna quell’aggressività squadrista e anche quell’umorismo nero, che poi in realtà non è umorismo nero ma una sorta di endorsement al linguaggio violento, è abbastanza tramontato nella nuova generazione, quella Z, per capirci. Mio figlio i meme, quelli di black humor, aggressivi nei confronti di down, di donne… lui non li ha mai condivisi con gli amici, non gli sono mai piaciuti. Oggi c’è un altro tipo di umorismo, più nonsense, che circola in questa generazione. C’è tutto un altro registro, penso che un lavoro da questo punto di vista sia stato fatto. Credo che un gruppo come Pastorizia, oggi, se provasse a nascere sarebbe già morto, mentre negli anni 2012-2013 ha potuto contare sulla disattenzione generale rispetto all’odio in rete. Di questo tema se ne è iniziato a parlare seriamente nel 2016-2017. Ricordo che quando facevo quelle telefonate in radio, nel 2013, venivo vista come una che faceva del folklore su queste cose.

Anche perché è nel tempo che si sono attuate delle vere e proprie leggi contro l’odio e la discriminazione sul web.

Esatto, ma sai, le leggi c’erano già. Era reato di diffamazione alla fine.

Certo, era però applicarle la parte più dura.
Abbiamo parlato di “Pastorizia never dies”: io ricordo la Sua inchiesta riguardante la “Bibbia 4.0” e i Suoi articoli contro la violenza sulle donne con il recente esempio del caso di Valentina Pitzalis. Cosa prova ad intervistare queste vittime? Come Si approccia a loro? Come cerca di far capire l’odio contro il prossimo ed in particolare le donne, che è largamente fomentato dal web?

Per quanto riguarda il mio approccio cerco sempre di contestualizzare con grande attenzione quello che accade a queste donne. Non lo so, se penso a Valentina Pitzalis, io cerco di far capire che non le è successo qualcosa di speciale, o meglio, le è successo qualcosa di speciale per quel che riguarda l’epilogo della vicenda. È chiaro che per fortuna non tutte le storie di amori tossici e di dipendenza affettiva finiscono con la tragedia, con la morte o nel suo caso con un volto sfigurato, ma possono essere altrettanto maligne e devastanti pur mantenendo una parvenza di normalità. Quello che accadde a Valentina, accade in tantissime situazioni domestiche che noi tendiamo a considerare dall’esterno situazioni normali. Quindi, quando intervisto donne che sono sopravvissute a questo tipo di esperienza, cerco sempre di farmi spiegare com’era la loro vita con questi uomini nella quotidianità. Valentina mi raccontava che lui le sequestrava il telefono, che la chiudeva in camera quando andava a lavorare, che le metteva delle buste sotto al letto così, se lei si alzava e provava ad andar via, sentiva il rumore e poteva fermarla. Tutte queste cose sono indizio di qualcosa di grave, di relazioni profondamente sbagliate. Se una ragazza si riconosce in queste situazioni, per me questo è il passaggio più importante. È chiaro che non ti riconosci nell’epilogo, grazie a Dio.
Per il resto credo che le ragazze che hanno vissuto queste esperienze, come dice spesso Valentina, non siano degli esempi ma siano dei moniti: “Non fate come me”, “Non siate come me”, “Non ricalcate i miei errori”. Quindi le racconto normalizzandole il più possibile. La parte finale, quella in cui lui le dà fuoco, quella in cui il fidanzato di Jessica Notaro le tira l’acido, forse è la meno importante da raccontare… capisci? Cioè, chiaramente è un passaggio importante, ma non quello più importante perché poi si tende a credere che una storia sia folle o sbagliata solo se finisce in quella maniera lì.
Riguardo il web, tutto il linguaggio d’odio contro le donne è pericoloso. Io dico sempre che le parole sono il preludio delle azioni… le parole si trasformano sempre in azioni. Per cui un linguaggio di un altro tipo educa ad una dimensione, a delle relazioni di altro tipo.

Era una cosa che usciva dai Suoi racconti, che tendesse a raccontare più il modo in cui si giungeva all’epilogo che l’epilogo stesso e credo sia di grande aiuto a donne che subiscono questi attacchi quotidiani.

Sì, perché sai, le conseguenze non sono solo devastanti se riguardano il fisico o l’evento traumatico. Anni e anni di soprusi e violenze hanno comunque conseguenze importanti anche se non le vedi poi sul volto, o non diventano una mano amputata, ecco.

Torniamo ora al nostro presente che si sa, è fatto di mascherine e gel igienizzanti per le mani. Mi può parlare ora della sua battaglia contro i negazionisti? Ogni giorno pubblica nelle sue storie, immagini e video di gente che fa di tutto per non indossare mascherine, creando assembramenti su assembramenti, pensando solo ed esclusivamente al divertimento. Secondo lei cosa si dovrebbe fare per un’informazione chiara, che arrivi alle persone?

Il messaggio è stato ampiamente lanciato, quindi direi che il problema non è tanto ribadire che ci dobbiamo mettere le mascherine, che dobbiamo evitare di stare appiccicati sui bus e per strada: la situazione del distanziamento sociale è chiara. Il problema è, dal mio punto di vista, il seminare continuamente bugie e menzogne sull’argomento e questo lo fanno egregiamente politici, virologi ed anche esperti e gruppi organizzati sul web. Alcuni lo fanno per questioni ideologiche, altri lo fanno per questioni politiche e d’interesse personale.
Io ritengo che un gravissimo danno lo abbiano proprio fatto i virologi, gli esperti politicizzati, quelli che sostanzialmente lanciano i messaggi che vogliono vengano lanciati dai loro governatori o dai leader di partito che gli hanno proposto una candidatura più in là, quando l’epidemia sarà finita. Direi che quelli hanno contribuito molto alla disinformazione, alla confusione, ed anche a rafforzare queste correnti che sono quelle negazioniste e dei no-mask. È evidente che se quest’estate i virologi alla Bassetti e i medici alla Zangrillo continuavano a dire che il virus era mutato ed aveva perso forza, che la carica virale esistente prima non c’era più, i pazienti avevano ormai diagnosi molto più felici, poi si innesca quel meccanismo che porta qualcuno a sostenere che questa seconda ondata non esiste, che se la stanno inventando per poi creare tutte le teorie più incredibili e fantasiose, dal perché ci vogliono controllare, al perché…

i microchip del 5g nel vaccino.

Esatto. In più ci sono i politici alla Salvini, soprattutto nell’aria centro-destra, che cercano di fomentare quella fetta del Paese che ha paura, anche legittimamente, di non avere più i soldi. Abbiamo capito che il bonus può tamponare una situazione momentanea ma poi sicuramente non è un riferimento per il futuro. Fomentano quindi la fetta di Paese più incerta da un punto di vista economico: liberi professionisti, ristoratori, in modo particolare i proprietari dei locali. Cercano di convincerli che ci possa essere un’economia felice nel mezzo di un’epidemia, quando in realtà non c’è economia senza salute. Questo è il concetto principale.

Grazie per il suo tempo. Per chiudere Le voglio chiedere tre massime.
Una per i suoi odiatori, cosa direbbe loro in un momento come questo?

Che in questo momento c’è bisogno di coesione e non di odio. È un momento in cui bisogna essere uniti più che mai e l’odio divide, sempre.

Una per dei futuri ragazzi che vorrebbero diventare giornalisti, qual è il consiglio che darebbe?

Oh mamma mia. (Risata). Siate curiosi e non accontentatevi della prima visione della verità.

Ed un’ultima per i futuri studenti che diventeranno gli adulti di domani?

Soprattutto in questa fase, in cui probabilmente sarà difficile studiare nel modo in cui abbiamo sempre fatto, dico di pensare che ci sarà un futuro in cui gli sforzi che si fanno oggi saranno molto utili. Pensate soprattutto che serviranno ancora più strumenti, perché ci sarà un futuro da ricreare, da reinventare, da ricostruire e quindi più si studia più si hanno gli strumenti per contribuire al meglio in questa società. Questo principalmente, di non essere pigri.
Di essere poi autodidatti, perché in questa fase probabilmente gli studenti hanno un po’ più tempo rispetto all’andare a scuola tutti i giorni: cercate di imparare quelle cose che magari non avreste avuto il tempo di imparare se la scuola fosse stata quella che conosciamo. Leggete libri che vi piacciono, approfondite conoscenze che non avreste avuto il tempo di approfondire, perché poi per essere autodidatti nella vita resta veramente poco tempo. Quando si lavora, quando si fa altro, insomma. Io la maggior parte dei miei libri li ho letti a quell’età lì, all’età della scuola, non dopo perché ho molto meno tempo libero.

Grazie mille.

Grazie a te.

L’intervista si è conclusa poi tra risate e ringraziamenti.

Un’ultima domanda: stasera ha “Ballando con le stelle”, si è portata dietro il fondotinta giusto?

(Risata) No, col cavolo, ne ho almeno 10, 11 dietro, non ti preoccupare.

Chiudo il telefono, mi guardo attorno e mi sento soddisfatto: so qualcosa in più riguardo a Selvaggia e la gran donna che è. Speriamo che se le capiterà mai di passare a Trento, possa parlarle di persona e non dietro ad uno schermo, come preferiscono invece fare i suoi detrattori.

Nicola Marchi

SMM de @luniversitario... ogni tanto scrivo articoli che vorrebbero far ridere ma falliscono miseramente nell'intento!

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