Ungheria: libertà accademica al vaglio
La ormai sempre più delineata deriva autoritaria ungherese si sta gradualmente insinuando anche all’interno degli atenei del paese, attraverso un controllo sempre più ferreo sul mercato dei libri di testo, dirottando le gestioni universitarie magiare a fondazioni affiliate al partito di governo e promuovendo politiche volte ad ostacolare continuamente le università straniere presenti sul territorio. L’obiettivo è chiaro: plasmare una generazione di cittadini ungheresi conservatori e illiberali.
Il 6 Ottobre 2020 la Corte di giustizia dell’Unione europea, appellandosi al principio di “libertà accademica”, ha sancito come “illegali” le condizioni poste da Orbán nei confronti delle università straniere.
Ma cosa si intende per “libertà accademica”? E quali sono le sue implicazioni? La risposta potrebbe sembrare scontata ma, analizzando con occhio critico i recenti sviluppi in Ungheria e le norme europee in merito, si ha una panoramica ben più complessa e sfaccettata.
Procediamo con ordine.
Nel 2017 il governo ungherese iniziò ad imporre condizioni sempre più restrittive nei confronti delle università straniere, colpendo in particolar modo la Central European University (CEU), fondata da niente meno che George Soros, noto avversario delle politiche di Orbán. La CDU si vide quindi costretta a trasferire tutti i suoi corsi a Vienna, lasciando l’educazione universitaria a Budapest esclusivamente nelle mani degli atenei ungheresi. Di seguito, il governo prese il controllo dell’Accademia delle scienze ungherese, deviando i suoi finanziamenti al governo e creando un nuovo network per la gestione della ricerca universitaria, i cui membri del consiglio di amministrazione (rettore incluso) sono nominati da Orbán stesso. Infine, il recente ritiro dell’autonomia dell’Università di teatro e cinema, la storica e prestigiosa “Szfe”, attraverso un trasferimento della gestione ad un’organizzazione affiliata al partito, ha portato a numerose proteste a Budapest ma, di fatto, il percorso verso un controllo statale sempre più rigido sull’ educazione universitaria in Ungheria appare inesorabile.
La risposta dell’UE si è fatta attendere. Sicuramente l’evoluzione degli eventi in Ungheria non ha precedenti nella giovane storia dell’Unione, ma fatto sta che Orbán ha avuto molto tempo per agire pressoché indisturbato con provvedimenti e leggi che di fatto violano i principi comunitari europei.
Lo stesso direttore della CEU, Michael Ignatieff, in un’intervista rilasciata alla rivista online .coda nel giugno 2020, alla domanda su che ruolo avesse avuto l’UE nel proteggere l’integrità della sua istituzione ha risposto che, fondamentalmente, l’UE non aveva fatto nulla in questo senso, accusando la mancanza di una legge europea chiara basata sui diritti umani alla quale un’università può appellarsi in queste situazioni di difficoltà.
In realtà, l’articolo 13 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE tutela la libertà accademica come diritto inalienabile all’interno dell’Unione Europea. La stessa garanzia viene ulteriormente rafforzata dall’UNESCO che garantisce questa libertà come un “diritto senza alcuna costrizione dottrinale”.
Proprio in base a questi principi, la Corte Europea, come già affermato precedentemente, ha potuto emettere una sentenza condannatoria nei confronti dell’Ungheria. Tuttavia, la non tempestività di questa decisione ne ha, di fatto, sancito anche la poca efficacia.
Proviamo ora a comprendere le ragioni per le quali l’UE non sia riuscita ad affrontare tempestivamente una problematica che mina le stesse fondamenta giuridiche sulle quali l’Unione si erge.
La legge europea stabilisce che, nell’ipotesi in cui uno Stato Membro dell’Unione non attui il diritto dell’organizzazione stessa, il caso può essere portato davanti alla Corte di giustizia o da parte della Commissione Europea, attraverso un iter formale molto lungo e articolato (come in questo caso), o direttamente da parte di uno Stato Membro. Questa seconda possibilità, come facilmente immaginabile, è molto meno frequente.
La corte, una volta interpellata, emette un “judgment” con il quale richiede allo stato coinvolto, come nel caso dell’Ungheria, di allinearsi alle norme comunitarie. La decisione o meno di rimuovere eventuali leggi “incompatibili” col diritto europeo, quindi, ricade interamente nelle mani dello stato stesso. Se la sentenza non viene rispettata, la Corte può deferirlo nuovamente e la Commissione può proporre che vengano imposte sanzioni pecuniarie.
Ad ogni modo, a questo punto, che il governo ungherese rispetti o meno la sentenza è quasi del tutto irrilevante. Lo stesso Soros ha così commentato la sentenza della corte: “La decisione arriva troppo tardi per la CEU. Non possiamo tornare in Ungheria perché le sue leggi interne vigenti non soddisfano i requisiti della libertà accademica”. In parole povere Orbán non ha ancora vinto, ma è almeno in vantaggio per 3 a 0. E se l’avversario è un principio fondamentale a noi tutti caro come la libertà accademica, c’è da chiedersi come nessuno stato membro ponga una pressione rilevante sull’Ungheria o come l’Europa non preveda un apparato burocratico più snello e tempestivo per affrontare in maniera adeguata la partita.
Quel che è certo è che, nel cuore più profondo del continente, studenti come noi sono privati in patria dell’accesso ad un’università libera da ogni indottrinamento. C’è da agire efficacemente e tempestivamente, in modo che le politiche di Orbán non possano in futuro costituire un precedente per altri paesi membri dell’UE, che spesso hanno dimostrato la stessa insofferenza dell’Ungheria al rispetto delle norme e principi europei.
Dall’Italia del sedicesimo secolo agli Stati Uniti del ‘900, passando per Francia, Paesi Bassi e Germania, la libertà accademica è stato il principale cavallo di battaglia dell’egemonia culturale occidentale per lunghissimo tempo. Costantemente ostacolata da regimi autoritari e assiduamente protetta da menti lungimiranti, ha formato e continua a plasmare la nostra identità, la nostra Università e il nostro modo di pensare. Come disse il celebre poeta statunitense Ezra Pound, “la fonte del valore è l’eredità culturale”, e la libertà accademica è la più bella e importante eredità culturale lasciataci dai nostri avi.
Sforziamoci di preservarla.