“Le avventure di Pinocchio” tra Collodi e Caparezza
Nato dalla penna di Carlo Collodi (in realtà Carlo Lorenzini, giornalista e traduttore), “Le Avventure di Pinocchio. Storia di un burattino” venne pubblicato per la prima volta nel 1881 e da lì in poi non abbandonerà più gli scaffali di grandi e piccini: sarà perché siamo stati un po’ tutti Pinocchio, sarà per il grande impatto storico che ebbe: quest’opera forgerà non meno di altri giganti letterari quali Manzoni e Verga sia la lingua italiana che la prima vera immagine collettiva del popolo italiano, ovvero di un paese sì umile ma anche onesto e laborioso.
Tanto è vero che “Le Avventure di Pinocchio” vanno oltre la classica idea di fiaba per bambini: a partire dal genere fino agli argomenti trattati, si intravede fin dalla prima lettura la ricchezza di contenuti “per adulti”, quali la violenza sui bambini e la povertà.
Ma come ogni grande capolavoro, Pinocchio non sarebbe così dentro al tessuto culturale senza il seguito di generazioni lasciatesi rapire dalle sue strabilianti peripezie. Talmente appassionanti da riuscire ad ispirare tutt’oggi nuove storie: la riscrittura, il riadattamento di un’opera al presente, sono tra le migliori vie di scampo all’oblio letterario. Tra le più recenti, si contano le comparse al cinema a fianco di “Shrek” (Adamson e Jenson, 2001-2010) fino alle apparizioni in bensì due album di Caparezza, cantautore pugliese.
In “Ricomincio da Capa” (1998) e “Verità Supposte” (2003), Caparezza propone due riletture delle “Avventure di Pinocchio”, la prima demo (ndr. campione dimostrativo della produzione di musicisti, scrittori, programmatori o autori in genere) e la seconda ufficiale, passando attraverso la storia del burattino più amato al mondo per giungere ai temi “scottanti” dell’inizio secolo, quali la decadenza artistica e le “banche armate”.
Il titolo
Entrambe le versioni vengono intitolate “Il Paese dei Balordi”, richiamando fin da subito il più famoso “paese dei balocchi” così descritto da Collodi:
“Questo paese non somigliava a nessun altro paese del mondo. […] Nelle strade, un’allegria, un chiasso, uno strillìo da levar di cervello! Branchi di monelli da per tutto: chi giocava alle noci, chi alle piastrelle, chi alla palla, chi andava in velocipede, chi sopra un cavallino di legno: questi facevano a mosca-cieca, quegli altri si rincorrevano: altri, vestiti da pagliacci, mangiavano la stoppa accesa: chi recitava, chi cantava, chi faceva i salti mortali, chi si divertiva a camminare colle mani in terra e colle gambe in aria: chi mandava il cerchio, chi passeggiava vestito da generale coll’elmo di foglio e lo squadrone di cartapesta.” (Collodi, 1881)
Il paese dei balocchi è dunque il locus amoenus (ndr. luogo idealizzato e piacevole, in cui si svolge parte della trama) di ogni ragazzino, idea che vedremo in contrasto non solo col titolo ma anche col contenuto delle canzoni.
I personaggi: Geppetto e la fata turchina
La versione del 2003 si apre con una scena scabrosa: Geppetto, padre di Pinocchio, non è più amorevole e premuroso come nella storia originale, ma abusivo e alcolizzato.
Collodi, 1881 | Caparezza, 2003 |
“ — E chi è il tuo babbo [a Pinocchio]? — Gli è il più babbo buono del mondo, come io sono il figliuolo più cattivo che si possa dare” | “Babbo babbino non picchiarmi tanto forte T’attacchi al vino e giù coi calci sulle mie gambe corte.” |
Infatti, se per Collodi Geppetto arriva persino ad assumere connotazioni tipicamente materne (tratto esemplificato dal suo parrucchino, mancanza di peli vista nella letteratura come assenza di virilità), Caparezza lo trasforma nell’apoteosi della mascolinità tossica; l’elemento materno viene estraniato, poi personificato da una madre distante dal nucleo familiare.
Collodi, 1881 | Caparezza, 2003 |
“Appena finite le mani, Geppetto sentì portarsi via la parrucca dal capo. Si voltò in su e che cosa vide? Vide la sua parrucca gialla in mano del burattino. | “Mamma se la dette a gambe levate, poverina Scompare la tua paga ogni mese, in paese già la chiamano fatina” |
Il collegamento tra “mamma” e “fatina” (“in paese già la chiamano fatina”) non è casuale: l’altra figura materna nella vita di Pinocchio è la fata turchina e pure lei nella riscrittura, che sia una cinica conduttrice (2003) o una prostituta (1998), è lontana dalle sofferenze del burattino.
Collodi, 1881 | Caparezza, 1998-2003 |
— Birba d’un burattino! Come mai ti sei accorto che ero io? — Gli è il gran bene che vi voglio, quello che me l’ha detto. — Ti ricordi, eh? Mi lasciasti bambina, e ora mi ritrovi donna; tanto donna, che potrei quasi farti da mamma. — E io l’ho caro di molto, perché così, invece di sorellina, vi chiamerò la mia mamma. Gli è tanto tempo che mi struggo di avere una mamma come tutti gli altri ragazzi! | Mi si avvicina una puttana molto carina “Ma questa la conosco, è la fatina“ (1998) Nella storiaccia la fata ha un ruolo incisivo Mamma + lap dance = ospite televisivo Dall’audience definitivo Mentre io vivo una pena (2003) |
I personaggi: Pinocchio
Tanto quanto la fatina di Caparezza nel 2003, l’assenza della figura materna è una mancanza “incisiva” nella vita di un bambino, arrivando persino a danneggiare il senso di sicurezza dell’infante rispetto all’esterno. La stessa assenza che porterà Pinocchio, dapprima affettuoso per quanto birbante, all’aggressività:
Collodi, 1881 | Caparezza, 2003 |
“[Pinocchio] — Amico mio, tu hai salvato il mio babbo! Dunque non ho parole per ringraziarti abbastanza! Permetti almeno che ti dia un bacio, in segno di riconoscenza eterna!… —“ | “Delle legnate sei l’esperto ma ti avverto Toccami ancora e sei morto, non mento Guarda, ho il naso corto.” |
Caparezza evoca tra i suoi versi un burattino sì difficile, ma non senza cognizione di causa: senza figura materna e in balìa della violenza del padre, Pinocchio è in realtà spaventato dal mondo circostante perché, come si sottolinea nel ritornello, è completamente “nelle mani del destino”. Prova a schernirsi dai soprusi con uno scudo di violenza ma con magro successo; rimane ancora troppo piccolo per la ferocia intorno a lui.
Collodi, 1881 | Caparezza, 1998-2003 |
“[Pinocchio]— O Fatina mia, perché sei morta? […] Non ti dispiace a vedermi solo, abbandonato da tutti?… Se arrivano gli assassini, mi attaccheranno daccapo al ramo dell’albero… e allora morirò per sempre. Che vuoi che io faccia qui solo in questo mondo? Ora che ho perduto te e il mio babbo, chi mi darà da mangiare? Dove anderò a dormire la notte? Chi mi farà la giacchettina nuova? Oh! sarebbe meglio, cento volte meglio, che morissi anch’io! Sì, voglio morire!” | “Dammi la mano, vienimi vicino Sono di legno non sono più un bambino Un burattino nelle mani del destino Un burattino nelle mani del destino” |
I personaggi: Lucignolo
Il compagno di marachelle è il primo vero “ponte” tra la fantasia di Collodi e la realtà di Caparezza: il cantautore usa “il ragazzo più svogliato e più birichino della scuola” per muovere una critica agli artisti contemporanei, paragonandoli ad un Lucignolo rovinato dalle sostanze stupefacenti, ma protetto dal suo status di “visonario”.
Collodi, 1881 | Caparezza, 2003 |
“Ora bisogna sapere che Pinocchio, fra i suoi amici e compagni di scuola, ne aveva uno prediletto e carissimo, il quale si chiamava di nome Romeo: ma tutti lo chiamavano col soprannome di Lucignolo. […] era il ragazzo più svogliato e più birichino di tutta la scuola: ma Pinocchio gli voleva un gran bene.” | “Lucignolo l’artista s’aggiusta una pista di coca col mignolo Si riempie le tempie di nubi empie, pare un comignolo Prima si fa poi si fa serio Scrive due cazzate sul diario: è un visionario “Per questa roba c’ho la stima della gente” Contento per te, ma per me sei veramente un deficiente Altro che matto, meo amigo Com’è che un fatto sui gradini è solo un fatto E su di un palco è sempre un figo?” |
I personaggi: Mangiafuoco
Mangiafuoco è l’altro grande collegamento ipertestuale tra riscrittura e realtà, ma al contrario di Lucignolo non presenta trasposizioni di grande interesse: nell’introduzione al personaggio, è descritto da Collodi come un uomo non apertamente malvagio, ma anzi: “tenero e untuoso come una palla di burro”. In egual misura, Caparezza giudica questo personaggio pubblico (“in TV è arrivato il mago Ciucciafuoco”) solo apparentemente benevolo.
Collodi, 1881 | Caparezza, 2003 |
“E il conduttore del carro?… Figuratevi un omino più largo che lungo, tenero e untuoso come una palla di burro, con un visino di melarosa, una bocchina che rideva sempre e una voce sottile e carezzevole, come quella d’un gatto, che si raccomanda al buon cuore della padrona di casa. Tutti i ragazzi, appena lo vedevano, ne restavano innamorati e facevano a gara nel montare sul suo carro“ | “In TV è arrivato il mago Ciucciafuoco, presuntuoso, Che vede un mondo sano e generoso Tu, tirchio più di un negozio di marca, va alla forca Sai di stronzate più di una turca Piglia per il culo i tuoi pupazzi, numeri e tarocchi Intrallazzi per gli sciocchi, a me non fanno effetto” |
La differenza è lo sguardo sul personaggio: se il Pinocchio di Collodi è ingenuo perché inesperto, il Pinocchio di Caparezza si mostra invece indifferente ai “numeri e tarocchi” di “Ciucciafuoco”, essendo cresciuto più in fretta del tempo. Il secondo di conseguenza è capace di vedere al di là della stucchevole coltre di benevolenza con la quale più personaggi hanno d’altro canto aggirato il primo.
I personaggi: il Gatto e la Volpe
A questo proposito, particolarmente interessante è il riadattamento del Gatto e la Volpe, citati sia nel 1998 che nel 2003.
Collodi, 1881 | Caparezza, 1998-2003 |
— Te lo spiego subito — disse la Volpe. — Bisogna sapere che nel paese dei Barbagianni c’è un campo benedetto, chiamato da tutti il Campo dei miracoli. Tu fai in questo campo una piccola buca e ci metti dentro, per esempio, uno zecchino d’oro. Poi ricopri la buca con un po’ di terra: l’annaffi con due secchie d’acqua di fontana, ci getti sopra una presa di sale, e la sera te ne vai tranquillamente a letto. Intanto, durante la notte, lo zecchino germoglia e fiorisce, e la mattina dopo, di levata, ritornando nel campo, che cosa trovi? Trovi un bell’albero carico di tanti zecchini d’oro quanti chicchi di grano può avere una bella spiga nel mese di giugno. […] — Oh che bella cosa! — gridò Pinocchio, ballando dall’allegrezza. | Esco di casa e trovo quei due stronzi là Lui è il gatto lui è la volpe si sa che sono in società, Vi fate i soldi sulla gente ignorante (1998) Tornando a casa trovo quei due tipi là Lui è il gatto, lui è la volpe, sono in società, roba onesta La nostra banca ha istituito un fondo apposta Dacci il denaro in fondo lo investiamo nell’azione giusta Questa è roba fantastica per chi mastica Asimov Non baratto I miei soldi con I Kalashnikov (2003) |
Anche in questo caso, il Pinocchio rivisitato si mostra più scaltro del Pinocchio originale: smaschera nel giro di qualche rima le vere intenzioni dei due furfanti “in società” (oltretutto, un chiaro rimando alla canzone di E. Bennato “Il gatto e la volpe”, 1977) non privandosi del gusto di beffarsene (“roba onesta”).
Detto ciò, in questi versi è lampante la critica sociale del cantautore, che nella versione del 2003 (“La nostra banca ha istituito un fondo apposta – Dacci il denaro in fondo lo investiamo nell’azione giusta- Non baratto i miei soldi con i Kalashnikov”) tira in causa senza troppe cerimonie le banche armate (ndr. istituti di credito italiano coinvolti nella vendita a Paesi terzi di materiale bellico da parte di aziende nazionali) e, si vocifera, lo scandalo del 1988 con protagonista lo scambio d’armi tra Iraq e Italia, scoperchiato nel bel mezzo della guerra Iran-Iraq in seguito allo sgancio di bombe chimiche sul villaggio di Halabja per mano di Saddam Hussein (ndr. politico e militare iracheno). Le 5000 vittime di questo “crimine contro l’umanità” (Wikipedia.it) crearono uno scandalo mediatico tale da obbligare le forze governative nostrane ad emanare la legge 185/90.
La “legge della giungla”
Da Geppetto al Gatto e la Volpe, ci si può chiedere il motivo di tanta violenza e slealtà. A suggerirlo è la rivisitazione del ’98; nel Pinocchio di Caparezza regna la “legge della giungla”, una legge che non prevede né morale né crescita, ma solo una sopravvivenza di espedienti, che siano per inganno o prepotenza (diversamente da Collodi, che vede la crescita morale persino come medicina ai mali dei genitori).
Collodi, 1881 | Caparezza, 1998 |
“— Levatemi una curiosità, babbino: ma come si spiega tutto questo cambiamento improvviso? — gli domandò Pinocchio saltandogli al collo e coprendolo di baci. — Questo improvviso cambiamento in casa nostra è tutto merito tuo — disse Geppetto. — Perché merito mio?… — Perché quando i ragazzi, di cattivi diventano buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all’interno delle loro famiglie.” | “Il lieto fine di ‘sta favola non c’è So solo che “ce n’è” di burattini come me Nel paese dei balordi, legge della giungla Più vado avanti più il mio naso si allunga.” |
Tuttavia, gli espedienti possono posticipare ma non salvare i personaggi perché, come ricorda la versione del ‘98, la legge della giungla avrà in ogni caso la meglio e si abbatterà su chiunque, senza distinzioni di condotta.
“E invece ho visto il gatto con l’amico volpe
Sono andati dentro e adesso scontano le proprie colpe
Altre cose:
Ho portato delle rose sulla tomba di Lucignolo
Crepato per un’overdose
La fatina ha rinnegato quello che faceva
Quando si è accorta che era sieropositiva
Geppetto sta a letto solo soletto in un ospizio
Mangiafuoco c’ha il tumore ma non ha più il vizio”
(Caparezza, 1998)
Ma, a dispetto del finale, sarebbe scorretto dire che Collodi parli di una realtà idilliaca. “Le Avventure di Pinocchio” sono state capaci di modellare un immaginario comune proprio perché realistiche; ovvero, capaci di cogliere la quotidianità del popolo tramite il gergo “dei molti” e i contesti familiari.
“Questa volta maestro Ciliegia restò di stucco, cogli occhi fuori del capo per la paura, colla bocca spalancata e colla lingua giù ciondoloni fino al mento, come un mascherone da fontana” (Collodi, 1881)
“La casa di Geppetto era una stanzina terrena, che pigliava luce da un sottoscala. La mobilia non poteva essere più semplice: una seggiola cattiva, un letto poco buono e un tavolino tutto rovinato” (Collodi, 1881)
Il sogno
Nella riscrittura di Caparezza non c’è crescita morale ma in ogni caso c’è un sollievo alla “legge della giungla”, ossia il sogno.
Io me ne vergogno, faccio un sogno e vi ci resto
La mamma casalinga e il babbo un uomo saggio e onesto
(Caparezza, 2003)
Si potrebbe azzardare un parallelismo tra due autori: se a detta di Collodi il destino dell’uomo, per quanto duro, rimane ancora sotto il suo governo (“Perché quando i ragazzi, di cattivi diventano buoni, hanno la virtù di far prendere un aspetto nuovo e sorridente anche all’interno delle loro famiglie”), per Caparezza questo stesso destino non si può lontanamente controllare (“un burattino nelle mani del destino”); si può solo posticipare il peggio e, eventualmente, rifugiarsi nella fantasia. Del resto, queste due visioni altro non sono che frutto del loro tempo; Collodi nacque e visse nel periodo positivista, dove troviamo la massima esaltazione della mente umana, ai tempi ritenuta capace di qualsiasi cosa. Viceversa, Caparezza deve la sua visione pessimistica ad un contesto completamente rovesciato, il post-modernismo, prodotto della delusione degli ideali positivisti.
Le riscritture sono tra gli strumenti più potenti capaci di rievocare le opere trascorse e Caparezza ne è la prova schiacciante. Del resto, un racconto non è troppo lontano da una “macchina pigra”, vale a dire una macchina realizzata così da prevedere la cooperazione tra lettore e racconto, affinché il lettore sia capace di estrapolare il senso della storia solo attraverso la sua lettura critica e dunque perseguire l’obiettivo della letteratura: insegnare, nonostante il trascorrere del tempo.
FONTI:
A. Bernardelli, “Che cos’è la narrazione”, Roma, Carocci (2019)
C. Collodi, “Le avventure di Pinocchio”, Milano, Mondadori (2000)
L. Rodler, corso di Letteratura Italiana [130396] presso “Università di Trento” (LITI), a.a. 2019-2020
L. Rodler, “Leggere oggi favole e fiabe”, Bologna, Pàtron Editore (2020)