SOLITUDINE: la sensazione che ci angoscia
“In my solitude, you haunt me with dreadful ease of days gone by […..]. I sit in my chair and filled with despair. There’s no one could be so sad. With gloom everywhere, I sit and I stare; I know that I’ll soon go mad”
In my solitude, Billie Holiday
Questa canzone di Billie Holiday descrive la sensazione che tutti noi abbiamo e stiamo provando in questi mesi di pandemia: la solitudine.
Secondo un report dello sportello psicologico online aperto dal governo Conte bis a inizio dell’anno 2020 sono state registrate più di 50000 telefonate al numero dello sportello perché le persone hanno iniziato a manifestare dei problemi psicologici o perché si sono sentite sole.
Verso l’inizio di novembre il governo belga ha istituito la figura del knuffelcontact – che in italiano significa compagno di coccole -. Questa figura è rivolta alle persone che non hanno alcun legame affettivo o ai nuclei familiari che sono impossibilitati a vedere altri membri. Questa proposta è stata avanzata dallo stesso governo belga in vista di istituire un secondo lockdown dal 2 di novembre fino al 13 di dicembre 2020. Secondo questa legge, le famiglie possono richiedere come knuffelcontact una sola persona che non faccia parte del proprio gruppo familiare; invece, chi è single può richiedere addirittura due persone. Il knuffelcontact, il quale deve avere inviato la richiesta di voler aderire a questo progetto ed essere stato approvato, non è obbligato a rispettare le regole di distanziamento o l’obbligo di tenere la mascherina quando visita la famiglia assegnata, però deve in primis risultare negativo al Covid-19 e deve stabilire in anticipo gli incontri con la famiglia assegnata.
Nonostante la recrudescenza della situazione pandemica in Europa, il Belgio ha deciso di attuare una campagna intitolata Adopt me on Christmas. Con questo progetto, le istituzioni locali belghe hanno cercato di mettere in contatto delle famiglie, in base alla loro volontà e disponibilità, con massimo tre persone al di fuori del proprio nucleo familiare, le quali non sapevano con chi passare le feste; sia gli invitati che i membri della famiglia che accoglieva dovevano risultare negativi al Covid.
Nel Regno Unito è stata emanata una proposta di legge che sancisce l’istituzione della bubble-family. Secondo questa legge, costruita in modo molto simile a quella belga, è possibile unire due nuclei familiari, i quali devono creare un insieme di massimo 8 o 10 membri presso un’unica residenza. Non è possibile cambiare la famiglia con cui si sceglie di convivere per questioni sanitarie. Se un membro delle due famiglie risulta positivo, verrà applicata subito la quarantena entro i tempi e le modalità stabilite dal governo inglese.
Un’altra questione è come sarà soddisfatto il bisogno di socialità e quali conseguenze potrebbe comportare. In un mondo interconnesso e globalizzato si suppone che si tenderà a copiare e a riproporre, in base a cosa è giudicato come accettabile, servizi, progetti o leggi già esistenti in altri parti del mondo.
In Giappone esiste da alcuni anni un’industria legata al desiderio della compagnia, cioè all’esigenza di stare assieme a qualcuno sia da un punto romantico che da un punto di vista sociale. Su ViceAsia, vi è un breve documentario dove la giornalista, affiliata a questa agenzia giornalistica, cerca di capire questa tipologia di industria provando alcune delle tendenze più recenti e/o più popolari del Giappone. In questo video prova servizi tra cui Wheeping boy, in cui si paga un uomo che viene in un luogo di lavoro per piangere assieme a te; Male-host club, locale specializzato dove le clienti pagano l’ingresso e le bevande per uscire con i membri dello staff che le devono intrattenere; Sheep boy, un servizio molto costoso in cui le donne pagano un uomo per venire in casa a coccolarle e per fare qualche attività come cucinare. Questi servizi nascono per alleviare la solitudine dovuta alle difficoltà o alle responsabilità previste in una relazione sentimentale.
Ritornando al discorso pandemia, secondo recenti indagini fatte dal giornale The Guardian, in questo periodo non è solo aumentato il numero di chi soffre di solitudine, ma anche i prodotti e i servizi legati al business della solitudine. Rimanendo fedeli ai dati presenti sul giornale, le persone che usufruiscono di più dei prodotti in America e Regno Unito sono gli anziani, i quali non hanno nessuno con cui parlare o che li possa accompagnare alle visite mediche. L’articolo di The Guardian prosegue con la descrizione dei prodotti più comprati di questa industria, come foche robotiche e ragazze ologramma, e con quella dei servizi più popolari e richiesti in Cina e Giappone come Rent a sister oppure Boyfriends for Rent. Verso la fine dell’articolo vi è l’opinione di Jeremy Nobel, membro della Harvard Medical School e fondatore dell’Unlonely Project, un’organizzazione che si occupa di arte e di guarigione. Nobel descrive la solitudine come un segnale per apprendere di che cosa una persona necessita e non è in grado di ottenere; afferma anche che la tecnologia può alleviare questa sensazione a patto che non venga sostituita la connessione umana di cui ogni legame sociale necessita.
Questo commento evidenzia che la tendenza dell’agire umano a cercare una rapida (e dispendiosa) soluzione a questa sensazione potrebbe portare all’effetto opposto, cioè all’isolamento che può coinvolgere più livelli.
Una rappresentazione di questa tendenza ad affidarsi esclusivamente a delle soluzioni tecnologiche per colmare la solitudine è presente nel cortometraggio del 2018 della scuola di animazione francese Gobelins: Best Friends. In questo video, il protagonista festeggia il suo compleanno con amici virtuali creati da un sistema impiantato in uno dei lobi celebrali, sistema che deve essere ricaricato da una soluzione collirica gialla che si può trovare in distributori presenti in qualunque punto della città. Il cortometraggio mostra il lato dipendente dai servizi digitali e fa riflettere rispetto all’ipotesi che l’adozione di questi prodotti e servizi possa effettivamente alleviare o aumentare la solitudine.
La solitudine è una sensazione polisemica e cioè può rappresentare molti significati e può manifestarsi in diversi modi a seconda del contesto e del bisogno che dobbiamo soddisfare. È un problema sociale da affrontare: molti psicologi, pediatri e medici hanno già lanciato l’allarme della diffusione epidemica della solitudine. Secondo un report effettuato dall’osservatorio Indifesa e Terre des Hommes, il 93% degli adolescenti si è sentito solo, dato che è cresciuto molto a causa della pandemia. Purtroppo nel report non viene specificato che cosa abbia generato quella sensazione, dunque il bisogno che i ragazzi volevano soddisfare. Un altro dato, che potrebbe arricchire questa riflessione, è quello che ha rilevato l’Istat secondo cui il 55% degli italiani non ha amici, specialmente gli adolescenti. Le possibili variabili dipendenti che generano questa sensazione sono: gli ostacoli incontrati durante il percorso di studio, la possibilità di vedere o incontrare i propri amici e parenti, il freno alle relazioni e allo sport.
È necessario dunque trovare delle proposte di interazione e di incontro fra persone (anche considerando le limitazioni anti-Covid). L’esistenza di alcuni dei servizi citati è nata proprio come tentativo di risolvere la questione della solitudine: pensiamo ad esempio al servizio di Rent a sister in Giappone, che è stato creato per aiutare gli hikikomori ad uscire progressivamente dalla loro stanza. Inoltre non si può ragionare su questo dilemma economicamente e non si può quindi permettere di trasformare totalmente il bisogno di supporto in un business o in un servizio a pagamento; però non si può nemmeno politicizzare la necessità di riunirsi specie durante le festività o le ricorrenze tradizionali come è avvenuto nel dibattito politico per il Natale.
Per capire questa sensazione bisogna comprendere non come o che cosa ci porta all’isolamento, ma invece come concepiamo, trascorriamo e viviamo le nostre relazioni di qualunque genere siano. Bisogna ripensare che cos’è la socialità, come viene percepita da noi stessi e come la si vive. Comunque non ci possiamo affidare constantemente alle applicazioni o alla tecnologia in sé, perché, prendendo spunto dalle interviste fatte ai ragazzi o ai dati di vari report riguardanti il tema dell’adolescenza, i giovani nel periodo pandemico si sono sentiti più alienati e stressati.
Fonti citate:
https://www.theguardian.com/society/2020/nov/01/loneliness-business-booming-pandemic